«Il mio rapporto con la Sardegna è fatto di un amore viscerale, che è nato quando sono partita e si è rafforzato sempre di più negli anni.»
Così Claudia Desogus, scrittrice sarda all’estero, descrive il suo legame con l’Isola, quel senso di appartenenza che quasi ogni sardo – che calpesti o meno le sue strade – porta nel cuore. «Io idolatro e idealizzo la Sardegna,» spiega ancora «anche se sono cosciente di questa mia visione parziale. Riesco a vederne anche i difetti, ma preferisco concentrarmi su tutti i suoi pregi. Mi manca, ma la porto sempre dentro di me. Forse tornerò, ma non credo che sarà prima della pensione.»
Per la Desogus, che lavora all’Agenzia dell’Unione europea che si occupa dei richiedenti asilo e si divide tra Bruxelles e Malta, non è sempre semplice conciliare impiego e scrittura, momentaneamente in panchina. Una vita piena, la sua. Complicata? Pare di sì, ma anche estremamente soddisfacente. «È un lavoro che mi sta particolarmente a cuore,» chiarisce «perché mette in pratica ogni giorno principi fondamentali di solidarietà e fratellanza, mostrando che possiamo ancora avere fiducia nel genere umano.» La Desogus, che è anche moglie e mamma, è spesso in trasferta. «Per fortuna mio marito mi aiuta e mi sostiene. Speriamo in un prossimo futuro di poter trovare un maggior equilibrio.»
Due i libri all’attivo: Il viaggio incantato e Diario virale. «Parte sempre da una scintilla» rivela. «Qualcosa che sembra promettere un segreto, una storia da raccontare. Può essere qualcosa di apparentemente banale, ma ad un certo momento sembra rivelare significati nascosti.»
Il primo, che riprende le leggende isolane, è stato un successo inaspettato. «Ha venduto tanto e la gente continua a ordinarlo» sono le parole della Desogus. «Ha inoltre ricevuto diversi riconoscimenti, tra cui il Premio Nabokov Kids 2020. È andato così bene che si prevede una nuova edizione con tante sorprese per l’anno prossimo.»
Il secondo, essendo nato dalla volontà della casa editrice Catartica di aiutare gli ospedali sardi durante la pandemia, è legato a un progetto di beneficienza. Scritto in collaborazione con altri tre autori della casa editrice – Fabrizio Raccis, Tea Salis e Marco Lepori –, racchiude, come un’ostrica con le perle, un profondo desiderio di solidarietà. «Il libro costituisce il tentativo di fissare un momento storico importante. Sono quattro fotografie di come è stata vissuta la pandemia da quattro scrittori diversi, viste in maniera artistica. Il lettore ci può trovare filosofia, umorismo, fantasia, reminiscenze letterarie. Sono quattro racconti completamente diversi tra loro.»
Odia essere prolissa, non sopporta le melensaggini e le sdolcinature e vive di fantasia: questa la sua carta d’identità come scrittrice. «Il lettore per me ha libertà assoluta, può prendere il mio libro come vuole e farne quello che vuole, apprezzarlo, odiarlo, finirlo o lasciarlo a metà» dice, e ancora: «Sono tante le cose che non vorrei sentirmi dire, forse, in particolare, che sono noiosa. Ma la letteratura è anche questione di gusti e non si può pretendere di piacere a tutti.»
E, per quanto riguarda il futuro dell’editoria, è in dubbio: tanto da dire sui suoi cambiamenti e sulla digitalizzazione, ma non è possibile tracciare una linea precisa su quel che riserverà il futuro. «Mi auguro solo che i grandi colossi e Amazon non fagocitino completamente la piccola editoria indipendente, che è una forza culturale di primaria importanza.»
Federica Cabras