Viaggiare, viaggiare, viaggiare: è il forte incedere che Marilena Lionetti sente dentro di sé. Trentacinque anni, di mamma sarda (la travolgente Beatrice Spano, carica empatica incondizionata che in quel di Cesano Boscone, hinterland meneghino, è presidente del sodalizio “Domo Nostra”, casa degli emigrati sardi e di tutti coloro che apprezzano le peculiarità insulari) e papà pugliese.
Lei si definisce cittadina del mondo per questa sua natura di globalizzare pensieri ed immagini.
“Purtroppo – sottolinea Marilena – con questa spada di Damocle della pandemia, ho dovuto forzatamente rivedere i miei piani. Viaggiare è diventato complicato.”
Anche per Marilena, come per la stragrande maggioranza dei sardi di seconda generazione, l’isola nel cuore del Tirreno è un suo rifugio interiore: “La Sardegna è la terra da cui non scapperei mai. Io che ho due tipologie diverse di sangue che mi scorre nelle vene – evidenzia – come diceva Elsa Morante, non trovo né riposo né contentezza nei luoghi in cui sono. Ma l’isola appaga totalmente il mio essere, grazie ai suoi paesaggi sconfinati, alla natura incontaminata. Un luogo ove il tempo è sospeso per farsi gratificare da coloro che hanno la capacità di saperlo apprezzare”.
L’ombelico del mondo di Marilena è quel luogo che ha la valenza fortemente autoritaria di rigenerare l’animo:
“Sarà il profumo delicato del ginepro, del mirto o dell’elicriso, sarà quel cielo stellato che sembra si possa toccare con un dito, ma ogni volta che mi faccio cullare dalla mia isola, il mio cuore ne trae beneficio”.
Considera la Sardegna “terra madre”, i luoghi di origine di mamma Beatrice che attraverso i valori della famiglia, preservando i legami anche con il territorio, ha donato alla figlia le premesse per un accrescimento culturale legato alla tradizione dell’isola, come l’apprendimento della lingua o semplicemente del ballo tipico, per esempio.
Vive a Milano, la città ideale per mettere in pratica il suo dinamismo e il desiderio di essere attiva e intraprendente. E’ la città dalle mille opportunità dove Marilena Lionetti ha condotto i suoi studi come la psicologia e la lingua dei segni:
“Ho studiato cinque anni – mi racconta – raggiungendo la Laurea Magistrale in Psicologia Clinica e altri cinque anni la Lingua dei Segni conseguendo il titolo di interprete LIS (lingua dei segni italiana). E’ da osservare a tutti gli effetti come una lingua universale con cui confrontarsi.”
Mi evidenzia come l’Italia si possa considerare l’unico Paese in Europa a non aver ancora riconosciuto ufficialmente questa lingua.
Marilena ha altresì frequentato una scuola di Psicogenealogia e costellazioni familiari e dopo la Laurea ha seguito un master sulle relazioni cliniche di coppia ed un corso di formazione sul trattamento dei disturbi della fluenza verbali, quali le balbuzie e il cluttering. “Adesso – mi aggiorna – sto svolgendo il tirocinio come psicologa presso l’istituto Riza di Psicosomatica ed è tramite questa opportunità che vorrei diventare psicoterapeuta anche se il percorso di studio è ancora lungo”.
Marilena è un fiume in piena ed è semplice lasciarsi trascinare dal suo racconto, dalle sue capacità anche di sperimentare attraverso le sue esperienze di vita, cosa significhi la solidarietà nei confronti del prossimo.
Da oltre dieci anni esercita in campo educativo ed in particolar modo con le disabilità specifiche della sensorialità. “Lavoro nelle scuole e in servizio comunale oltre la professione di interprete LIS” – mi spiega.
L’aggancio con il suo “secondo amore” viene del tutto naturale ed è una logica conseguente al suo esporre: “In tutte queste grandissime occasioni che la vita mi ha dato, c'é una parentesi bellissima che si chiama Africa e nello specifico si chiama Kenya. Dopo un viaggio in India che ho fatto nel 2010 e che cambiò completamente la mia visione del mondo, l'anno successivo decisi di partire per i cantieri della solidarietà, dei campi estivi organizzati da Caritas ambrosiana in varie missioni nel mondo. Scelsi proprio il Kenya. Fu amore a prima vista! La terra rossa, i baobab, i sorrisi, gli animali, il cielo stellato così vicino, che ricordava tanto la mia Sardegna”.
“E’ stata una delle esperienze di vita che più mi hanno lasciato un segno tangibile nei miei pensieri. Una volta rientrata a Milano ero avvolta dalla malinconia di quei territori. E’ proprio vero quando si parla del Mal d’Africa! Esiste eccome”.
Da lì la decisione per l’acquisizione del classico “periodo sabatico” che è propria del carattere volitivo di Marilena di ponderare un ritorno in Kenya: “Con una mia amica ci siamo trasferite in un convento vicino a Nairobi e facevamo le volontarie in una scuola. Ad ognuna di noi – riferisce – era stata assegnata una classe. Oltre a questo insegnavamo italiano alle suore e catechismo ai bambini delle baraccopoli limitrofe. Siamo state alcuni mesi in quel contesto ed abbiamo ricevuto molto più di quanto abbiamo donato. Ho appreso il significato più intrinseco della condivisione, l'attesa, la forza della fede, l'arte dell'arrangiarsi e la grandissima umanità di quel popolo. Ho persino imparato ad amare la pioggia. Si perché lì la pioggia è benedizione, che permette di abbeverare i villaggi, di irrigare i campi. Era anche l’opportunità dopo averla bollita, di avere risorse d’acqua sufficienti per bere”.
Marilena è tornata altre tre volte in Kenya, lavorando in un ospedale per malati terminali, nelle baraccopoli, in un orfanotrofio di bimbi sieropositivi, nel carcere di Nanyuki, a contatto con i bimbi di strada. Ha scoperto cosa significhi amare e donare. “Uno dei miei sogni nel cassetto è proprio quello di partire come psicologa senza frontiere e tornare in Africa. Chissà se magari un giorno questo sogno potrà realizzarsi”
Massimiliano Perlato