Classe 1941, Michele Pintus ha studiato a Macomer (elementari), Olbia (medie), Sassari (liceo) per terminare a Cagliari dove, nel 1961 consegue la laurea in Ingegneria edile con orientamento architettonico avviando la carriera universitaria. Docente di Disegno, rappresentazione del territorio e storia dell'architettura, ha sempre svolto attività professionale prevalentemente nel campo architettonico; è suo il progetto per il recupero del colle e del Castello di San Michele a Cagliari, del parco di Monte Claro, della Facoltà di Psicologia e dell'hotel Caesar's. Ha partecipato e organizzato numerosi congressi, è autore di diverse pubblicazioni tra le quali ricordiamo i volumi sui centri storici di Cagliari (Castello, Marina, Villanova e Stampace).
È stato presidente dell'Automobile Club Cagliari, presidente dell'Associazione italiana di illuminazione (AIDI) per la sezione Sardegna, attualmente è presidente della sezione Sardegna dell'Istituto Italiano dei Castelli, di cui è anche vicepresidente nazionale.
Con lui abbiamo affrontato principalmente le tematiche relative alla salvaguardia e tutela delle strutture storiche, alla necessità di far conoscere e apprezzare la storia sarda e alle prospettive del turismo culturale in Sardegna.
1. Quali sono i principali obiettivi dell’Istituto Italiano dei Castelli che festeggia, nel 2014, i suoi 50 anni di attività?
Sono passati 50 anni dalla costituzione dell’IIC ad opera di Piero Gazzola: abbiamo celebrato questa importante tappa con un convegno a Bologna a fine novembre, che ha coinvolto tutte le Sezioni italiane con interventi interessantissimi da parte di docenti universitari, storici e studiosi che hanno ribadito gli obiettivi che l’Istituto si è posto fin dalla sua istituzione e che ha portato avanti con costante impegno: lo studio storico, archeologico e artistico dei castelli e degli altri edifici di difesa statica previo censimento; la loro salvaguardia e il loro inserimento nel ciclo attivo della vita moderna; la diffusione dell’interesse di questi monumenti e della storia che essi con la loro presenza attestano. Ognuno di questi aspetti meriterebbe una lunga e attenta analisi per la completa visione del nostro operato, ma la sintesi proposta credo dia ampia chiarezza delle problematiche che devono essere affrontate per convincere tutti dell’importanza di un passato così importante e della necessità di salvaguardarne i testimoni principali.
2.Vogliamo elencare le attività svolte dalla Sezione Sardegna?
L’Istituto Italiano dei Castelli, struttura che opera in ambito nazionale ed europeo (collabora con Europa Nostra che ha assorbito l’Internationales Burgen Institut), è suddiviso in sezioni che corrispondono alle diverse regioni italiane; questo consente non solo di ripartire nell’intero territorio nazionale le azioni e le attività ma, anche, di rapportarle alle diverse esigenze e precarietà che si riscontrano nello stesso territorio. La Sezione Sardegna ha seguito, sin dalla sua nascita nel 1970, le indicazioni del fondatore e contenute nello statuto (ricordo che il fondatore Piero Gazzola ha operato a Cagliari per il recupero dell’ex arsenale, attuale Cittadella dei musei) con una operatività instancabile che sta per entrare nel suo 45esimo compleanno. Con le nostre attività partiamo da una storia molto più antica rispetto alle altre regioni d’Italia: la sezione Sardegna affonda i suoi interessi nel megalitismo, nel prenuragico e nel nuragico: tutti periodi che vantano edificazioni e strutture a presidio e a difesa del territorio. Pensiamo alle torri (i nuraghe) che oltre cinquemila anni fa segnavano il paesaggio sardo per imponenza e per numero (oltre diecimila)! Altra particolarità della Sardegna, tutt’altro che trascurabile, è la presenza contemporanea di ben quattro regni in questa grande-piccola Isola! Periodi storici differenti che affrontano in modo diverso le problematiche della difesa con strutture particolari, sia dal punto di vista architettonico che paesaggistico e sociale. A noi, alla nostra sezione, spetta portare a conoscenza di tutti, soprattutto dei sardi ma non solo, questi monumenti, imponenti come le torri nuragiche ma anche meno appariscenti come i castelli dei diversi regni ridotti molto spesso a ruderi, pregni di storia e del passato di questa Isola. Partendo dai “nuraghes”, vogliamo recuperare la lunga storia della Sardegna passando per i fenici, i punici, i romani, i vandali, i bizantini, i re giudicali, ecc. non raccontandoli come episodi autonomi quanto come un susseguirsi di avvenimenti interconnessi che, evolvendosi, danno vita a realtà diverse per arrivare a quella attuale. Questo viene attuato attraverso conferenze, convegni, giornate di studio, visite guidate e lezioni nelle scuole di qualsiasi grado.
3. In più occasioni, l’analisi dei dati rileva che di tutto il nostro patrimonio culturale solo una minima parte viene effettivamente valorizzata. In che percentuale rientrano i castelli?
Quello che la sezione Sardegna fa per la conoscenza e valorizzazione del notevole patrimonio culturale che riguarda tutte le opere fortificate è frutto di notevoli impegni, che il più delle volte non godono di adeguato supporto da parte degli enti e istituzioni che dovrebbero salvaguardarle. Ciò che rende tutto più difficile! Certo, la mancanza di fondi è più che giustificata ma non lo è la scarsa attenzione nei confronti delle attività culturali assolutamente gratuite che i soci dell’Istituto portano avanti sempre con grande passione. La poca attenzione e valorizzazione è estesa a tutto il patrimonio culturale relativo alle fortificazioni (castelli compresi) che, una volta cessato lo scopo per il quale sono state edificate, perdono qualsiasi interesse per la loro sopravvivenza: in questo caso diventa fondamentale l’impegno del nostro Istituto. E’ grazie a questo costante impegno che alcuni monumenti sono stati adeguatamente valorizzati e reinseriti nella vita moderna, come previsto dagli articoli dello statuto. Pensiamo all’ex arsenale di Cagliari, di cui ho detto, al colle e castello di San Michele alla cui valorizzazione ho partecipato con un progetto FIO finanziato dalla Comunità Europea nella metà degli anni 80 e concluso nei primi anni 90. Una percentuale bassissima per quanto riguarda il riuso, al di sotto del 5%! Va un po’ meglio per quanto riguarda la conservazione, ma molto c’è ancora da fare per rendere questi siti accessibili e visitabili.
4.Rispetto ad altre regioni d’Italia la Sardegna non può vantare un castelliere intatto. Come promuovere quelli che, escluse rare eccezioni che le chiederei di elencare, sono di fatto dei ruderi?
I castelli in Sardegna sono molto diversi da quelli delle altre regioni d’Italia in quanto diverso era lo scopo per il quale sono stati costruiti in relazione ai regni, i quattro regni autonomi che caratterizzavano la Sardegna. Non sono edifici destinati alla residenza del re o del principe, del Signore padrone assoluto del territorio di sua pertinenza. No! Sono strutture a presidio del territorio sul quale governa un re con tanto di leggi. Norme, queste, che sancivano diritti e doveri dei sudditi e che garantivano uguaglianza e certezza del diritto. La loro evoluzione ha visto il culmine con Eleonora d’Arborea, rimasta famosa per aver promulgato la Carta de Logu cui si è fatto riferimento praticamente fino all’Ottocento con lo Statuto Albertino. Si è trattato quindi di edifici sorti per la difesa del territorio e distrutti molto spesso dagli stessi esecutori prima di doverli abbandonare per la sconfitta o dai conquistatori in segno di vittoria. Nell’uno e nell’altro caso ciò che è rimasto è il segno tangibile della storia del monumento (anche solo allo stato di rudere) e di ciò che esso rappresenta a prescindere dallo stato di conservazione. Detto questo, tutti i castelli meritano di essere conservati, in qualunque stato ci siano pervenuti, non tanto per la loro bellezza artistica e architettonica ma perché ricchi di storia, di un passato che non può essere dimenticato e che appartiene a tutta la comunità. Bisogna imparare a raccontarli dopo averli resi raggiungibili e inseriti in appositi itinerari turistici. Questi sono gli obiettivi dell’Istituto, quindi i nostri obiettivi e di tutti coloro che amano la storia, la propria storia!
5.Controverso è il discorso sugli interventi di restauro e ricostruzione. Dove sta la strategia più adatta volta a una conservazione delle strutture?
Tanti interventi di restauro, nessuno di ricostruzione! Direi che questo non è grave! E’ più grave aver fatto il restauro e basta, nella convinzione che questo è quanto andava fatto per poi passare all’abbandono più assoluto. Il restauro va bene nel senso di conservare quanto è rimasto del monumento, ma è necessario dargli un senso e un seguito, portando la struttura alla conoscenza del più vasto pubblico alla fruibilità più completa possibile del monumento in modo da farlo parlare per tutto quello che è e che rappresenta. La storia del restauro è ricca di significativi esempi che riguardano le architetture fortificate, è parabola della più generale storia delle teorie del restauro e delle modalità operative che si sono succedute dalla fine del XIX secolo ad oggi. Solo per citare qualche esempio tra quelli maggiormente conosciuti, ricordiamo le ricostruzioni di Carcassonne e Pierrefonds ad opera di Viollet le Duc in Francia, la costruzione del complesso del Valentino a Torino e il restauro di Porta Soprana a Genova ad opera di Alfredo D'Andrade, la ricostruzione della torre del Filarete nel Castello sforzesco di Milano di Luca Beltrami, il restauro filologico della Porta Ticinese a Milano curata da Camillo Boito, le sperimentazioni dei nuovi preparati chimici negli interventi di conservazione Piero Sampaolesi sul arco di Alfonso d’Aragona di Napoli, fino ai contemporanei progetti di fruizione e reintegrazione delle strutture con linguaggio contemporaneo.
6.Sarebbe favorevole a una ricostruzione filologica delle strutture? Sarebbe possibile?
Se anche fosse possibile non ritengo necessaria la ricostruzione, ancor meno filologica, di queste strutture che oggi non devono più assolvere ai compiti per cui sono state realizzate a suo tempo: è importante ciò che rappresentano. Sono d’accordo per la conservazione di ciò che è rimasto e l’eventuale recupero del monumento, con un completamento facilmente riconoscibile in qualsiasi prossimo futuro, al fine di inserirlo nella vita attiva moderna con una destinazione adeguata, come è stato fatto per gli esempi che ho ricordato, l’ex arsenale e il castello di San Michele in Cagliari. Bisogna stare molto attenti, in caso di riuso, a non impedire la lettura del monumento nella sua interezza. Un appunto che può essere fatto all’intervento sul castello di San Michele è ch prima dell’inserimento delle strutture di completamento legate al riuso, erano perfettamente leggibili le diverse trasformazioni nei tempi in relazione alle diverse utilizzazioni: residenza della famiglia Carroz, lazzaretto nel Seicento, caserma nel Settecento, ecc. Tutto ciò oggi, pur avendo salvato tutte le preesistenze, è diventato di difficile lettura e alla spiegazione dei diversi momenti storici non corrisponde la visione di quegli stessi momenti come sarebbe stato in assenza di nuove strutture. L'approccio al restauro che l'Istituto ha incentivato, come dimostrano anche le tesi di laurea premiate nel concorso che ogni anno l'Istituto bandisce, è quello della conoscenza approfondita delle architetture e della loro storia, la massimizzazione della conservazione di quanto permane e l'individuazione, caso per caso, di integrazioni compatibili con l'esistente, distinguibili e, per quanto possibile, reversibili, per consentire l'accessibilità, la fruibilità e la rifunzionalizzazione dei siti ai fini della loro valorizzazione e trasmissione al futuro. Pertanto, non esiste una ricetta, pur escludendo qualsiasi ricostruzione mimetica che appartiene alla cultura del passato. Se di ricostruzione si vuole parlare, dobbiamo invece riferirci alle ricostruzioni virtuali che l'attuale tecnologia informatica ci consente di realizzare con simulazioni fotorealistiche di grande impatto.
7.Come spendere la carta castelli nelle strategie di promozione territoriale? E in quelle della destagionalizzazione?
Pur non vantando un castelliere completo e perfettamente visibile, come accade con altre regioni d'Italia, la Sardegna accoglieva le proprie strutture fortificate in luoghi dalla grande attrattiva territoriale e culturale. Consideriamo, in primis, i luoghi in cui queste fortificazioni sorgevano: ora sono antichi borghi, uliveti secolari o parte di percorsi di trekking o arrampicata sportiva. Penso al castello di Gioiosa Guardia, incastonato in un meraviglioso uliveto, a Monteforte, utilizzato per l'arrampicata o. anche a quello di Monte Acuto. In molti casi, parliamo di borghi meravigliosi quali Bosa, Castelsardo, Osilo o Burgos ma, anche, Samugheo, Posada o Galtellì. La presenza del castello diviene pretesto per andare a visitare un luogo la cui storia è spesso intimamente legata a quella della fortificazione. Si dovrebbe costruire una storia intorno al borgo e al luogo che ospitava la struttura. Molto bello è l'esempio di Sanluri che ogni due anni, riproducendo la battaglia tra sardi e aragonesi, attira turisti da varie parti della Sardegna e dell'Italia. I castelli sono utilizzabili nelle strategie di destagionalizzazione e delocalizzazione ma vanno inseriti in un'ottica di offerta turistica integrata, in caso contrario, servono a poco. Il problema è che, spesso, sono gli stessi sardi a non essere informati sulla presenza di tanti castelli in Sardegna! Tanto meno ne conoscono la storia!
8.Esiste un turismo dei castelli in Sardegna ?
Molto di nicchia e prevalentemente di persone facenti parte dell'ambito universitario o della cultura. Purtroppo sono gli stessi amministratori locali che non credono nel valore storico del patrimonio culturale, sempre molto rilevante, compreso nel proprio territorio comunale, e tanto meno se sanno valutare la valenza turistica e quindi la ricaduta economica a vantaggio della propria comunità e dell’intera collettività. Alla domanda devo rispondere: no purtroppo! O meglio, non ancora in quanto ho fiducia in quello che facciamo come Istituto ma anche come associazioni culturali impegnate nelle stesse problematiche e che in sinergia devono raggiungere quanto prima gli obiettivi. Noi lo facciamo con le nostre attività locali (conferenze, seminari, convegni, visite di studio, concorsi, ecc.) e, ogni anno a livello nazionale, con le Giornate nazionali dei castelli che impegnano l’ultimo fine settimana di maggio (venerdì, sabato e domenica) vogliamo coinvolgere tutti, dai più giovani ai meno giovani, in questo impegno comune per la conoscenza e la diffusione dell’immenso e prezioso patrimonio culturale che dobbiamo imparare a gestire come risorsa inesauribile e molto “redditizia”.
9.Andando a scrutare nel panorama nazionale e europeo, c'è una buona pratica che si potrebbe mutuare e applicare, in parte, in Sardegna?
Nella recente occasione del cinquantenario dell'Istituto Italiano dei Castelli, abbiamo avuto modo di assistere a diverse testimonianze da parte di storici, presidenti di sezione e operatori culturali che hanno richiamato l'attenzione sui risultati ottenuti per mettere in rete e far conoscere una data struttura: intramontabili gli esempi del Trentino e tanti altri. Molto hanno da insegnare i castelli della Scozia e dell'Alsazia dove le strutture diventano davvero polivalenti e multitasking nel pieno rispetto della loro integrità storico- culturale.
Nella nostra modestia cerchiamo di fare tesoro di tante realtà che hanno dimostrato quanto sia giusto tutto ciò che ho detto sul valore anche economico di una corretta gestione del patrimonio culturale. Noi, rispetto ad altre nazioni, abbiamo il vantaggio della quantità che, non so come, riusciamo a farlo diventare uno svantaggio e quasi… ne proviamo fastidio! “Il nuraghe: una montagna di pietre!”, sento ancora dire da qualche sardo! Non deve succedere mai più!
In uno status su Facebook un utente lamentava: “Sono andato all’Istituto della Cultura italiana a Dublino: non sapevano niente della nostra storia nuragica e non avevano mai sentito dei Giganti di Monte Prama… non sapevano che il menhir più alto in Europa si trova in Sardegna. Fino all’anno scorso il direttore era un sardo! Ma questa è storia di un passato molto lontano, avviciniamoci un po’ al presente: quanti conoscono la storia della Repubblica italiana? Quasi nessuno! Quando dici che la storia di questo Stato è strettamente legata al Regno di Sardegna, come minimo scappa una risata. Se poi dici che il Re Vittorio Emanuele, Mazzini, Garibaldi erano sardi, la risata è ancora più fragorosa. E’ come rifiutare la storia, perché? Uno statista importante lamentava che suo bisnonno era un ladro di bestiame e ne era fortemente rammaricato. Si, hai ragione, però senza quel bisnonno tu non saresti esistito! Questa è la storia: accettare ciò che è stato come è stato, in quanto è il nostro passato, è parte di noi stessi. Allora, è corretto dire il Regno di Italia è il nuovo nome dato al Regno di Sardegna quando ha interessato praticamente tutta la penisola italica nel 1861. Questa è la storia!
10.Domanda di rito della nostra rubrica: che consiglio darebbe a un giovane neolaureato?
Continuare a studiare considerando la sua laurea una buona base di partenza. Da vecchio docente universitario sono convinto che il corso di studi, se fatto molto bene, diventa certamente una piattaforma solida sulla quale adagiare tutto ciò che con molta modestia e impegno va ad essere acquisito. Non aspettare che qualcuno vada ad offrirgli il lavoro che ritiene di aver meritato per diritto, no! Deve conquistarselo con impegno costante, creatività e passione.
Mariella Cortes