Dicembre 23, 2024

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    Raccontare la storia e l'arte partendo da un dettaglio curioso, inedito e irresistibile. Partirà venerdì 21 maggio "Pillole di storia e d'arte", la nuova rubrica FocuSardegna a firma di Marcello Derudas

    Storico, storico della Chiesa e docente di storia dell’arte, laureato in Filosofia e specializzato in Filologia moderna, Industria Culturale e Comunicazione presso l’Università di Sassari, Marcello è borsista di ricerca presso la Scuola di Dottorato del Dipartimento di Storia dell’Università di Sassari dove si occupa di storia ecclesiastica medievale e moderna della Sardegna. Ha pubblicato diverse opere e articoli tra cui la monografia Ossi. Storia, arte, cultura (Cagliari 2012 / Sassari 2013), l’edizione critica del Rituale di apertura della Porta Santa di San Michele di Salvennor con la riscrittura della storia del monastero alla luce dell’acquisizione di documentazione inedita (nell’ambito della Collana Meilogu – Sassari 2014), la monografia Il Convitto Canopoleno di Sassari. Una finestra aperta su quattrocento anni di storia (Sassari 2018), l’inventario inedito delle carte e della biblioteca dell’ultimo vallombrosano di Sardegna Adriano Ciprari (Annali della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna – Cagliari 2020) e ha in preparazione l’edizione critica degli atti delle visite pastorali dell’arcivescovo Salvatore Alepus. 

    E' proprio dall'amore per la ricerca e la divulgazione che nasce il desiderio di raccontare, attraverso un dettaglio, storie, luoghi, personaggi, aneddoti e opere d'arte della Sardegna. Un'idea, questa, partita sul suo profilo Instagram che diventerà, a partire dalla prossima settimana, una rubrica quindicinale continuativa che da archivi, pinacoteche, luoghi dell'arte e della cultura, porterà la storia sulle nostre pagine per conoscere e vivere la Sardegna con occhi nuovi. 

    Abbiamo intervistato Marcello Derudas per conoscerlo meglio e avere qualche anticipazione su quanto andremo a leggere nella rubrica "Pillole di storia e d'arte". 

    Quando hai deciso che ti saresti occupato di storia della Sardegna?

    Non posso indicare una data precisa. Ricordo che, bambino, vedevo – passando per le strade delle antiche curatorie di Coros, Romangia, Flumenargia, – i ruderi di molte chiese. Chiedevo: “Chi le ha costruite?” – “Gli antichi”. Da quel momento l’idea di cercare “gli antichi” è iniziata incalzante. Poi ho avuto labili stimoli scolastici ma la mia curiosità restava e ho lavorato per mio conto dagli anni del liceo. A 19 anni avevo già quasi scritto un libro. Non me lo ero prefissato; è venuto fuori per caso e ne sono rimasto soddisfatto. Era un risultato di un certo spessore e me ne sono reso conto soltanto molto tempo dopo, quando molti studiosi mi hanno fatto notare la grandezza del lavoro e la sua portata per gli studi medievali in area turritana, anche perché scritto da uno studioso così giovane. 

    Che cosa manca, secondo te, per una vera promozione della storia di Sardegna?

    Sono, forse, troppo giovane per dire questo ma, a mio avviso, manca la conoscenza scientifica e ci getta forse troppo in fretta nelle mani del qualunquismo e del dilettantismo. Io, proprio perché ho conosciuto così la storia e ho visto con i miei occhi quanto questo approccio possa essere frustrante per chi volesse saperne di più, credo e ribadisco ci voglia una conoscenza basica, dalle scuole e sul campo, effettuata da professionisti. Sono uno storico, e come me ci sono tantissimi altri colleghi. Siamo a vostra disposizione. La promozione da parte dei dilettanti è controproducente. Stimolante, a volte ... ma in fondo, non è affidabile. Le trappole della fantasia sono sempre nascoste ed è facile cadervi...  anche per tanti appassionati con molta buona volontà e umiltà. Riguardo quest’ultima, però, ci vuole per tutti. Senza, non si ottiene granché. Si blocca il dialogo e la comunicazione. Ci si ferma.

    Nelle tue pillole parlerai del valore dei dettagli: ci fai degli esempi in cui i dettagli di un'opera, di un momento storico hanno un valore di grande potenza?

    I dettagli di un momento storico e/o di un’opera d’arte hanno sempre potenza, anche se spesso ci sembrano minuscoli. Queste minuzie, tuttavia, permettono la reale lettura di qualcosa, o qualcuno, o di un episodio, che altrimenti ci apparrebbe troppo lontano e distaccato. In queste pillole parlerò di molte cose ma così, a bruciapelo, non mi sovviene niente. Ma non temete... ci penserò, anche troppo.

    Che cosa significa per te fare ricerca storica?

    Significa permettere che vivano con noi e dopo di noi atti, gesti e opere delle persone che ci hanno preceduti. Un albero non cresce senza radici ma nemmeno con queste può vivere se il terreno è secco e senza acqua. Ecco, per me fare ricerca significa portare l’acqua alle radici e trasformarla in storia scritta renderle forti. Così che l’albero, ovvero la nostra memoria collettiva, il nostro passato o, per dirla con sant’Agostino, il nostro “presente del passato”, possa restare sempre tale.

    E perchè oggi più che mai è importante recuperare episodi, personaggi e momenti del nostro passato?

    L’uomo non impara mai e la storia è maestra perenne. Abbiamo bisogno dei nostri personaggi, episodi, aneddoti e momenti per imparare, tutti e indistintamente. Questo è un elemento fondante per me. Vediamo i tempi attuali, per esempio: viviamo in un momento abbastanza particolare dal punto di vista sanitario. Ma la nostra storia ne ha visti anche peggiori, e senza i rimedi odierni. A me questo aiuta a comprendere meglio il nostro reagire attuale, gli sbagli e i progressi che stiamo facendo. Insomma, conoscere il passato “consola” quando nel futuro certi fatti si ripresentano. Perché la storia si ripresenta sempre, in mutate forme, ma lo fa.

    C'è un dettaglio al quale sei particolarmente affezionato?

    Il ritrovare piccoli segni personali, come appunti, frammenti di lettere, annotazioni ma anche tracce di prova del calamo o del pennino, frammenti di carta assorbente o semplici pasticci dettati dalla noia e vergati sugli angoli vuoti all’interno di antiche carte o libri. Sono i segni del vissuto, della quotidianità che rende le persone che secoli fa sono state chine su quelle carte molto più vicine a noi. E rendono quei libri, quei fascicoli, quei fogli improvvisamente non “oggetti intoccabili” e lontani, giustamente tutelati dalle autorità e dai professionisti, ma frammenti di mille vite che ancora permangono vive e vicine, fra di noi. Che si fanno sentire.

     

    Redazione FocuSardegna 

     

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    Sul piroscafo nero che è appena partito da Fiume c’è un bambino che stringe la mano alla madre e piange forte. Ha paura. Ne ha tanta anche lei, perché suo marito è rimasto al fronte e non sa se lo rivedrà vivo. La terra si fa lontana, il mare è sempre mosso e la nave scende e sale, sale e scende. La madre guarda il cielo. Orlando Biddau, suo figlio, guarda le onde. 

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    *DI MATTEO PORRU

    Fra il palazzo di Città e Porta Sant’Antonio, a Sassari, c’è un bambino che piange. È il 1925, è giugno, è estate, fa caldo. È un maschietto, le dice l’ostetrica, ed è bellissimo. Si chiama Aldo e fa rumore come può per dire a tutti che è venuto al mondo. Da piccolo respira aria di bottega, segue le mani e i pensieri dei genitori che sulla carta sono artigiani ma di fatto creano oggetti, nel laboratorio di famiglia, in piena Città Vecchia. Adora quel lavoro, quel dar forma alle cose. Gli sembra una magia. I Salis non navigano nell’oro, due mani in più non guasterebbero e studiare non costa poco ma Aldo si sdoppia e fa entrambe le cose. Non bene, all’inizio. Di fatto tutto decolla dallo scientifico in poi.

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