Originario di Orotelli, ma residente a Milano, Antonello Menne è un professionista polivalente, da sempre impegnato nel sociale e profondo conoscitore della Sardegna. La sua, è una vita divisa a metà: da una parte Milano, dove esercita la professione legale in uno studio da lui stesso fondato ed insegna diritto presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore;dall’altra la Sardegna, terra in cui affonda le sue radici e alla quale è indissolubilmente legato da un sentimento di affetto e di riconoscenza. Nell’isola, oltre a parenti e amici, conserva ricordi e coltiva interessi. Di recente, è stato tra i promotori e poi tra i coordinatori dei Master Cattolica attivati in tre diverse sedi isolane: Cagliari, Nuoro e Sassari. Con lui parleremo prevalentemente di Turismo di Cultura e degli inevitabili legami con la Sardegna.
Partiamo:
1) Un sardo trapiantato a Milano. Che legame conserva con la Sardegna?
Un legame di affetto e di riconoscenza come, credo, gran parte dei sardi. Appartengo alla categoria di quelli con doppia cittadinanza, innamorato della terra natia e legatissimo a Milano, città di lavoro, cultura e affetti. Ma il lavoro è anche il trait d’union con la Sardegna. Seguo clienti che investono in Sardegna e ogni tanto provo a lanciare idee per concorrere allo sviluppo di questa isola. La Sardegna rimane una terra dalle grandi opportunità.
2) C’è qualcosa che cambierebbe della nostra isola?
Cambierei gli atteggiamenti e il modo di stare insieme, oltre al rapporto con la politica e le istituzioni. Noi sardi continuiamo a essere un popolo che si difende, anche quando non c’è il nemico. Siamo sospettosi l’uno dell’altro, godiamo delle difficoltà altrui, trasformiamo in invidia il rapporto che ci lega ai successi del nostro vicino. Dobbiamo cominciare a capire che dall’ascolto reciproco, dal sostegno reciproco, dal lavoro comune, dal mettere in condivisione le conoscenze e le competenze nasce il vero sviluppo, si creano opportunità, si affermano nuove idee. Vorrei che si dicesse basta al vecchio e stantio lamentarsi davanti ai palazzi della politica, vorrei che si ricominciasse a progettare, a ricercare nuove idee e soluzioni. Vorrei che si sfruttasse meglio la tecnologia che abbatte le barriere e l’isolamento. Vorrei che si investisse di più e meglio in formazione specialistica. C’è una cosa ,poi, che cambierei completamente: la burocrazia. Anzi, per molti aspetti e in moltissime attività, la eliminerei perché è il cancro vero della nostra era. Manderei a casa quei cento funzionari e dirigenti che presidiano il territorio sardo imponendo vincoli, divieti e vessazioni e che sono uno dei freni allo sviluppo e alla liberazione di energie e risorse.
3) Qual è il maggior limite caratteriale dei sardi?
Siamo individualisti però non crediamo fino in fondo in noi stessi. Siamo pronti, nel bene e nel male, a fare tutto in prima persona per poi, spesso, fermarci a metà strada. Abbiamo uno spiccato senso dell’orgoglio e una sana dimensione della dignità ma non le sappiamo trasformare, in azioni concrete e in opere. Venendo da fuori, la percezione che si ha è di una terra che vive di immobilismo perché non sappiamo lavorare con metodo e apertura verso gli altri. Non riusciamo ad aprirci agli altri. Per farlo bisogna predisporre il proprio cuore alla comprensione e al bene. Non si può rispondere al torto con l’aggressione, non può permanere in vigore il codice della vendetta; è uno strumento che crea sottosviluppo e fa scappare le energie migliori. Dobbiamo rifiutare e bandire gli strumenti della denigrazione per fare posto alla concordia e al reciproco rispetto.
4) Cultura e Turismo, perché alla Sardegna conviene investire in questi due settori?
Perché sono in grado di generare reddito. La qualità della vita è certamente data dall’ambiente ma prima ancora è data dal lavoro e dal reddito. Se è negato il lavoro è negata alla persona la dignità stessa. Cultura e turismo sono due fonti straordinarie di reddito. Sul turismo noi sappiamo che in questi ultimi anni è cresciuto l’impegno da parte di tutti, ma troppo rimane ancora da fare. Occorre concentrarsi sulle infrastrutture e sui trasporti. Occorre portare i turisti nella nostra isola, non solo quelli del mese di agosto. Ci sono tanti altri segmenti di turismo che dobbiamo sapere intercettare. In questo settore è fondamentale l’incontro tra pubblico e privato, se si agisce in ordine sparso non si va da nessuna parte. Bisogna studiare e rifarsi a quei sistemi che funzionano, anche in Italia. Si pensi al Trentino, alla Romagna, per non parlare delle Baleari. Bisogna fare una forte attività di programmazione. Piuttosto che andare in giro per le fiere a vendere prodotti costituirei un corposo gruppo di lavoro per studiare i numeri e per capire come si può creare massa critica, come intercettare le esigenze degli anziani del Nord Europa e quelle dei giovani dell’Est per quindi formulare un’offerta condivisa, identificando un prodotto che sia comune agli operatori dello stesso segmento. Poi, certo, mettendo insieme le filiere collegate al turismo, in primis l’agroalimentare.
Per quanto riguarda la cultura, la Sardegna è una terra ricca di storia e di storie meravigliose. Il popolo sardo custodisce, anche gelosamente, tradizioni e saperi che lo rendono a tratti unico nel panorama del Mediterraneo. Il patrimonio culturale è notevole. Anche su questo però bisogna intendersi. Se continua a prevalere l’idea che bisogna evitare ogni forma di contaminazione, che la cultura non deve “sporcarsi” con il turismo e che deve sempre portare l’imprimatur degli accademici, allora mettiamoci l’animo in pace e continuiamo a praticare lo sport preferito, quello di lamentarsi perché tutto è fermo e nessuno tiene conto di noi.
5) Cos’è un distretto culturale?
Il distretto culturale è un’evoluzione di quello industriale; è quel processo di crescita sostenibile legato alla cultura locale che si fonda su un’economia plurisettoriale e ad elevata specializzazione, con domanda variabile. È un fenomeno sempre più in via di sviluppo ma che necessita di un’azione politica pianificata. Richiede, inoltre, il coinvolgimento di Università e Centri di Ricerca per la formazione di capitale sociale e umano. Nelle esperienze affermate, sia in Italia che all’estero, il distretto culturale viene visto come un sistema organizzato di un determinato territorio, che ha come obiettivo la valorizzazione delle risorse locali (culturali, materiali ed immateriali). Il concetto base è la cultura ed è considerato fonte di sviluppo economico.
Credo che in Sardegna ci siano diverse aree con queste caratteristiche. Penso in primo luogo al nuorese, dove è già in corso una sperimentazione in questo senso. E’ stato costituito l’organismo (un’associazione) con lo scopo di costituire un Distretto culturale. I promotori sono il Comune di Nuoro, la Camera di Commercio, la Comunità Montana, la Confindustria, la Confcommercio, l’API e l’Associazione Dialogo e Rinnovamento.
Crediamo che questo territorio abbia tutti i requisiti perché possa concretarsi l’idea distrettuale. La provincia di Nuoro è ricca di storia, tradizione, natura e cultura, e le tracce sono visibili nei monumenti preistorici, storici e nel vastissimo patrimonio artistico. Tra questi l’archeologia, che, pur essendo in Sardegna un patrimonio dal valore inestimabile, non viene valorizzata in maniera adeguata e anzi il più delle volte abbandonata a se stessa.
Esiste un alto numero di musei che si occupano di cultura, ma anche associazioni che operano in questo settore. Poi ancora scrittori, scultori, avvocati, politici (nati in questa provincia) che hanno creato e trasmesso cultura nel territorio isolano, italiano e internazionale. Si tratta di personaggi illustri come la Deledda, Ciusa, Satta, Nivola, Cambosu e tanti altri, che con la loro genialità hanno fatto attribuire al Nuorese l’appellativo di Atene Sarda. È un territorio con profonde radici che si riferiscono ad una tradizione culturale tramandataci oralmente da secoli e secoli. Un esempio di grande importanza sono i dialetti, tutti diversi e unici, e ancora le tradizioni, il folklore, il carnevale barbaricino, triste e cupo, che rimanda a riti propiziatori ma anche il canto a tenore, riconosciuto quale patrimonio dell’umanità.
Per quanto riguarda il patrimonio culturale si rilevano in tutta la provincia 32 musei, tutti dedicati alla cultura popolare, ambientale ed artistica. 4 case editrici, 10 compagnie teatrali, 61 gruppi folkloristici, 73 tenores, 31 cori polifonici, 15 gruppi di maschere tradizionali, 3 librerie, 859 siti archeologici. Non solo, in provincia esistono anche tantissime associazioni (sport, tempo libero, cultura e tradizioni, volontariato sociale e volontariato ambientale), fondazioni regionali (Cambosu, Asproni, Nivola) e vengono, infine, realizzati tre festival internazionali: quello letterario di Gavoi e quelli jazz di Cala Gonone e Nuoro.
C’è poi un’altra realtà territoriale che sta crescendo e si sta organizzando: si tratta del Marghine, dove, su impulso dell’Associazione Nino Carrus e dell’Associazione Dialogo e Rinnovamento, è stato già avviato il tavolo tecnico per la raccolta delle idee progettuali in vista della costituzione di un Distretto culturale. Sono due territori che si mettono in competizione e la competizione aiuta, serve a misurarsi e a dare maggiore concretezza ed efficacia a tutte le azioni che vengono compiute. Il progetto del nuorese vive una fase di blocco: colgo l’occasione per rilanciare la sfida a tutti i partner, per riprendere in mano il progetto e avviarlo a realizzazione. Io ci credo moltissimo.
6) I distretti culturali costituiscono per la Sardegna un imminente realtà o un traguardo ancora lontano?
I presupposti per far decollare queste reti di sviluppo locale ci sono, purtroppo manca la cultura del lavorare insieme, soprattutto tra soggetti pubblici e privati. Per far decollare i distretti culturali è molto importante l’azione degli enti locali, soprattutto per ciò che riguarda la programmazione e gli investimenti infrastrutturali. Occorre superare le diffidenze e i campanilismi, oltre che le diatribe tra partiti. La politica si deve veramente mettere al servizio delle comunità, i politici devono capire che l’impegno nelle istituzioni non è un’occasione per primeggiare o fare carriera: è una stagione della propria vita in cui si fa servizio, come il servizio militare ora abolito. Non può esistere la carriera politica a vita, esiste solo l’impegno a tempo, poi si ritorna in famiglia, al lavoro e alle professioni.
Il costruire reti di sviluppo locale è una grande sfida per molti territori della Sardegna, avendo però l’accortezza di pianificare in modo intelligente, coinvolgendo e responsabilizzando, in modo trasparente, i soggetti privati, chiamandoli ad assumersi le responsabilità. Mi sento disorientato quando vedo gli imprenditori comportarsi come i sindacalisti, cioè protestare perché lo Stato ci ha abbandonati, le istituzioni ci hanno tradito e i poteri forti ci hanno dimenticato. Per cambiare, per fare sviluppo occorre prima di tutto chiedere conto a noi stessi, naturalmente senza rinunciare a far valere la nostra voce di protesta quando è necessario.
7) Favorevole o contrario agli investimenti Qatariani in Costa Smeralda?
Quando si tratta di portare risorse per lo sviluppo io sono sempre favorevole. Tra lo sbaraccamento e gli investimenti io sono per i secondi, naturalmente non a qualunque costo. Sono per il libero mercato, per la liberalizzazione in gran parte dei settori dell’economia, comprese le professioni, perché lo Stato e la Regione tirino i remi in barca su parecchi fronti, ma sono anche per uno sviluppo sostenibile, che sia in grado di garantire reddito e creazione di sistema economico e che non comprometta irrimediabilmente la nostra storia, cultura e il nostro ambiente. Sono contrario alla politica dei veti, dei divieti, dei vincoli immotivati. A me non interessa se una società, un investimento sia di proprietà italiana o straniera; a me interessa che sia un investimento compatibile, in grado di creare benessere e sviluppo, che non comprima i diritti dei consumatori e che, soprattutto, crei sistema, cioè nuove opportunità. Quando si ferma l’edilizia si fermano gli studi dei geometri, le cooperative dei falegnami, le squadre dei piastrellisti, gli alberghi che ospitano i manutentori e così di seguito. Quindi, io non sono contrario a che arrivino in Sardegna capitali e investimenti privati. Farei di tutto per dirottarli anche nelle infrastrutture. Dobbiamo imparare ad essere riconoscenti con chi viene in Sardegna e porta cose nuove, oltre che occupazione e reddito.
8) Crede sia possibile istituire in Sardegna una zona franca o comunque ottenere una qualsiasi altra forma di fiscalità agevolata?
Su questo tema bisogna essere molto cauti ma anche propositivi. Quando si parla di fiscalità di vantaggio bisogna fare i conti con i vincoli che provengono dall’Europa. Di certo il ragionamento va fatto nella cornice dello Stato unitario. I Sardi hanno tutto il diritto di reclamare pari diritti di cittadinanza e la continuità territoriale, lo sgravio per le merci e la fiscalità di vantaggio mirano tutte a riequilibrare il rapporto dei cittadini sardi con lo Stato centrale. Non ci siamo tirati indietro quando lo Stato ci ha chiamato per compiere il nostro dovere, in tutte le circostanze. I nostri nonni sono andati arruolati con la Brigata Sassari a difendere i confini, hanno versato il loro sangue. I nostri padri hanno lasciato l’isola per lavorare nelle grandi aziende del Nord. La Sardegna ha prestato il suo territorio per le zone militari e lì ha rinunciato a fare pianificazione. Ora è arrivato il momento non di rivendicare diritti inesistenti, ma di dare attuazione a quelli riconosciuti e rafforzati dallo Statuto Speciale, rimasto, per la verità, in molte parti lettera morta. Sono quindi favorevole per la fiscalità di vantaggio, facendo però delle scelte importanti, dobbiamo, cioè, capire quali settori ci interessa sviluppare, dobbiamo essere in grado di attirare quelle aziende che hanno prospettive serie di sviluppo, che abbiano un livello molto alto di innovazione e sostenibilità economica. Bisogna cominciare a dire basta ai troppi imprenditori che arrivano in Sardegna, si prendono le provvidenze e dopo qualche tempo scompaiono nel nulla.
9) Ha un qualche suggerimento da dare ai politici sardi?
Di mettersi in sintonia con il loro popolo. A volte leggo interviste e dichiarazioni che mi sembrano estrapolate dai discorsi di trent’anni fa. A qualcuno vorrei dire che è arrivato il momento di mettersi a studiare la realtà che amministra e che non è obbligatorio rimanere avvinghiati alla poltrona a vita. Ritengo che la Regione vada snellita. Trenta consiglieri regionali sono più che sufficienti per amministrare la nostra terra. Però vorrei dare un consiglio anche ai troppi cittadini che continuano a vedere nei politici il tramite per le loro questioni personali. Bisogna cambiare il rapporto con loro, essere molto esigenti rispetto alle politiche pubbliche, eliminare alla radice la richiesta di politiche private.
10) Pensa mai di ritrasferirsi in Sardegna?
Perché no, noi sardi viviamo con i grandi sentimenti che abbiamo sperimentato durante l’infanzia. L’infanzia ci riporta inesorabilmente da madre terra. Siamo degli individualisti ma non ci tiriamo indietro se la comunità chiama, sia nel momento della festa che in quello del dolore. Anche per questo, la Sardegna non è una terra scontata. E’ una terra che suscita emozioni e provoca inquietudine; per chi ama la vita e le sue sfide, la Sardegna è un luogo ideale per viverci. E a me piacciono molto le sfide.
Simone Tatti