Parlare di scienza non è semplice, tantomeno raccontarla con parole comprensibili anche a chi di scienza non se ne intende e inserirla in un testo che, a tratti, ha dei toni romanzati e un attimo dopo assume le caratteristiche di un diario di bordo. Un attimo successivo vuole essere tecnico, ancora dopo spirituale. ‘Marte Bianco’ è un’oscillazione armonica tra scienza e spiritualità, tra razionalità e sentire.
Marco Buttu, raccontando la sua forte e importante esperienza in Antartide, in quel gelido sud del mondo sconosciuto e inaccessibile, senza il Sole né forme di vita, porta al contrario la luce nelle nostre vite ordinarie, fatte di giorni che fuggono, di occasioni mancate, di sogni chiusi definitivamente nel cassetto oramai ricolmi di polvere, dei viaggi e le avventure che per tanto, troppo tempo, abbiamo rimandato.
Invita alla calma e alla meraviglia, alla ricerca delle emozioni che la natura suscita: una foglia che cade, la forza del vento, un cielo stellato, il rumore della neve. Cose semplici e un po’ banali penserete ma, al contrario, fondamentali per rendere le nostre brevi comparse su questa Terra interessanti e vive.
Può dunque questo testo affacciarsi in un’epoca di frenesia e presentarsi a una generazione che vive di tecnologia, apparentemente disinteressata ai problemi del Pianeta, ed essere fruibile, istruttivo e illuminante?
La risposta è sì.
‘Marte bianco’ è un testo di coraggio che tutti dovrebbero leggere, in modo particolare oggi. Per dare un senso al tempo e allo spazio nel quale viviamo. Per sfidare i limiti del possibile e aprire le porte dell’impossibile. Per interessarci alle cose straordinarie lontane da noi, tentare di capire il cosmo e i suoi misteri, porsi sempre e continuamente degli interrogativi che, presto o tardi, con l’aiuto della scienza avranno certamente delle risposte. In fondo non siamo poi così diversi dallo spazio, dagli altri esseri animati e inanimati che abitano la Terra, dagli altri pianeti, dalla nostra Galassia e dalle altre Galassie. Come diceva Margherita Hack, la grande astrofisica italiana: Noi umani “siamo fatti della stessa sostanza delle stelle”.
Marte Bianco - Edizioni LSWR
L’Altopiano Antartico è il luogo più estremo al mondo: una distesa ghiacciata e sconfinata dove le temperature scendono sotto i -80°C, c’è carenza di ossigeno e l’aria è così secca che anche le più piccole ferite impiegano mesi a rimarginarsi. Non ci sono piante, animali e nemmeno i batteri, mancano i colori e i profumi e per cento giorni sparisce anche il Sole. E un errore banale può costare la vita, perché se capita un incidente nessuno può venire in soccorso. Qui, nella base italo-francese di Concordia, un piccolo gruppo di persone compie ricerche scientifiche. Sono gli esseri umani più isolati al mondo, ancora più degli astronauti a bordo della Stazione Spaziale Internazionale. L’Agenzia Spaziale Europea li tiene sotto osservazione per capire come il corpo si adatti a un ambiente extraterrestre, in previsione di una futura missione su Marte.
" E’ un posto che somiglia più a un altro pianeta che alla Terra: ecco perché la mia casa è chiamata Marte Bianco "
L’autore
Marco Buttu, ingegnere elettronico, lavora all’Istituto Nazionale di Astrofisica come sviluppatore di software di controllo del Sardinia Radio Telescope, il più moderno radiotelescopio europeo e uno tra i più grandi al mondo. Ha trascorso un anno sull’Altopiano Antartico, il posto più freddo, isolato ed estremo del pianeta, curando esperimenti in campo astronomico. Contribuisce allo sviluppo di progetti open source, si occupa di divulgazione scientifica ed è autore del bestseller Programmare con Python.
Diretta streaming della presentazione di 'Marte Bianco' a Gavoi QUI
La nostra intervista a Marco Buttu QUI
Foto © Marco Buttu per gentile concessione dell'autore