Vanessa Roggeri è una scrittrice italiana. Nata e cresciuta a Cagliari, ha conseguito la laurea in Relazioni Internazionali. Ama definirsi una sarda nuragica, innamorata della sua isola così aspra e coriacea, ma anche fiera e indomita. La passione per la scrittura è nata fin da piccola, quando la nonna le raccontava favole e leggende sarde che si intrecciavano a episodi della sua memoria. Queste storie di una Sardegna antica, magica e misteriosa l’hanno segnata profondamente, facendole nascere il gusto per la narrazione e il desiderio di mantenere vivo il sottile filo che ci collega a un passato ormai perduto.
Vanessa, che significato ha per te scrivere? Usi degli schemi precisi di scrittura o lasci che sia liberamente l’intuito a muovere la tua penna?
La scrittura è una parte di me inscindibile. È il mio modo di essere e di comunicare. Quando scrivo creo e quando creo è come se nutrissi la mia anima. Un mondo nuovo nasce dalla mia penna e questo mi rende felice. La stesura di un libro non può essere lasciata all’estro del momento. Ha bisogno di disciplina altrimenti la storia prende il sopravvento sul suo creatore. Il flusso creativo, che è irrazionale e segue le sue strade, ha bisogno della tecnica perché si strutturi in una forma che sia comprensibile e godibile anche da parte del lettore. E la tecnica si può costruire soltanto col tempo e con l’esperienza.
Due romanzi di successo, editi da Garzanti, entrambi accomunati dalla presenza di protagoniste donne. E’ un modo tutto tuo di dare un piccolo contributo alla rinascita del femminile e, in particolare, a una nuova valorizzazione della donna sarda?
Io racconto protagoniste femminili che sono indubbiamente forti, coraggiose, determinate, protagoniste che sono profondamente sarde e che lo sono sia nel bene che nel male, ovvero sia nel mostrare la propria nobiltà d’animo che nell’esplicare le proprie debolezze. Il mio è un indagare le pieghe più nascoste dell’animo femminile cercando di rimanere il più obiettiva possibile, evitando di costruire un’apologia della figura della donna e di una sua presunta superiorità di genere. Semplicemente amo portare luce su un mondo fatto di donne che è tipicamente sardo e se questo può contribuire a una sorta di rinascita e valorizzazione del femminile non posso che esserne felice.
Il tuo ultimo romanzo Vanessa ci riporta in epoche lontane collegandosi ad antiche superstizioni della Sardegna. Questo è frutto di una tua accurata documentazione oppure è un qualcosa che hai potuto riscontrare direttamente nella tradizione orale?
Tutto parte dalla tradizione orale, dai racconti che in famiglia ho sempre sentito fare e che sono stati il motore per una ricerca successiva più approfondita attraverso testi scritti da studiosi di materie antropologiche e testimonianze che svelassero quei lati della tradizione che mi erano meno noti. Da un lato c’è la favola, la suggestione del racconto, dall’altra c’è il desiderio di comprendere meglio quali sono state le origini di certi miti e figure tipiche del folklore sardo. Per scrivere un libro occorre fare delle ricerche che siano il più possibile complete affinché la trama del romanzo affondi le proprie radici in un terreno solido.
Chi o cosa sono le tue primarie fonti di ispirazione?
Sono la mia terra, la natura, la realtà che mi circonda, le persone che incontro, una leggenda o un racconto di vita vissuta. Sono attenta a tutto e non so mai quando può scattare la scintilla. Quando accade la mia fantasia galoppa e allora una nuova storia inizia a dispiegare le ali.
Che messaggio vorresti arrivasse ai lettori attraverso le tue storie?
Un buon libro, a mio parere, deve saper stimolare sia le emozioni, sia l’intelligenza del lettore e deve farlo non solo attraverso la storia tout court, ma soprattutto attraverso i messaggi sottesi. Faccio un piccolo esempio: durante una presentazione in una scuola, un’insegnante mi ha raccontato di essersi accorta che la copertina della sua copia di Fiore di fulmine comprata in libreria era rovinata e che in un primo tempo è stata tentata di farsela cambiare. Poi però ci ha ripensato perché ha sentito dentro sé che sarebbe stato come fare un torto a Ianetta e a Nora, al loro essere diverse, speciali, segnate nel corpo e nell’anima. “Se non sono in grado di applicare l’insegnamento di Ianetta alle piccole cose, come posso sperare di diventare una persona migliore?” - mi ha confessato. Le sue parole mi hanno molto colpita e commossa. Mi hanno fatto capire fino in fondo quanto potere è racchiuso in un libro.
Online la recensione di "Fiore di fulmine"
http://www.focusardegna.com/index.php/attualita/cultura/1145-il-fiore-di-fulmine-della-rinascita