Maggie S. Lorelli, musicista e scrittrice nata ad Alghero, ha iniziato lo studio della musica a sei anni, in un primo momento apprendendo la tecnica del clarinetto e in seguito del pianoforte.
Dopo aver ottenuto brillantemente la laurea di primo livello di Pianoforte presso il Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Torino, si è laureata in Lettere, indirizzo musicologico presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino con una tesi sulla musica pianistica del compositore Alfredo Casella, compiendo anche studi di Scienze Politiche, Composizione e Musica Elettronica. Si è poi trasferita a Roma dove fra le altre attività ha conseguito la Laurea in Didattica della Musica presso il Conservatorio “Santa Cecilia” e, dopo aver partecipato a numerosi corsi di perfezionamento pianistico, ha svolto attività concertistica come pianista e in varie formazioni da camera.
Ha lavorato per dieci anni presso la Feltrinelli e, come autrice radiofonica, ha collaborato con Radio Tre Rai e Radio Vaticana scrivendo e conducendo programmi musicali. Dopo uno stage giornalistico presso l'agenzia di stampa Adnkronos e dopo aver scritto in varie riviste musicali specializzate, è giornalista pubblicista e collabora con diversi portali e periodici web. È docente di ruolo di Pianoforte presso un Liceo Musicale e svolge attività concertistica come pianista e in vari ensemble musicali fra i quali “Le Musae Ensemble”, formazione femminile da lei fondata, con cui promuove la riscoperta e la valorizzazione delle opere delle compositrici nella Storia della Musica. Alla passione per la musica affianca quella per la scrittura: ha al suo attivo numerosi racconti, “Automi” (Catartica), il suo romanzo d'esordio e il recente “The Human Show” (Castelvecchi).
E con lei, parliamo proprio della sua ultima pubblicazione stampato da una casa editrice storica. Maggie è super impegnata attualmente in giro per l’Italia per la promozione del libro.
Il titolo del romanzo richiama in maniera evidente il noto film “The Truman Show”. Perché hai voluto richiamarlo?
Perché sono convinta che ci troviamo in una sorta di set. Come nel film di Peter Weird il protagonista Truman Burbank (Jim Carrey) si trova a vivere inconsapevolmente la propria vita sotto i riflettori, così un regista occulto, inconsistente eppure coercitivo, domina la nostra vita, condizionando in nome del profitto le nostre relazioni, i nostri comportamenti, il linguaggio e persino i nostri schemi di pensiero.
Da chi è rappresentato questo potere?
Apparentemente dai grandi magnati della tecnologia che, come nuovi dei, creano mondi paralleli e nuove dimensioni in cui noi umani ci rifuggiamo per rifuggire - mi scuso per il gioco di parole - la routine quotidiana. In realtà però il vero dominus attualmente è il consenso, in nome del quale siamo disposti a barattare la nostra individualità per aderire a logiche comunicative omologate che non ci appartengono e che stanno determinando un’involuzione antropologica e culturale.
Fammi un esempio…
Magari, se fosse per noi, avremmo voglia di mostrarci avvolti da un plaid a guardare un film con i calzettoni di lana in un momento di relax, o esprimere un pensiero originale, ma attira decisamente più like o cuoricini vari mostrarci in giro a sollevare inutilmente dei calici in compagnia, oppure fare balletti demenziali scimmiottando qualche pop star o riproducendo in playback battute di altri. Siamo dei replicanti. Manchiamo del coraggio che richiede l’essere semplicemente se stessi.
Il riferimento è ai social network e alla manipolazione che c’è dietro?
Senz’altro, ma anche a tutto il resto. In generale la rete è una realtà parallela fortemente manipolatoria. Nel romanzo descrivo un nuovo Olimpo di falsi dei che determinano le sorti umane attraverso la seduzione di vite perfette e sfavillanti che fanno leva sulle frustrazioni dei comuni mortali che si abbeverano di tali fake e ambiscono a elevarsi in queste dimensioni artificiali e effimere.
Cosa perdiamo in questa migrazione in una dimensione virtuale?
Credo che sia la sfera emotiva a farne le spese. Nella nostra proiezione virtuale e nelle relazioni che stabiliamo online poniamo in essere una dissimulazione. Cercando di apparire migliori, occultiamo artatamente il nostro lato oscuro e le emozioni che ci pervadono nella vita quotidiana, che non sono sempre esaltanti. Le emozioni negative, la sofferenza, la povertà, le malattie, le “diversità” o, per meglio dire, le unicità, la legittima mediocrità sono dei tabù social, a meno che non vengano spettacolarizzati e diventino essi stessi strumenti di consenso. Accade anche questo.
Questi sono i temi del tuo romanzo?
C’è molto altro. Per esempio c’è una grande storia d’amore. Quell’amore che latita un po’ nei nostri tempi dominati da un edonismo sfrenato. L’amore invece comincia quando si distoglie lo sguardo da se stessi o dallo specchio in cui si rimira la propria immagine idealizzata, e si volge lo sguardo all’altro, agli altri. L’amore richiede attenzione, ascolto, tempo, tutto ciò che manca nel circo virtuale. Nel mio romanzo l’amore appare come la sola forza che può contrastare il delirio narcisistico della nostra epoca e che può abbattere le barriere dello schermo per farci recuperare una purezza e un’autenticità che sembriamo aver perso.
Il romanzo è apparentemente futurista, ma in realtà parla di noi, è terribilmente attuale. Perché dovremmo leggerlo?
Perché ci costringe a guardarci dentro e a fermarci a riflettere sulla condizione umana. E’ un libro che è allo stesso tempo un atto di denuncia, un grido d’allarme e un moto di speranza. In particolare, ripongo tutte le mie speranze non solo nelle donne, dotate già di per sé di un’intelligenza emotiva e di un’empatia innata che può curare il mondo, ma in generale in tutte le persone che abbiano il coraggio di mostrarsi nude nella propria verità interiore, senza preoccuparsi di piacere a tutti i costi, ma unicamente desiderose di piacere innanzitutto a se stesse. E’ un’epoca in cui ci si mostra troppo, ma ci si ama poco così come si è. Questo è esattamente il presupposto per amare gli altri e ricucire, attraverso l’amore, una società disgregata.