"Lo vedi il mare? Rispecchia nelle sue belle onde la magnificenza del sole, e anche le stelle ma, nel punto in cui si trova la perla tanto pura, là c'è una notte oscura. E io sono il mare e dentro questa onda naufraga l' indomito pensiero, ma sopra il mare brillano vagabonde, come fossero raggi di sole, le mie care, gioiose canzoni"
Ci sono poeti che lasciano nel corso della loro vita aloni di arte e versi che sfiorano i luoghi vissuti, persone e profumi che hanno caratterizzato il loro passaggio sulla Terra.
Poeti che, seppur angosciati da vicende personali riuscivano a colorare, caratterizzare ogni piccolo momento e a far sì che ogni personalità prendesse vita tra le righe della poesia.
Uno di questi è Antioco Casula, a tutti noto come Montanaru che ha cantato Desulo, un paese “fiero e rude in mezzo a castagni secolari”e la Sardegna attraverso la musica di un organetto (“Serenada de jerru”), che ha commosso con la storia de “Sa tia de filare”, cantato d’amore e passioni, di sofferenze e storie di vita quotidiane. Leggere Montanaru è come guardare Desulo, luogo a lui tanto caro, attraverso una di quelle sfere con dentro la neve che anche quando la si agita lascia il paesaggio così com’era: immutato, quasi irreale, chiuso nei suoi usi e nelle sue tradizioni, nei suoi costumi variopinti tra venditori di utensili in legno e castagne. Montanaru ha amato senza chiedere nulla e anche oggi, a oltre cinquant’anni dalla morte l’eco delle sue poesie risuona ancora nelle montagne del Gennargentu. Lo fa nelle canzoni dei cori polifonici che portano oltre i confini paesani quelle note, attraverso gli storici e gli anziani che ricordano quel poeta dall’aria malinconica e forte allo stesso tempo. Desulo ha festeggiato in più occasioni il suo “vate”, poeta anticonformista nato nel 1878 che definiva se stesso “un randagio tra le strade di Sardegna”.
Ma Montanaru oggi sarebbe soddisfatto dei concittadini che guardava dalla finestra della sua casa nel rione di Ovolaccio? Ci sarebbero ancora i suoi Tiu Bustianu Sale, Tiu Boere Mannu, sa Tia de Filare…? Avrebbe ancora tradizioni e sogni da cantare? Probabilmente no. O magari si, ma in maniera minore. I tempi sono cambiati anche per questo paesino immerso nelle montagne e di tie in costume che filano sulla porta di casa ne sono rimaste poche. Così come di quegli umili venditori di “truddas e tazeris” che andavano a vendere i prodotti nel resto della Sardegna.
Ci sono i cori, “is priorissasa” e le varie festività-religiose e non- che vedono quasi un ritorno, o almeno una celebrazione di quella tradizione che in tanti apprezzano. Ma è la vita di tutti i giorni, quella che Montanaru tanto amava ad essere profondamente cambiata. Antioco Casula avrebbe tenuto fede al suo animo poetico continuando a disegnare con il pennino panorami nuovi e, come diceva il maestro Tonino Puddu, profondo conoscitore del poeta che ha trasformato in musica le sue rime: « Non sarebbe mai andato in tv. Sarebbero i media a venirlo a cercare a Desulo». Questo proprio per via di quel suo carattere che lo portò ad abbandonare gli studi e ad arruolarsi nell’arma, ad essere denigrato per le sue idee politiche, a piangere la morte prematura del figlio e della prima moglie e a continuare a trasformare il mondo in versi.
« Nelle sue poesie- ha spiegato Nanni Pirodda, professore di letteratura italiana a Cagliari e fra i maggiori studiosi di Montanaru- c’è l’esigenza di conservare con cura, di difendere e tutelare l’ambiente da trasformazioni ingiustificate e non rispettose dei valori culturali. Modernissima è la critica agli incendiari e ai distruttori dei boschi e non è un caso se tanti cantori usano le sue musicalissime poesie». E a proposito di attualità, oggi che si parla tanto di limba e si cerca la lingua ufficiale sarda, Montanaru avrebbe scelto, come fece per le sue odi, il logudorese che però, come sottolinea Pirodda, « non impone come modello o scelta unica. »
Gli americani, quando hanno sentito cantare e ospitato i tenore San Gavino di Oniferi nel 1993, avevano detto: “Voi con queste canzoni state dicendo chi siete. Noi, invece, ancora non sappiamo chi siamo”. Montanauru amava il suo popolo e la sua terra più di ogni altra cosa, per questo riusciva a darne una descrizione così viva e precisa, trasformando in poesia le notti di luna (“Este una notte ‘e luna”) e cantando ninna nanne per il figlio defunto (“Ninna Nanna de Antonistene”).
E se Foscolo diceva che il ricordo è l’unica possibilità di vita eterna, l’unico modo per non far mai morire chi si ama a tal proposito, sono giuste le parole di Giovanna Cerina, docente di letteratura italiana: “Il vostro poeta continuerà a vivere se voi lo leggerete e lo ascolterete. D’altronde, voleva essere in consonanza con voi, con la sua comunità e ha parlato non solo ai suoi contemporanei ma alle nuove generazioni, tramandando realtà che a Desulo continuano ad esistere, come il filare, il ricamare, il tessere delle donne così magicamente reale nella bellezza dei costumi”.
Mariella Cortes