Novembre 21, 2024

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    Nella bottega milanese di Angelo Mereu, orafo di Dorgali, c'è un quadro realizzato da suo fratello, il pittore Giovanni Mereu.

    Raffigura delle persone che trascinano, lungo la strada principale del paese, delle enormi sfere bianche.

    Sono palle di neve, mi spiegherà Angelo poco dopo.

    Il dipinto raffigura un sogno fatto dal fratello, legato a un ricordo di bambino: quando a Dorgali arrivavano le grandi nevicate per liberare il paese dalla coltre bianca si faceva rotolare la neve da un punto alto, poco più sopra, nella vicina campagna, e così, a poco a poco, a forza di rotolate, le strade venivano rese agibili. 

    Questo racconto è ispirato al quadro, al sogno, al ricordo. E a una tradizione che spero sia rimasta nella memoria di chi ci legge. 

     

    Fango, polvere, neve


    Ziu Caiccu ci aveva pensato tutta la notte. Era rimasto sveglio, davanti alla finestra, nel buio, a guardare la neve scendere piano.

    In silenzio.


    “Un annu ‘e ludu e pruine”, un anno di fango e polvere, aveva commentato con la famiglia la notte prima.

    La poca pioggia aveva reso il monte secco e, nelle poche volte in cui si era bagnato, era diventato un pantano scuro dove chi andava in campagna rimaneva bloccato sino al ginocchio.
    Ludu e pruine come la gente che era arrivata in paese, rientrata da chissà dove e da quei posti lontani dove si spalava il carbone. Gente che era tornata a casa portando uno sporco nel corpo e talvolta anche nell’anima.


    Mai come quest’anno Ziu Caiccu l’aveva aspettato, su nie. E ora sì, le sue preghiere erano state ben ascoltate, con gentilezza e garbo.

    Ogni volta che guardava verso il cielo quell’aria rossastra restituiva fiocchi ancora più grossi.
    Continuò a nevicare per tutta la notte e per il giorno seguente e, ancora, per tutta la notte successiva. Senza sosta.


    “Bene meda”, ripeteva Ziu Caiccu alla sera, schiacciando le castagne secche nella minestra.


    Quando si risvegliò aveva smesso di nevicare. Tutto il paese era avvolto in una bolla bianca. Dai terrazzi pendevano lunghi fili di ghiaccio che i più piccoli non vedevano l’ora di poter staccare e succhiare con gusto, come dei gelati.


    Ziu Caiccu uscì di casa e spalò a lungo, senza dire una parola.

    All’ora che tutti sapevano, anche senza mettersi d’accordo, lui e altri trenta uomini del paese si avviarono verso il monte e nonostante l’avessero visto fare solo una volta, anni prima, da bambini, fu un gesto naturale.


    Si iniziava con un cumulo piccolo che poi si compattava con le mani, fino a renderlo duro e solido.
    Quella che all’inizio del monte era una piccola palla di neve, quasi da lanciarsi, come in un gioco, quando raggiungeva l’ingresso del paese superava le spalle di Bobore, il più alto del gruppo.


    Gli uomini trascinavano le palle come facevano d’estate i carramerda, gli scarabei.
    Più le sfere diventavano grandi, più le porte delle case si liberavano dal muro bianco, le persone uscivano, bimbe e bimbi giocavano felici.


    Usciva anche sa gente pruinada e tutti quei giovani visi rugosi sorridevano a Ziu Caiccu, perdendosi nel movimento di quelle grandi palle bianche che nel loro lento rotolare portavano via tutto, pruine, ludu e brutti pensieri. 

     

     

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    Foto gentilmente concessa da Angelo Mereu, dipinto di Giovanni Mereu, 1970

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    Se avete ricordi o foto di questa tradizione, scriveteci a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

     

     

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    La medicina popolare magico - superstiziosa era diffusa in tutta la Sardegna e ancora oggi alcune pratiche vengono utilizzate e tramandate. Comprendeva diverse “terapie” e “trattamenti”, alcuni più pratici, come le fumigazioni contro l’infermità, unguenti per il mal di ossa, preparati per l’inappetenza, altre più spirituali, come la medicina dell’occhio. Questi riti non avevano lo scopo di procurare danno a qualcuno, ma di alleviare le sofferenze della vita quotidiana in un mondo nel quale la medicina e la scienza erano molto lontane e l’arte della cura si basava sulla conoscenza delle erbe e della natura. Si trattava di quella che viene definita “magia bianca”.

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