Paolo Piquereddu, 64 anni, di Nuoro, è da 13 anni il direttore generale dell’Istituto Superiore Regionale Etnografico (ISRE). Laureato in Filosofia presso la Sapienza di Roma, ha seguito, dopo la laurea, corsi di specializzazione in Archeologia, Storia, Antropologia e Arte della Sardegna. Particolarmente interessato alle problematiche della museologia e della museografia demo-etno-antropologica ha redatto il progetto culturale per l’ampliamento e la riqualificazione del Museo Regionale Etnografico di Nuoro e del Museo Deleddiano / Casa Natatale di Grazia Deledda.
Ha prestato la propria consulenza scientifica per la realizzazione di numerose esposizioni e progetti museali, tra i quali quello del Museo delle Maschere Mediterranee di Mamoiada. Docente di museologia e museografia presso l’Università degli studi di Sassari, componente di diverse Istituzioni e Associazioni culturali italiane e straniere, è membro del Direttivo Nazionale dell’ICOM ( International Council of Museums).
Con lui parleremo prevalentemente di cultura, identità, e del ruolo svolto dall’Ente che dirige.
Partiamo.
1. Cos’è l’ISRE e quali attività svolge?
L’Isre è un ente pubblico istituito con la legge regionale n°26 nel 1972 che porta avanti la propria missione istituzionale attraverso un'articolata serie di compiti e attività volte allo studio, alla documentazione e alla promozione del patrimonio culturale ed etnografico della Sardegna. Sono diverse le attività di competenza dell’Ente ma tra quelle più significative voglio ricordare:
- la gestione e la cura del Museo Regionale della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde situato a Nuoro e che rappresenta il più importante museo etnografico della Sardegna sia per la quantità che per la qualità delle sue collezioni;
- la gestione e la cura del Museo Deleddiano che ha sede nella casa natale di Grazia Deledda a Nuoro: si tratta di uno dei musei letterari più visitati d’Italia;
- la gestione e cura del Museo Etnografico Regionale/Collezione Luigi Cocco. Aperto dal luglio 2010 a Cagliari, nella Cittadella dei Musei, cespone una selezione della ricchissima collezione di oggetti tessili e di oreficeria della Sardegna, formata a partire dagli anni Venti del ‘900 dal magistrato Luigi Cocco;
- la gestione e la cura della Biblioteca specialistica di carattere etnoantropologico e museologico e dell’Archivio storico nella sede di via Papandrea a Nuoro. La biblioteca, con i suoi oltre 30.000 volumi, è oggi la più importante del settore in Sardegna e viene costantemente arricchita. L’archivio, invece, conserva diversi fondi di interesse storico; tra i principali si ricorda il Fondo Dolfin, che comprende oltre 10.000 pagine di documenti relativi a Giorgio Asproni, e il Fondo Grazia Deledda composto da manoscritti, dattiloscritti autografi e da diverse pubblicazioni della scrittrice nuorese;
- la gestione e cura della Cineteca e dell’Archivio fotografico d'antropologia visuale che raccoglie una notevole quantità di filmati realizzati e/o prodotti dall’Istituto in oltre trent’anni di studi e documentazione della vita popolare della Sardegna;
- l’organizzazione del SIEFF, festival internazionale di film etnografici, nato nel 1982 e riconosciuto come uno dei più importanti in Europa:
- l’organizzazione di ETNU/Festival italiano dell’Etnografia: istituito nel 2007, ospita stand di musei di varie regioni di’Italia, mostre di etnografia, artigianato e design, convegni, laboratori, concerti, proiezioni cinematografiche, presentazione di libri, ecc.
2. Da Direttore Generale dell’Ente, quali linee strategiche ha impostato?
Anzitutto va detto che la pianificazione delle linee strategiche compete al Comitato tecnico – scientifico dell’Ente e deve essere coerente con le direttive derivanti dagli atti di programmazione generale della Regione. Il Comitato opera in stretta collaborazione con il Direttore Generale in particolare nella redazione del programma annuale di attività che viene proposto al consiglio di amministrazione per la sua approvazione. Compito diretto del Direttore generale è invece la predisposizione del programma operativo annuale (POA), il documento nel quale vengono definiti modi, tempi e risorse delle singole attività dell’Ente. Per quanto mi riguarda ho cercato rafforzare l’istituto come struttura votata ad attività di studio e ricerca, in maniera da poterlo caratterizzare come punto di riferimento per chi si occupa di etnografia, antropologia e museologia in Sardegna e non solo. Inoltre, per un mio speciale interesse e una mia vocazione ho dedicato e dedico molto impegno allo sviluppo del cinema etnoantropologico e in generale all’antropologia visuale, ritenendo queste attività particolarmente efficaci per conoscere, studiare e preservare e il nostro straordinario patrimonio materiale e immateriale.
3. Quanto è importante per un popolo conservare la propria identità?
Ha un’importanza essenziale e trovo paradossale che in un recente passato noi sardi potessimo arrivare alla laurea conoscendo poco o nulla della storia della Sardegna. È andata così dal Dopoguerra e sino agli anni ’60, quando si tendeva a connotare come negativo e causa di arretratezza culturale e sociale, tutto ciò che aveva a che fare con la nostra Isola. Nel corso degli anni ’80, a seguito di una prima inversione di tendenza, si è sviluppata progressivamente un’idea positiva della Sardegna e di tutto ciò che ne caratterizzava la cultura. Tale connotazione positiva è tuttora molto viva e riguarda, in particolar modo, la qualità della vita, dell’ambiente, la genuinità dell’alimentazione e in generale il patrimonio culturale tradizionale. Conoscere il proprio passato è fondamentale per un sardo che vuole navigare nel mondo contemporaneo e operare confrontandosi con le altre realtà sociali. Se non si ha una propria connotazione culturale e un senso di appartenenza a una terra e a un luogo non si è in grado di affrontare con serenità e forza il futuro e di compararsi al vasto mondo.
4. Come considera la nostra società globalizzata che tende all’omologazione della personalità del singolo individuo?
Il fenomeno della globalizzazione sta modificando la nostra società in maniera tangibile. C’è un processo di omologazione derivante dalla diffusione globale dei mezzi di comunicazione. In questo processo, l’evoluzione tecnologica ha indubbiamente giocato un ruolo fondamentale, ha cambiato le nostre abitudini e contribuito alla divulgazione di stili di vita e di consumo del tempo relativamente indifferenti alla collocazione geografica delle persone. Infatti, se prima per poter comunicare a grandi platee era necessario disporre di ingenti capitali, adesso è possibile farlo con molte meno risorse: Internet, ne è l’esempio più emblematico. Questa evoluzione tecnologica ha fatto sì che da un lato si avviasse un processo di democratizzazione su ampia scala e dall’altro che sorgessero organizzazioni che gestiscono le informazioni a un livello di capillarità inquietante, da vero “Grande fratello”. Il mio parere nei confronti di internet e in generale del processo di trasformazione tecnologia non può che essere positivo, per quanto il rischio di andare incontro a delle degenerazioni sia molto concreto. A tal proposito, è di fondamentale importanza saper gestire il cambiamento non chiamandosene preventivamente fuori per paura delle possibili ripercussioni negative.
5. Che ruolo riveste la cultura all’interno della società odierna?
Questa è una domanda a cui non si può rispondere in poche parole. Dentro il termine cultura si può far rientrare ogni espressione e manifestazione dell’agire umano. Comunque se pensiamo al sistema culturale di una società o di una comunità, è evidente che questo ha sempre rivestito un ruolo fondamentale, poiché è attraverso lo studio e la conoscenza che si veicola la trasmissione del sapere tra le diverse generazioni determinando la sopravvivenza e la crescita della società. Poi abbiamo il complesso del patrimonio culturale di un paese, costituito dall’insieme di luoghi, edifici, oggetti pratiche sociali, competenze che lo caratterizzano e che formano un complesso di beni di straordinario valore simbolico, culturale e nello stesso tempo economico. Possiamo inoltre parlare di industria culturale, per esempio dell’industria discografica, di quella cinematografica e teatrale, di quella editoriale che, nei periodi di crisi economica, come quella che stiamo attraversando adesso, risentono inevitabilmente di un calo per assenza di politiche lungimiranti, quando invece potrebbero rappresentare strumenti per uscire o perlomeno attenuare gli effetti della crisi. Il discorso è troppo ampio. Vorrei però sottolineare il ruolo fondamentale che, nella società odierna, giocano i Festival, di cui mi sto occupando da qualche tempo attraverso una specifico studio; essi rappresentano i nuovi media per la trasmissione della cultura, attivano un dialogo tra artisti, scienziati, letterati e il grande pubblico, determinano un avvicinamento e un’interazione tra varie classi sociali e fanno scoprire il piacere della lettura e della conoscenza scientifica e umanistica condiviso e vissuto spesso in luoghi di grande valenza simbolica. Alcuni festival hanno cambiato l’economia e la vita sociale dei territori nei quali si svolgono: per citare solo esperienze sarde, basti pensare a Time in Jazz di Berchidda e all’Isola delle Storie di Gavoi. Chi oggi ha responsabilità pubbliche in materia culturale non può trascurare questi strumenti e queste modalità di promozione della cultura.
6. Come è possibile trasformare il patrimonio culturale della nostra Isola in patrimonio economico?
Anzitutto bisogna chiarire che il patrimonio culturale non può essere inquadrato come un comune bene /merce la cui vendibilità sul mercato crea un’immediata monetarizzazione del prodotto: sarebbe un grave errore considerarlo tale. Il patrimonio culturale è qualcosa di ben più articolato che raggruppa sia il patrimonio materiale, composto monumenti, i luoghi di grande valore artistico e storico, i beni che sono conservati nei musei e cosi via ed il patrimonio immateriale, composto da quell’insieme di conoscenze, abilità e tradizioni che sono proprie di un popolo. Ciò che in generale bisognerebbe fare è rendere maggiormente fruibile l’accesso a questi due tipi di patrimonio anche attraverso un’attività congiunta e programmata da parte degli istituti a ciò preposti.
7. Il patrimonio culturale può rappresentare un elemento valido per la destagionalizzazione del flusso turistico?
Questo è un tema di cui a lungo si è discusso e di cui io stesso mi sono personalmente interessato. Un’adeguata promozione di itinerari turistico- culturali consentirebbe indubbiamente di allargare il range temporale nel quale i turisti si interessano alla Sardegna che, come sappiamo, è concentrato nei mesi estivi. Lo stesso sistema delle feste che si svolgono nei nostri paesi ha diffusione nel corso di tutto l’anno e non solo in estate. Coerentemente ciò che si deve fare è impegnarsi a conservare l’identità temporale e spaziale delle tradizioni per non correre il rischio di banalizzarle ed avvilirle. Sono sempre stato contrario alla riproposizione degli eventi al di fuori del loro contesto naturale, dalle Sartiglie estive ai mamuthones su e giù per le spiagge o le feste estive. Se noi riusciamo a conservare luoghi e calendario delle nostre tradizioni, i turisti saranno sicuramente in grado di riconoscere e apprezzare tutto l’anno eventi e pratiche che hanno valore per la comunità e lasceranno perdere le invenzioni un po’ imbarazzanti di tanti programmi estivi ad uso esclusivo dei turisti.
8. Cosa si può e si deve fare per la cultura in Sardegna?
Occorre disporre di risorse da impiegare nella conservazione e restauro dei beni, nello studio e nella ricerca ed infine nella promozione e nella sensibilizzazione dei potenziali consumatori. Chi si occupa di cultura poi, deve cercare di instaurare delle collaborazioni con i soggetti privati in maniera tale che ne derivi un beneficio anche per chi vuole avviare attività imprenditoriali. Sono però dell’avviso che i beni culturali debbano mantenere una connotazione giuridica assolutamente pubblica; certamente le attività che gravitano attorno possono anche essere oggetto dell’attività di impresa.
9. Sta quindi dicendo che l’ingresso nei musei dovrebbe essere gratuito?
Esatto, mi riferisco proprio a questo. Ritengo che la visita ai luoghi della cultura non possa essere soggetta al pagamento di un corrispettivo, nello stesso modo in cui è inteso un ingresso in biblioteca per la lettura di un libro. Attraverso la richiesta di un pagamento io sto già disincentivando una parte di pubblico dalla fruizione del servizio. Occorre tuttavia trovare altre forme di introiti; penso naturalmente al merchandising museale e ai servizi accessori, al noleggio di sale e spazi vari per attività di carattere privato. Per esercitare una forte capacità attrattiva il museo deve organizzare i suoi spazi e il sistema di comunicazione e informazione in maniera tale da risultare un luogo piacevole e attento alle esigenze dei visitatori. Si tratta dunque di riorganizzare e riprogrammare le strutture museali all’interno di questa visione di compiti e finalità brevemente delineata.
10. Tremonti disse: “Di cultura non si vive”. Cosa si sente di rispondere a chi come lui la pensa in questo modo?
Di cultura si vive, eccome se si vive. Se poi pensiamo al cinema, al teatro, alla musica, all’editoria, ai festival, abbiamo la dimostrazione lampante che di cultura si può vivere e anche bene. Basterebbe solo questo per smentire la dichiarazione di Tremonti. Ma sa cosa penso? Che nemmeno Tremonti creda sino in fondo a questa sua affermazione.
Simone Tatti