“Responsabilità, temerarietà, passione. Le sperimentazioni vissute sono state tutte molto trascinanti e meravigliose. Non amo e non ho mai amato il ‘potere’, quindi la mia scelta è sempre stata quella di non utilizzarlo, se pure ne avessi la possibilità. Sono, invece, aperta alla cooperazione, all’ascolto delle esigenze di tutti, senza la quale io credo non si riesca a realizzare nulla di positivo”.
Classe 1954, laureata in Lettere Moderne e Filosofia, la cagliaritana Anna Maria Montaldo, è manager culturale di alto livello. Ha diretto i Musei Civici del capoluogo sardo nel suo trascorso. E dal febbraio 2017 è Direttrice del Polo Museale d’Arte Moderna e Contemporanea di Milano. Sotto la sua direzione si congiungono ben tre Gallerie: il Museo del Novecento, la GAM (Galleria d’Arte Moderna) e il Mudec (Museo delle Culture).
“Ho aderito al concorso del Comune di Milano per curiosità, ovviamente per interesse, ma senza patemi d’animo. I competitor erano diversi e di livello. È stata un’incredibile sorpresa ricevere la notizia della mia vittoria, ma so bene di aver proposto un profilo competitivo e coerente con ciò che si esigeva”.
Lo sguardo di Anna Maria è costantemente indirizzato verso la sua terra natia. Come direttrice dei Musei Civici di Cagliari, Montaldo ha elaborato il progetto scientifico, l’allestimento e il coordinamento editoriale della Collezione Civica di Artisti Sardi del Novecento, ha disposto la schedatura scientifica del patrimonio civico artistico di Cagliari, oltre ad aver avviato l’attività di didattica museale e curato l’acquisizione, il restauro e la musealizzazione della collezione Ingrao, una delle più note e ricche della Sardegna artistica di oggi.
“Cagliari e Milano hanno sicuramente dimensioni dissimili, ma le dinamiche e le regolamentazioni da seguire sono sempre le stesse. Nella città dove sono nata dirigevo un Museo Orientale, uno d’Arte Contemporanea e uno del 900. Il modo di indirizzare il Museo non muta, anche se sono differenti le perizie peculiari: l’importante è sempre l’impostazione di base e la gestione.”
Il passo determinante che le ha fornito nuova linfa sul mondo dei Musei è stato il master alla Bocconi sulla gestione delle Gallerie e dei beni culturali. “A differenza degli studi accademici che si facevano un tempo – spiega la Montaldo - mi ha dato una visione innovativa. Intendendo il Museo come un centro culturale che interagisce con la comunità e col sociale a livello scientifico e formativo. Dobbiamo considerare che in Italia, fino al secondo dopoguerra, il Museo aveva ancora una struttura ottocentesca che era essenzialmente conservativa e di studio per pochi addetti ai lavori. Negli ultimi decenni è cambiato il suo ruolo anche in Italia, collocando come epicentro pubblico e comunità.”
Anna Maria ricorda con spensieratezza le sue mostre più significative. “Ce ne sono tante che ricordo con piacere. Tra queste, mi è rimasta nel cuore senz’altro la mostra dedicata a Maria Lai ‘Ricucire il mondo’, realizzata nel 2013. Si è svolta tra Cagliari, Nuoro e Ulassai poco dopo la sua scomparsa e ha ricomposto per la prima volta la grandezza della sua ricerca artistica. Ideare esposizioni è elettrizzante, come raccontare gli autori più famosi e valorizzare i loro percorsi artistici. A Milano ragiono alla mostra della pittrice siciliana Carla Accardi, grande esponente dell’astrattismo italiano e quella di Margherita Sarfatti di cui abbiamo colto aspetti inediti vista la sua individualità controversa ma sorprendentemente interessante.”
E poi rammenta i progetti che più l’hanno appassionata in questi anni di lavoro milanese. “A Milano ho scelto come obiettivo la realizzazione di un Museo che fosse procreatore di proposte, di idee, di relazioni, di comunicazione, piuttosto che un ‘palazzo delle esposizioni’ fine a sé stesso. Un luogo di scambio tra la comunità artistica e i cittadini: stimolante, legato al territorio ma anche aperto al mondo. La mostra riservata a Frida Kahlo al MUDEC (febbraio 2018) - per esempio - si è proposta di tracciare una nuova chiave di lettura attorno alla figura dell’artista messicana. La mostra su Giosetta Fioroni, al Museo del Novecento, che è stata una figura molto importante per il ‘900 italiano, ha messo in luce un’artista che si è fatta guidare dai sentimenti, senza cedere al sentimentalismo o alla banalizzazione”.
Il mondo dell’arte è in rinnovamento, soprattutto in virtù del momento che stiamo vivendo. “Sono convinta che un Museo oggi svolga un ruolo sociale considerevole – afferma Anna Maria -. Dev’essere un punto di riferimento scientifico e divulgativo, ma anche altro. È un tempo in cui se il pubblico non va al Museo, il Museo va dal pubblico e tutte le Gallerie hanno cercato di farlo in questa pandemia con esiti più o meno appaganti”.
Il tempo del Coronavirus si sta rivelando un formidabile incubatore per l’evoluzione della presenza digitale nella cultura. “Resta da capire quanto il moltiplicarsi delle iniziative, talvolta guidate dall’ansia di riempire il vuoto della presenza, abbia un responso in termini di godimento. La sensazione netta è che questo fenomeno abbia nel tempo un valore organico. Se è vero, infatti, che quando saremo usciti dalla pandemia e tutto ripartirà, la difficile e complessa ricostruzione non potrà che provocare una revisione strutturale dei modelli di gestione. In ogni caso ci dobbiamo aspettare una sempre maggiore integrazione tra quello che abbiamo chiamato finora virtuale e realtà. La sfida è comprendere come i comportamenti evolveranno al di là del momento contingente, per cogliere le opportunità e cominciare a ridisegnare le geografie del futuro, e anche i Musei dovranno saperlo fare. I Musei dovranno concentrarsi su una fruizione su misura, partecipata, che incida sul miglioramento della vita delle persone, donando un supporto per generare esperienze di valore.”
L’imperativo per Anna Maria Montaldo è quello che il Museo deve entrare in totale sinergia con le persone attraverso le mostre.
“Le esposizioni hanno una funzione fondamentale, la cui offerta deve essere interdisciplinare e garantire sguardi da diversi punti di vista. Soprattutto devono essere un’interpretazione, un racconto, una narrazione che parte dal contenuto e dalla mission del Museo. Non credo che un Museo debba impoverirsi per accogliere grandi mostre, per fare più visitatori possibili, per avere visibilità. Penso sia profondamente sbagliato. Le mostre devono avere il loro appeal, essere affascinanti, ma soprattutto devono preservare i canoni del Museo, essere di ricerca, un tramite per la conoscenza scientifica.”
Ispirandoci a una frase celebre di Dostoevskij, è concreto il pensiero che l’arte, la sua forza, la sua bellezza potranno salvare il mondo? “Assolutamente sì. Amare l’arte è una delle cose più naturali che esistano. Non importa praticarla, basta frequentarla, e nessun altro paese è così ricco di tesori artistici e paesaggistici sparsi per tutto il territorio come l’Italia. E dopo poco ci si accorge che l’arte migliora la qualità della vita. Di tutti”.
Massimiliano Perlato