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“Attraverso la scrittura possiamo raggiungere angoli della mente spesso dimenticati, spolverare cassetti rimasti chiusi per troppo tempo, dar voce a quella parte di noi che spesso resta sopita nell’animo, mettere a nudo contraddizioni e conflittualità che ci contraddistinguono, al di là degli stereotipi in cui ci troviamo a vivere. Attraverso la penna ho potuto viaggiare con la fantasia, evadere anche se momentaneamente dai problemi, reali e non, che mi hanno accompagnato negli anni, vivere una vita come qualche volta forse desidererei o avrei desiderato vivere, uscire da me stesso e dar vita ad altri personaggi, creare situazioni, creare vita.”
Quarant’anni fa la tragedia di Vermicino che costò la vita al piccolo Alfredino Rampi, il bambino di sei anni inghiottito da un pozzo artesiano. L’incapacità, l’approssimazione e la scarsità di mezzi dell’apparato di sicurezza di allora non riuscirono a salvarlo. Dopo quarant’anni e quattro mesi è morta l’unica persona che tentò disperatamente di riportarlo a sua madre: Angelino Licheri. Si è spento, povero come ha sempre vissuto, in una casa di riposo di Nettuno, ucciso dalle complicazioni di un diabete che dopo avergli causato la perdita delle gambe e la quasi cecità lo costringeva su una sedia a rotelle.
«Il mio rapporto con la Sardegna è fatto di un amore viscerale, che è nato quando sono partita e si è rafforzato sempre di più negli anni.»
Così Claudia Desogus, scrittrice sarda all’estero, descrive il suo legame con l’Isola, quel senso di appartenenza che quasi ogni sardo – che calpesti o meno le sue strade – porta nel cuore. «Io idolatro e idealizzo la Sardegna,» spiega ancora «anche se sono cosciente di questa mia visione parziale. Riesco a vederne anche i difetti, ma preferisco concentrarmi su tutti i suoi pregi. Mi manca, ma la porto sempre dentro di me. Forse tornerò, ma non credo che sarà prima della pensione.»