Rettore dell’Università degli Studi di Sassari per il triennio 2009-2012 con mandato esteso fino al 2014, Attilio Mastino, 61 anni, professore di Storia Romana nella Facoltà di Lettere e Filosofia è una delle personalità più eminenti della nostra Isola. Laureato in Lettere Classiche a Cagliari col massimo dei voti e la pubblicazione della tesi, ha la specializzazione triennale in Giornalismo conseguita ad Urbino e quella biennale in Studi Sardi a Cagliari; ha studiato a Parigi (École Normale Supérieure e Paris I-Sorbonne sotto la direzione di André Chastagnol, Marcel Le Glay, René Rebuffat), a Bordeaux (seminari di epigrafia e informatica presso il Centre Pierre Paris) e Tunisi (Institut National du Patrimoine, in collaborazione con Azedine Beschaouch e M'hamed Fantar).
Dopo aver lavorato per dieci anni presso l'Università di Cagliari, è diventato direttore del Dipartimento di Storia dell'Università di Sassari, direttore del Centro sulle province romane, preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, coordinatore del Dottorato di ricerca "Il Mediterraneo in età antica", per un decennio Pro rettore con delega alla ricerca. È oggi un epigrafista con incarichi a livello internazionale e dirige gli scavi archeologici di Uchi Maius in Tunisia. Fondatore e presidente da 30 anni del Comitato organizzatore dei Convegni internazionali su L'Africa Romana che si svolgono in Tunisia, in Marocco, in Spagna, in Sardegna e prossimamente in Algeria. Dirige riviste scientifiche e collane di pubblicazioni e ha ottenuto numerosi premi e riconoscimenti, tra cui vanta l' "Onorificenza dello storico arabo" con medaglia d'oro concessa dall'Unione degli storici arabi (Ittihad al-Mu’arrihin al-Arab). Membro di numerose società ed accademie. Si è lungamente impegnato nel volontariato, rivestendo incarichi regionali in associazioni cattoliche, sportive, turistiche e ambientali. Autore di oltre 250 pubblicazioni scientifiche (monografie, articoli, contributi vari), ha studiato la storia e l'epigrafia della Sardegna antica, scoprendo documenti originali sulla Corsica, l'Africa Proconsolare, la Numidia, la Mauretania, la Tripolitania e la Cirenaica in età romana e dedicandosi più in generale agli imperatori romani da Nerone a Caracalla, da Diocleziano a Costantino.
Con lui ripercorreremo la storia del prestigioso Ateneo sassarese e ne analizzeremo le attività attuali, con uno sguardo alle iniziative volte alla lotta alla disoccupazione e alla promozione territoriale della Sardegna.
Partiamo:
L'Università di Sassari ha recentemente festeggiato i 450 anni. Vogliamo ripercorrere le tappe più importanti della sua storia?
Alle origini dell’Università di Sassari c’è l’accettazione nel 1559 da parte del Generale della Compagnia di Gesù padre Diego Laínez del testamento del cav. Alessio Fontana, funzionario della cancelleria di Carlo V e in relazione con Ignazio di Loyola. Nel 1562, durante il regno di Filippo II, nell’ultimo anno del Concilio di Trento, iniziavano a Sassari le lezioni nel Collegio gesuitico. I primi docenti che incominciarono ad insegnare a Sassari grammatica, umanità e retorica dal 1° settembre 1562 furono: Juan Olmeda, di Cuenca (Castiglia), classe di mayores, poco più di 20 studenti; Juan Naval, spagnolo, classe di medianos,circa 50 studenti; Antonio Bosch, diocesi di Barcellona, classe di menores, circa 80 studenti Nei primi anni un fratello laico venne designato a insegnare a leggere e scrivere a circa 200 ragazzi. La mortalità tra i gesuiti non abituati alla malaria fu alta: dei primi tre, solo uno sopravvisse entro i primi tre anni; nel secondo anno insegnò straordinariamente grammatica anche il portoghese Francisco Antonio, che poi sarebbe diventato celebre.
Pio IV aveva concesso al generale della Compagnia e ai rettori di collegi da lui designati il potere di conferire tutti i gradi accademici in filosofia e teologia anche a studenti non gesuiti, a condizione che negli stessi collegi si svolgessero i corsi di quelle facoltà, gli studenti ne avessero frequentato i corsi e ne avessero superato gli esami. Entro la fine degli anni Sessanta del 1500 a Sassari si svolgevano già quei corsi ma il generale non autorizzò il conferimento di gradi accademici se non il 10 luglio 1612: quattrocento anni fa, un altro Generale della Compagnia di Gesù Claudio Acquaviva autorizzò il rettore del collegio turritano (riconosciuto come università di diritto pontificio) a conferire i gradi accademici di <<bachiller, licenciado y doctor>>. Il riconoscimento del valore regio dei diplomi arrivò più tardi, solo con la carta reale dell’8 febbraio 1617, quando Filippo III trasformava il collegio di Sassari in università di diritto regio con le facoltà di filosofia e teologia, con tutte le prerogative e i privilegi degli studi generali della Corona d’Aragona. Nel 1632 Filippo IV concesse la facoltà di graduare anche in diritto civile e medicina. Sfuggita a numerosi tentativi di abolizione grazie alla forte reazione delle istituzioni del territorio (si pensi alla legge Casati del 1859), l'Università di Sassari si è infine articolata in 11 facoltà che oggi si sono trasformate nei 13 Dipartimenti, dopo la riforma della legge 240/2010. Attraverso il nuovo Statuto l'Ateneo si è dato un ordinamento stabile, ha affermato il metodo democratico nella elezione degli organi, si è dichiarato attento al tema del diritto allo studio; ha collocato lo studente al centro delle politiche accademiche e ha dichiarato di voler promuovere la cultura come bene comune. L'Ateneo si appresta a inaugurare il 452° anno accademico l'8 novembre 2013.
Cosa ha rappresentato per l'Università il ricevimento del Candeliere d'oro speciale nel 2012?
Nella cerimonia della consegna del “Candeliere d’oro speciale” si sono incontrate tre storie lunghe, tre storie parallele: la storia dell’Università, la storia del Comune di Sassari, la storia dei Gremi e dei candelieri raccolti nella pittoresca Faradda. Come abbiamo visto, l’Università di Sassari rimanda le sue origini al Cinquecento e alla Sardegna spagnola. Era stato un rappresentante del Municipio al Parlamento Cardona già nel 1543 a chiedere l’istituzione in Sassari di uno Studio Generale. Negli stessi anni i Gremi scioglievano il voto alla Madonna dopo una pestilenza e lo facevano gioiosamente, con la goliardia e lo spirito ironico sassarese, riprendendo le più antiche tradizioni pisane. Una tradizione, quella delle macchine a spalla, per la quale attendiamo il riconoscimento dell’UNESCO. Tre storie parallele, che rimandano all’identità profonda della città di Sassari fin dentro il Cinquecento spagnolo e a quella dimensione produttiva che è sintetizzata dai Gremi e dagli artigiani (fabbri, piccapietre, viandanti, contadini, falegnami, ortolani, calzolai, muratori, sarti, massai, ecc.).
Questo legame forte, intenso, identitario coi Gremi è simbolicamente rappresentato nell’aula magna dell’Università dalle bandiere dei Gremi che Mario Delitala ha voluto illustrare nel dipinto centrale, che racconta la solenne cerimonia dell’annunzio della rifondazione dell’Università in occasione della Restaurazione del 1764 voluta dal Ministro Bogino.
Ricevere il candeliere d'oro speciale, in rappresentanza dei professori, dei ricercatori, del personale tecnico amministrativo, bibliotecario e degli studenti, ha suscitato in me un'emozione intensa, nell’anno in cui questo premio in edizione straordinaria è stato consegnato anche al Presidente Napolitano in occasione della sua visita all’Università. Credo che la Giuria abbia colto il senso profondo di quello che stiamo facendo per rinnovare l’Università e proiettarla verso il futuro.
Lauree honoris causa e studenti illustri. Li vogliamo raccontare?
L'Università degli Studi di Sassari ha conferito, dal 1964 al 2012, 28 diplomi di laurea honoris causa. Ricordo nel 2012 Gonçalo Byrne e nel 2011 Pasqual Maragall i Mira, entrambi in Architettura; nel 2005 Francesco Cossiga (Scienze politiche), nel 2004 Salvatore Mannuzzu (Lettere e filosofia), nel 2001 Franca Ongaro Basaglia (Scienze politiche), nel 2000 Charles Marcel Poser (Medicina e Chirurgia), nel 1998 Gavino Sanna (Lettere e filosofia), nel '94 Norberto Bobbio (Scienze politiche). Mi sono particolarmente cari i riconoscimenti assegnati anche ai tunisini Azedine Bescaouch (poi Ministro della cultura dopo la rivoluzione dei gelsomini) e Mhamed Fantar, il celebre studioso di archeologia fenicia e punica, lo scopritore di Kerkouane.
Tra gli studenti illustri, ricordiamo Giovanni Maria Angioy che conseguì a Sassari il magistero in Filosofia e arti il 29 luglio 1767; Domenico Alberto Azuni conseguì lo stesso magistero il 12 agosto 1767 e divenne dottore in Giurisprudenza il 29 gennaio 1772. Più di recente, si segnalano Enrico Berlinguer, Antonio Segni e Francesco Cossiga. Segni si laureò in Giurisprudenza a Sassari nel 1913 e fu Rettore dal '44 al '51. Cossiga si laureò in Giurisprudenza nell'anno accademico 1947-48 con una tesi intitolata "Le immunità nel diritto penale".
Quali sono oggi i valori dell'Università di Sassari e quale il suo valore aggiunto? Perché uno studente dovrebbe prediligere questo Ateneo?
L'Ateneo ha scelto di impegnarsi in modo particolare nel campo dell'internazionalizzazione, uno strumento che offre ai nostri studenti, laureati, dottorandi e specializzandi una porta sul resto del mondo. Non è poco per una popolazione che vive all'interno di un'Isola, con difficili collegamenti verso l'esterno. L'Università di Sassari è entrata nei principali programmi internazionali e può garantire numerose opportunità di formazione all'estero ai propri iscritti. Sono esperienze che cambiano la vita e che consentono, un domani, di dare al curriculum dei nostri laureati un qualcosa in più. Ma voglio ricordare le tante aree di eccellenza emerse anche in occasione della recente valutazione nazionale, in campo sanitario, scientifico e umanistico.
La Sardegna vanta il triste primato di disoccupati, molti dei quali in possesso di un titolo di studio di alto livello. In che modo l'Università può intervenire nell'arginare questo problema?
Prima di tutto, qualificando e rafforzando l'offerta formativa, legando formazione e lavoro e proponendo corsi di studio sempre di maggiore qualità, poiché la preparazione culturale di alto livello continua a essere il primo antidoto alla disoccupazione. In secondo luogo, è necessario rafforzare il sistema del placement, cioè dei tirocini, che costituiscono il primo contatto con il mondo del lavoro e sono rivelatori delle attitudini e delle aspirazioni degli studenti, futuri lavoratori. Siamo impegnati a costruire nuovi percorsi formativi e per allargare l’area delle scienze di base.
In che modo la Sardegna potrebbe valorizzare al meglio il suo patrimonio archeologico?
Sono convinto che il futuro della nostra isola sarà legato alla riscoperta dell’identità e del patrimonio ambientale e storico-artistico: in particolare i circa diecimila nuraghi che marchiano dall’antichità il paesaggio isolano rappresentano un prezioso elemento di identificazione che unifica la Sardegna. Bisogna ripartire dalla visione che nel mondo antico si aveva della Sardegna, l’isola dalle vene d’argento, collocata all’estremo occidente, quasi fuori dal tempo e dallo spazio, colonizzata dai figli di Eracle, da Iolao, Aristeo, Norace, Dedalo, Talos. Il mito può ancora parlarci e trasmettere al nostro immaginario collettivo il senso di una qualità ambientale alta percepita anche dai viaggiatori dell’antichità, il senso di una ricchezza profonda che ha radici lontane, parte dal patrimonio, ma ci consente di osservare con occhi nuovi il nostro futuro.
L'Africa Romana, giunto ormai alla sua XX edizione, rappresenta un ottimo momento di scambio culturale tra esperti provenienti da diverse aree del Mediterraneo e, recentemente, il sud dell'Isola ha ospitato il VIII Congresso internazionale di studi fenici e punici. Come incrementare i momenti di incontro e scambio di livello europeo e internazionale in Sardegna? E in che modo si possono stimolare gli studenti di altri atenei ad effettuare dei periodi di studio nella nostra terra?
Il XX Convegno de L’Africa Romana chiuso nei giorni scorsi ad Alghero ha rappresentato un bilancio di trenta anni di attività e ha raccolto i più noti archeologi, storici, epigrafisti del Mediterraneo, in particolare del Maghreb. Volgendomi con emozione a guardare indietro, a considerare la strada percorsa, debbo constatare con qualche rimpianto e forse anche con un po’ di nostalgia che è trascorso un lungo periodo di studi, di ricerche, di attività, che è stato anche un lungo periodo della nostra vita, un percorso fatto soprattutto di curiosità e di passioni vere.
L’iniziativa dell’Università di Sassari si è sviluppata ben al di là di quanto noi stessi potessimo allora immaginare: anche l’ultimo documenta la crescita collettiva, il coinvolgimento sempre più ampio di specialisti, l’attenzione con la quale la comunità scientifica internazionale ha seguito la nostra attività, che ha finito per colmare uno spazio importante negli studi classici. Dai nostri convegni è derivata così una rete di rapporti, di relazioni, di amicizie, di informazioni, che crediamo sia il risultato più importante dell’esperienza che abbiamo vissuto in questi anni, con il sostegno e l’incoraggiamento delle autorità e di tanti amici, i nostri amici del Maghreb, i nostri amici della riva nord del Mediterraneo, i nostri amici dei nuovi continenti, i nostri studenti, gli studenti impegnati nelle imprese dell’Africa romana.
Anche l’Ottavo Congresso internazionale di studi fenici e punici (Dal Mediterraneo all’Atlantico: uomini, merci e idee tra Oriente e Occidente), voluto da Piero Bartoloni e dai suoi allievi, ha segnato nei giorni scorsi un momento alto delle ricerche archeologiche su un piano internazionale. Credo che la Sardegna fenicia e punica si possa presentare come un laboratorio vivo e stimolante di sperimentazione e di elaborazione, una formidabile officina di ricerca legittimamente titolata, per il suo spessore e il suo ruolo scientifici, per la sua caratteristica di vero e proprio scrigno della memoria della cultura fenicio-punica e di memoria storica degli studi della disciplina: è per questo che abbiamo presentato la candidatura ad accogliere ancora in Sardegna tra quattro anni ad Oristano il IX Congresso della serie.
Nel suo sito web campeggia una frase di Seneca che lei, nei tanti anni di ricerca e nel considerevole numero di pubblicazioni a sua firma, può effettivamente dire aver fatto sua al cento per cento! "Molte cose che noi ignoriamo saranno conosciute dalla generazione futura; molte cose sono riservate a generazioni ancora più lontane nel tempo, quando di noi anche il ricordo sarà svanito: il mondo sarebbe una ben piccola cosa, se l'umanità non vi trovasse materia per fare ricerche". Una vita, la sua, dedicata alla ricerca e alla divulgazione. Quale tra i tanti studi le sta particolarmente a cuore e quale, invece, si pone tra i prossimi obiettivi?
Le mie origini di studioso sono legate agli imperatori romani, in particolare a Settimio Severo, a Caracalla, a Geta, fin dalla tesi di laurea di quaranta anni fa: ho visto l’orma dei Severi nella città natale di Leptis Magna, nel porto sull’ouadi Lebda in Libia, ma anche in tante altre province, dalla Britannia romana fino alla Siria. E poi a Roma, con l’arco costruito dopo la vittoria partica ai piedi del Tabularium nel foro. In questi giorni abbiamo studiato con i miei allievi e colleghi e con l’ausilio di un drone il tempio del Sardus Pater nel Sulcis, dedicato anche ad Antonino Magno, Caracalla, dopo la constitutio Antoniniana, il provvedimento imperiale che concedeva la cittadinanza romana a tutti gli uomini, fondando un Mediterraneo capace di superare i nazionalismi e le guerre tribali. Ecco, vorrei la Sardegna meno isolata e più proiettata sul piano internazionale, in particolare capace di cogliere il nuovo che sta maturando nella riva sud del mondo. Ma penso che la ricerca debba porre agli studiosi sempre nuovi obiettivi e in questo senso la frase di Seneca ci dice che bisogna partire dalla consapevolezza dei nostri limiti e della nostra ignoranza. Ci sono tante piste aperte, tanti gruppi di ricerca all’opera, tante curiosità da soddisfare. Vorrei dedicarmi in futuro a scrivere una sintesi di storia provinciale romana, capace di ribaltare la visione coloniale e capace di cogliere le differenze tra territori, che sono alla base della storia romana.
Quale campagna di scavo ricorda con più piacere?
A parte gli scavi a Cornus (Santa Caterina di Pittinnuri) nel 1978, ovviamente le prime campagne di Uchi Maius con i nostri studenti, quanto ho conosciuto la Tunisia vera, quella che amo di più, quella povera di Theboursouk e di Rihana, che ci ha accolto a braccia aperte, offrendoci le sue cose più delicate e autentiche: un banchetto di fine scavo con il sacrificio rituale di un montone, la visita alla scuola elementare di Rihana in un’occasione ufficiale, gli scolari che raggiungevano la scuola percorrendo chilometri a piedi e attraversando le nostre rovine, la festa per una circoncisione o per un matrimonio o per i defunti, un tè scaldato tra le rovine con il profumo dello zucchero caramellato, gli altri aromi tipici del piccolo mercato di Theboursouk , le bottiglie di miele selvatico, i secchi pieni di fichi, i preziosi semi di sgugu offerti per ingannare il tempo, che nelle nostre campagne si misurava in altro modo, soprattutto l’amicizia dei nostri operai e dei nostri studenti. E poi le scoperte di mondi misteriosi a due passi da noi: la mitica fattoria di Ain Ouassel scavata dai colleghi di Trento, l’ovile meraviglioso del Pagus Suttuensis, entro una villa romana ancora in piedi, il valico sul Djebel Gorrah con vista sulla straordinaria distesa degli agrumeti di Thibar, le verdi campagne di Gebba bagnate dalle acque sorgive, il tempio di Henchir el Khima che poi abbiamo identificato con Uchi Minus, i cammelli che arano i latifondi nell’antichità appartenuti ai Pullaieni; oppure, al nostro confine orientale, i monti della Fossa Regia che separava la Numidia dall’Africa cartaginese.
Che consigli darebbe a un giovane che sta per intraprendere la carriera universitaria e a un neo-laureato?
Consiglierei agli studenti di non trascurare la propria formazione, ma anzi, di impegnarsi al massimo, nella consapevolezza che tutti gli sforzi fatti oggi domani saranno ripagati in termini di opportunità di carriera. Studiare non può essere un passatempo, ma un "lavoro" a tempo pieno da portare avanti con estrema cura, con sacrificio personale, ma anche con passione, leggendo dentro di sé per scoprire una vocazione e un desiderio. Infine, credo sia assolutamente necessario imparare almeno due lingue straniere: ogni occasione di vivere, studiare e lavorare all'estero, anche solo per un breve periodo, deve essere colta al volo, con coraggio e senza paura. I nostri studenti Erasmus hanno una marcia in più.
Mariella Cortes