Claudio Moica, classe 1963, originario di San Giovanni Suergiu è scrittore ma anche tanto altro. E lo scopriremo in questa piccola chiacchierata che sancisce un nostro percorso d’amicizia e collaborazione giornalistica, datato negli anni.
“Sembra ieri ma sono passati quasi 61 anni dalla mia nascita – esordisce -. Ho avuto la fortuna di veder la luce negli anni ’60, nel periodo del boom economico italiano ed ognuno di noi sapeva di avere un futuro lavorativo certo. Altrettanti propizi sono stati gli anni della mia adolescenza – dice con un pizzico di nostalgia -, anni ’70, perché vivendo in una società in sviluppo potevamo scoprire tutti i giorni qualcosa di diverso. La socializzazione era il nostro compito giornaliero e come tutti i coetanei, dopo la scuola, la piazza o l’oratorio erano i nostri ritrovi abituali”.
Racconta Claudio gli anni inimitabili molto lontano da quelli attuali che vivono le nuove generazioni. “Essendo nato in un paese del Sulcis Iglesiente, gli echi delle novità arrivavano sempre con un po’ di ritardo ma nonostante tutto sperimentavano, con i pochi mezzi a disposizione, ogni possibile passatempo per stare al passo con il progresso: dalla musica allo sport, dalla scrittura allo spettacolo tanto che ho potuto frequentare il conservatorio come auditore e imparare a leggere la musica per poi suonare la fisarmonica e il sax tenore. Tutto questo ci ha concesso di avere una conoscenza ampia in molti settori. Dal paese la prima uscita in autonomia si presentava al primo anno delle scuole superiori, nel mio caso alla Ragioneria di Carbonia ora Istituto Tecnico Commerciale”.
Un universo peculiare quello della minuscola realtà paesana.
“Sono stati anni felici e spensierati. Nel 1983 per evitare di fare il militare nell’esercito, allora la leva era obbligatoria, decisi di arruolarmi nell’Arma dei Carabinieri in modo da trascorrere un anno perlomeno con uno stipendio”.
L’esperienza per Claudio fu talmente pregnante che diventò il lavoro che gli permise di uscire fuori dall’isola e approdare a Firenze, dov’è rimasto per 20 anni. “La Toscana, che considero la mia regione d’adozione, mi ha regalato esperienze e conoscenze impareggiabili e tuttora sono legato da amicizie fraterne. Possiamo dire che alla Toscana devo gran parte della mia crescita personale nel bene e nel male. In Toscana ho deciso di sposarmi ma anche di separarmi, in Toscana ho conosciuto grandi personaggi della cultura, della politica e dello spettacolo, in Toscana ho messo la mia prima pietra sulla scrittura poetica”.
E il passo verso il Claudio Moica scrittore è breve e naturale.
“Nel 2004 pubblicai il mio primo libro ‘Vertigini di vita’, in cui in modo sincero e semplice descrivevo le mie emozioni più eclissate – rammenta Claudio -. Lo proposi nel mio paese d’origine e a battezzare il mio esordio letterario fu il prof. Mario Puddu, linguista e scrittore. Fu come una droga, come rinascere ad una nuova vita. Mi misi a studiare, a leggere i poeti classici ma anche quelli contemporanei, perché volevo far germogliare una mia cifra stilistica, un mio modo di scrivere. La conoscenza di grandi poeti e scrittori sicuramente mi ha aiutato a migliorare il mio approccio verso la scrittura e questo traspare nei libri che seguirono”.
Sono poi stati pubblicati ‘Oltre lo sguardo’ e ‘Angoli nascosti’. “Quest’ultimo nato dopo essere stato per una settimana con i frati francescani dell’Eremo delle carceri ad Assisi. E poi il mio primo romanzo, una mia poesia letta da Arnoldo Foà alla Biennale della Poesia di Venezia fino all’incontro con la poeta Rita Pacilio che ha trasformato il modo di scrivere, mi ha trasmesso la bellezza delle quartine, mi ha insegnato come far fluire le emozioni dal cuore alla penna. A coronare questo incontro il nostro libro ‘Di ala in ala’ definito da Dante Maffia come il nuovo Cantico dei Cantici”.
Per Claudio Moica la prosecuzione con altri libri di poesie, un altro romanzo ma soprattutto diverse collaborazioni con grandi poeti come Beppe Costa.
“Quest’anno festeggio i miei 20 anni dall’esordio con l’uscita del mio ultimo libro ‘Se ritorno non sarà per caso’ e non nego che da tempo coltivo il pensiero di fermarmi con le pubblicazioni fino a che non avrò qualcosa di nuovo da proporre. Chissà se riuscirò a mantenere la promessa”.
Possiamo conseguentemente affermare che la scrittura ha donato a Claudio la possibilità di dare sfogo alle sue fantasie e alle sue capacità organizzative. Nel 2006, dopo esser rientrato in Sardegna da Firenze, ha fondato la sua prima associazione culturale ‘Suergiu Uniti nella cultura’. Tanti sono stati gli eventi culturali che ha organizzato e ideato: ‘La fiera del libro del Sulcis Iglesiente’, ‘Il maggio letterario’ (primo evento itinerante della Sardegna), ‘Il festival culturale LiberEvento’ (quest’anno giunta alla XIII edizione), laboratori di scrittura nel reparto psichiatrico di Carbonia, al Centro di Salute mentale di Carbonia, all’associazione per sofferenti psichici, al carcere di Uta nella sezione femminile, la creazione di un giornale online, fino alla fondazione dell’associazione Editori Sardi Indipendenti che lo vede con l’incarico di Presidente. Nel 2008, inaspettatamente, il Presidente della Repubblica Napolitano per premiare il suo impegno nell’ambito della cultura e del sociale, lo nomina Cavaliere della Repubblica Italiana.
“La scrittura mi ha permesso di dare vita a tutte quelle mie idee che dovrebbero valorizzare la Sardegna e nella fattispecie il territorio in cui vivo – riferisce -. Non meno importante dare voce a tutte quelle persone che la società emargina perché affetta da patologie o magari per aver commesso degli errori importanti. Sono loro che mi consentono di dare uno scopo alla mia vita”.
Dopo un piccolo momento riflessivo, Claudio ha ancora qualcosa da aggiungere, nelle tematiche che più gli stanno a cuore. “Quando nel 1984 mi sono trasferito a Firenze – racconta -, ho lasciato una Sardegna in grande fermento, respirava con grande entusiasmo, in espansione economica e lavorativa. Le feste paesane erano i momenti in cui si potevano visitare luoghi e usanze diverse dalle nostre. Posso affermare che davvero meraviglioso vivere l’isola in quegli anni. L’ho vissuta da emigrato nel periodo estivo e non mi sembrava che ci fossero stati grandi cambiamenti. L’impatto violento al mio ritorno: una Sardegna diversa, priva di obiettivi, di giovani che si attivassero per il proprio paese. In questi ultimi 20 anni l’isola è come fosse caduta in un baratro, in un pozzo senza fine. Nulla che la riporti ai suoi splendori anzi la vedo in un trend che peggiora di giorno in giorno”.
La diminuzione della popolazione la porterà nel giro di un decennio ad avere meno di un milione e mezzo di abitanti, l’aumento dell’emigrazione favorirà l’impiego di persone non sarde in uffici strategici, perdendo di fatto, le radici e l’identità storica. “Questo peggioramento sociale – continua nella sua legittima ponderazione - ha influenzato anche la politica che da decenni sta trascinando la Sardegna allo sfacelo. L’alternanza degli schieramenti è servita solo a far cambiare le persone che occupavano poltrone importanti ma di certo nulla è mutato. Si potrebbe citare la famosa frase tratta dal ‘Gattopardo’, ‘Bisogna cambiare tutto per non cambiare niente’, e i risultati negativi nell’isola sono abbastanza evidenti a tutti”.
Cosa rimane di quell’isola millenaria con i suoi Giganti, i suoi Nuraghi, le sue Domus de Janas, i suoi litorali, le sue chiese, la sua storia? “Restano solo macerie, ricordi di tempi in cui con una stretta di mano si firmavano contratti, in cui il rispetto per gli altri era il primo insegnamento nelle famiglie, in cui la socializzazione non era mettere un ‘Like’ in un post ma ritrovarsi la sera tra vicini e parlare, condividere problemi e progetti. La Sardegna è diventata meta di multinazionali che in virtù della nostra decrescita, vogliono impossessarsi dei nostri terreni per accrescere le loro entrate economiche. Nei campi una volta dei contadini ora nascono impianti fotovoltaici, nei mari una volta dei pescatori ora saranno realizzati impianti offshore di pale eoliche, saremo circondati e di noi non resterà più traccia. Di noi e dei nostri animali: gli uccelli migratori saranno massacrati dall’eolico cosi la rotta dei tonni che disturbati dalle vibrazioni eviteranno l’isola. E la politica cosa fa in tutto questo? Nulla, assolutamente nulla! Purtroppo ‘Sa die de sa Sardinia’ resta un semplice giorno di festa per non frequentare la scuola e il sacrificio di quei sardi valorosi non è servito a nulla. Ci restano le spiagge, quelle non acquistate da mecenati arabi o del nord Italia, i panorami per ora incontaminati, saranno destinati a sparire per lasciare spazio a torri gigantesche e pannelli, accumulatori di corrente che non serviranno ai sardi e forse nemmeno al resto dell’Italia”.
Forse la Sardegna resta viva nei ricordi delle vecchie generazioni e degli emigrati, di quei circoli che ancora tramandano la nostra storia ai loro figli. Un’isola che ormai non esiste più ma che resterà nel tempo per merito di quei figli di Sardegna che travolti dalla ‘Saudade Sarda’ la raccontano e la promuovono rendendola immortale.