Al comando della Brigata Sassari dal 2012, il Generale Manlio Scopigno, nato a Roma nel 1963, ha un background ricco ed articolato. Dopo aver frequentato i corsi dell'Accademia Militare di Modena e della Scuola di Applicazione di Torino, nel corso della sua carriera ha ricoperto importanti incarichi di comando in Italia e all'estero dove ha preso parte alle missioni di pace in Somalia, Bosnia Erzegovina, Kosovo, Macedonia e Libano, in questo ultimo teatro operativo al comando del 186° Reggimento della Brigata paracadutisti Folgore. È laureato in Scienze Strategiche presso l'Università degli Studi di Torino, dove ha conseguito anche il Master di II livello e in Scienze Diplomatiche Internazionali presso l'Università degli Studi di Trieste.

È in possesso, inoltre, del Master in Studi Internazionali Strategico-Militari conseguito all'Università degli Studi di Milano, del Master in Management e Gestione del Personale della Pubblica Amministrazione e del Master in Comunicazione Efficace, questi ultimi conseguiti presso la Scuola Superiore di Amministrazione Pubblica e degli Enti Locali. Ha frequentato, inoltre, un master post universitario presso la Naval Post Graduate School in California sulla gestione delle risorse per la Difesa.  Con il 41° Comandante della Brigata Sassari parleremo dell'importanza ricoperta da tale Istituzione nella Sardegna, dell'inno Dimonios, degli ideali e delle motivazioni che, ancora oggi, caratterizzano i Sassarini. 

Partiamo:

Quale importanza ricopre la Brigata Sassari nella Sardegna?

Penso che la Brigata Sassari e la Sardegna siano la stessa identica cosa. Spiego meglio il perché di questa mia affermazione: la peculiarità della Brigata Sassari è quella di essere ormai l'unica Grande Unità dell'Esercito Italiano a reclutamento regionale dove il 98 per cento della  truppa è costituita da sardi. In realtà, se andiamo a guardare i numeri relativi agli ufficiali ed ai sottufficiali, questa percentuale si abbassa un po' in ragione del fatto che l'impiego di queste due categorie è funzionale a precisi profili di carriera che impongono la loro presenza anche in altri reparti d’Italia. Resta comunque fondamentale il fatto che la nostra è una Brigata composta da sardi e, in quanto tale, non può che avere lo stesso spirito, gli stessi valori e gli stessi ideali a cui si ispirano i sardi. Chi viene da fuori non percepisce subito la differenza sostanziale tra i valori della Brigata Sassari e quelli della Sardegna. Non può che essere così per il motivo che ho spiegato: è formata da sardi e benché si tratti di una istituzione militare, i suoi valori hanno il minimo comune denominatore nel forte senso di appartenenza alla Sardegna. Alla tenacia e all'orgoglio, si sommano la generosità ed il grande spirito di umanità che ha sempre contraddistinto la gente di quest’isola; il loro altruismo e la loro abnegazione sono valori che sono stati storicamente anteposti persino alla loro stessa vita. Anche certi gesti estremi e, se vogliamo, certe aberrazioni o certi atteggiamenti derivanti dal codice barbaricino, in realtà hanno un preciso significato intrinseco: l'onore e l'orgoglio non hanno mitigazioni, sono valori assoluti. "Sa vida pro sa Patria" può essere considerato non solo come motto militare ma anche come profonda espressione di sardità.

In che modo i valori sono in relazione con la Sardegna? Come spiega il legame tanto forte - e pressoché unico nel suo genere - tra la Sardegna e la Brigata Sassari?

Penso che l'affetto che l'Isola nutre nei confronti della Brigata Sassari vada ricercato, oltre che nella presenza dei sardi nella Brigata, anche in un evento spaventosamente traumatico nella storia della Sardegna e delle sue famiglie. Parliamo della Prima Guerra Mondiale che per la Sardegna ha rappresentato una grossa svolta dal punto di vista storico: i sardi sin sono visti proiettati per la prima volta fuori dalla loro Isola, a contatto con una realtà diversa dal loro ambiente naturale, che ha comportato tantissimi lutti - in misura maggiore rispetto a quelli di altre regioni -, e questo li ha cambiati. Questo evento così traumatico ha intanto fatto percepire che la Sardegna potesse avere delle rivendicazioni nei confronti del resto dell'Italia ed ha fatto prendere coscienza dell'orgoglio e della necessità che la Penisola si dovesse occupare dei problemi della Sardegna. Nei confronti di coloro che sono partiti al fronte, la stessa popolazione sarda ha avuto un atteggiamento di evidente, tacito sostegno: il popolo sardo (e tutt'ora è così) - non rinnega! Tuttora i giovani guardano ai loro nonni in questa maniera e non hanno mai pensato di rinnegarli. In fin dei conti può succedere che dopo un evento drammatico, a distanza di tanti anni si possa fare dell'autocritica e si possa dire "Forse non era giusto…", ma questo non appartiene alla cultura sarda. Nessuno oggi in Sardegna ha mai pensato che i loro nonni sono andati a morire per stupiditá o superficialitá. Perchè? Intanto perché i loro nonni da questa esperienza  hanno risollevato il  problema della peculiarità della Sardegna (attraverso Emilio Lussu e il Partito Sardo d'Azione), cosa questa che ha inorgoglito i figli e i nipoti di questi nonni; ma un secondo e più importante motivo è che questi nonni che sono andati a combattere e a morire non erano degli sprovveduti che all'ordine "All'attacco!" si alzavano e  partivano senza badare alle conseguenze; non erano neppure quegli arditi fulmini di guerra che, sprezzanti di ogni pericolo e animati da uno spirito guerriero, andavano alla ricerca di un nemico da uccidere. I nonni erano i nonni. Questi nonni, pastori e agricoltori nella maggior parte dei casi, sapevano riflettere: "Se sto qui è perché devo svolgere il mio compito". Questa è la vera forza! La vera forza dei nostri nonni non stava nell'essere intrepidi o perfettamente addestrati. Era piuttosto una presa di coscienza reale, quella di dover assolvere ad un preciso compito. Ecco l'orgoglio sardo. Quella gente sapeva che andare all'attacco significava anche morire ma, se andava all'attacco, lo faceva  perché credeva nel valore dell'onore e dello spendere la vita per un ideale maggiore, per portare a casa la consapevolezza di dire: "Io c'ero e ho assolto il mio compito". Questo è il più grande insegnamento che quei nonni ci hanno lasciato.

Sassarini oggi: chi sono? Quali motivazioni li animano, qual è la loro formazione, da dove vengono?

C'è un passo bellissimo del nostro inno Dimonios che recita: "Sa fide nostra no la pagat dinari". È un passo significativo perché molte volte quello che si legge in alcuni commenti, a dire il vero piuttosto spiacevoli, è che i militari che partecipano alle missioni di pace all’estero, ivi compresi i Sassarini, perché tali missioni offrono dei vantaggi economici non indifferenti. Non è questo quello che contraddistinguere il Sassarino. Davanti a una bilancia in cui su un piatto si mettono degli euro per andare in  missione e sull’altro la consapevolezza di donare persino la propria vita per affrontare certe situazioni, chiunque rinuncerebbe alla manciata di euro per tenersi la vita o, quantomeno, non opterebbe per affrontare condizioni particolarmente disagiate che non varrebbero quel denaro. I Sassarini sono donne e uomini che credono in quello che fanno, abbracciano questa vita perché, come i loro nonni, vogliono esprimere qualche cosa: è il servizio allo Stato ed alle sue istituzioni che essi svolgono con l’intima convinzione che se si è in un posto e si porta avanti una missione, bisogna andare fino in fondo. E i miei Sassarini lo fanno con un silenzio assordante.

Parliamo della Brigata Sassari oggi e, in previsione della prossima partenza, facciamo un resumé delle ultime missioni. A tal proposito, ci vuole raccontare come ci si prepara all'impatto con culture lontane dalla nostra?

Dal 1997 fino al 2013 la Brigata ha partecipato alle principali missioni di pace all'estero. Per parlare di tempi recenti, nel 2003-04 e nel 2006 la Brigata è stata in Iraq; nel 2009-10 e nel 2011-12 in Afghanistan. Le ultime indicazioni del Ministro della Difesa vedono la Brigata Sassari tornare per la terza volta consecutiva in Afghanistan, probabilmente nel 2014, prima che questa missione, così come la intendiamo oggi, si compia definitivamente.Per quanto riguarda le fasi che precedono la partenza, ci sono lunghe attività preparatorie comuni a tutti i teatri operativi. Ma ci sono almeno tre aspetti che val la pena sottolineare: il primo riguarda la preparazione del militare dal punto di vista professionale. Il militare professionista si addestra continuamente per fronteggiare qualsiasi emergenza. In termini tecnici questo addestramento si chiama "full spectrum operations", ovvero una preparazione mirata ad assolvere un’ampia gamma di possibili situazioni in cui si troverà ad essere impiegato che va dalla missione di sicurezza in un ambiente operativo a quella come forza di interposizione o addirittura di contrasto di elementi ostili. Quando poi si è chiamati all’ impiego in uno specifico teatro operativo, particolare attenzione riveste la preparazione relativa all’approccio con la cultura, gli usi, i costumi, le tradizioni e le istituzioni del paese dove si va. Non sto parlando del normale addestramento di un soldato, quello relativo all'uso della forza o degli strumenti operativi in suo possesso; parlo di un addestramento inteso come capacità di interfacciarsi con le popolazioni del luogo ma anche con istituzioni governative e non governative. Quando il militare si trova in un teatro operativo ha talmente tanti attori con cui dover interloquire che non si può limitare a dire: "Io sono un militare, del resto non m'interessa niente", ma deve avere la capacità di capire come interfacciarsi con delle istituzioni che non sono le sue, o con cui normalmente in Patria non ha mai avuto occasione di un incontro. Questo addestramento richiede una preparazione molto intensa, che parte dalla conoscenza di quello che noi chiamiamo in termini tecnici "human terrain": come pensa la popolazione, quali sono le loro tradizioni, i loro valori, quale deve essere l'approccio, che cosa può offendere e che cosa invece generare consenso? Tutto ciò va studiato e insegnato in un lasso di tempo abbastanza lungo e va perseguito da tutti, soprattutto da quelli che stanno sul terreno. Il secondo cardine riguarda la preparazione necessaria per far fronte a certe situazioni che richiedono uno sforzo psicofisico notevole. E’ una costante degli addestramenti, non si tratta solo di prove di resistenza ma riguardano anche la sfera della salute fisica, quindi controlli medici periodici, vaccinazioni. Non basta però essere preparati fisicamente e culturalmente se non si ha l'assoluta certezza che quello che si sta facendo ha un valore, uno scopo, una causa che è assolutamente giusta. Quello che anima il militare - e parliamo del terzo cardine - è alla base di tutto, la consapevolezza cioé di  credere nei valori della democrazia, del rispetto dei popoli, dei diritti umani. Questo deve far parte del patrimonio culturale di ogni militare.

Brigata Sassari e cultura. Quali sono state, oltre al recente evento della vestizione del Candeliere dei Viandanti presso la vostra sede, le altre attività legate alla cultura di Sassari e della Sardegna?

La Sassari, non essendo un corpo estraneo alla Sardegna ma essendo "la Sardegna", non può che essere coinvolta in tutte le manifestazioni che hanno radici culturali sarde. Credo che la presenza della Sassari nelle più suggestive manifestazioni culturali dell'Isola non significhi  ostentare visivamente che l'Istituzione c'è per supportare un evento in generale; la Brigata invece c'è perché è la Sardegna, perché i suoi militari sono sardi e sono partecipi delle attività che accompagnano la Sardegna. Questo spiega perché a Cagliari ci sono militari della Brigata che accompagnano le spoglie di Sant’ Efisio alla processione e spiega anche perché molti Sassarini sentono la necessità di indossare gli abiti tradizionali durante la Cavalcata Sarda; in quella occasione perfino mia moglie - che sarda non è - ha avuto l'onore di sfilare con il tradizionale costume di Bitti. E da quel momento lei è diventata "sa vizzikesa", pur non appartenendo a questa realtà. La Brigata Sassari ha avuto anche l'onore di ospitare nel cortile del proprio comando l’antichissimo rito della vestizione di un Candeliere. Questo, a onor del vero, perché  al di là magnifica opportunità offertaci dal Gremio dei Viandanti, esiste un forte legame tra la Brigata e la Madonna del Buon Cammino. In questo caso abbiamo avuto l'accortezza di rispettare dei ruoli che vanno interpretati fino in fondo. Io stesso ho omaggiato il candeliere quando ha danzato davanti a me prima di lasciare la caserma, ho accettato con molto onore il  "bora bora" ma non ho voluto impartire i comandi perché così facendo sarei andato ben oltre la mia funzione di comandante della Brigata Sassari per entrare in un campo che è prettamente culturale; avrei fatto qualcosa che non mi appartiene per il ruolo istituzionale che rivesto e che non ho voluto oltrepassare poiché quel confine andava rispettato.

A proposito di cultura, lo stesso inno Dimonios è diventato parte integrante della cultura sarda; penso per esempio alla Dinamo che ha recentemente chiesto di poterlo cantare ad inizio campionato ma anche ad altre situazioni dove Dimonios andava a caratterizzare situazioni non militari.

L'inno Dimonios è abbastanza recente, fu composto intorno alla metà degli anni Novanta da Luciano Sechi , allora ufficiale effettivo alla Brigata Sassari. In esso si sottolineano quei valori che appartengono alla Sardegna. Quello che ho notato è che la nostra banda per le sue peculiarità, per la sua gestione,  non è più solo la banda della Brigata Sassari ma della Sardegna intera e Dimonios è diventato presto l'inno di un'Isola. Questa particolarità della Banda non è tale solo perché ci sono sardi che vi suonano ma perchè l'indirizzo che le è stato dato è quello  di recuperare le antiche tradizioni musicali della Sardegna. Quest’ anno, in occasione della sfilata del 2 giugno, si è scelto di inserire nei ranghi della banda - e questo credo che in Italia non sia mai successo - uno dei più antichi e suggestivi strumenti musicali che l’Isola possa vantare, le “launeddas”. E non poteva che essere così, perché quel suono - che non può essere riprodotto da nessun altro strumento musicale - dà il senso della sardità! Quel giorno, all'incedere marziale della compagnia di formazione del 151° Reggimento, scesi dalla tribuna per sentire meglio le “launeddas” che intonavano Dimonios e ho capito che l'inno, con quello strumento, recuperava lo spirito sardo più autentico: si sentiva la sardità, quello spirito di orgoglio, di appartenenza. Quel suono non poteva che essere il suono della Sardegna.

Come si trova da continentale a comandare i sardi?

Sono in una condizione un po' particolare perché avendo assunto la grossa responsabilità di curare gli interessi di un'istituzione che benché militare è comunque composta di sardi, ho avuto il vantaggio di non avere difficoltà di inserimento e, rappresentando la Brigata Sassari, tutte le porte mi sono state aperte. La mia riflessione su questa esperienza - che dura ormai da un anno - è quella che a questo mondo sardo bisogna approcciarsi con umiltà e attenzione, quasi in posizione di ascolto: non si può venire in questa Isola pensando di imporre una propria visione senza tenere conto della Sardegna stessa! Bisogna venire con umiltà, capire, comprendere quali sono i problemi e le peculiarità dei sardi prima di prendere una decisione e intraprendere una qualsiasi direzione. Un continentale che non fa questo è destinato alla sconfitta. 

Signor Generale, quali motivazioni la caratterizzano oggi, a tanti anni dall'inizio della sua carriera? C'è ancora lo spirito di quando frequentava l'Accademia di Modena?

Lo spirito è rimasto lo stesso ma, se guardo al mio passato, in questo momento mi sento più forte e più saggio, ma non perché in questi anni ho acquisto competenza e professionalità in situazioni che una volta superate danno la certezza di poter fare altro. Mi sento più forte rispetto ai primi anni dell'inizio della vita militare perchè ho una grande famiglia che mi supporta, ho la fortuna di avere una moglie e due figli meravigliosi. Mia moglie rappresenta il vero valore aggiunto della mia vita; lei  è riuscita con un grande sforzo personale a capire quali sono le aspettative di un militare, di capire ed interpretare correttamente questa "nostra" vita e di darmi sempre il carburante necessario per poter superare le difficoltà. La coppia dà il valore aggiunto, altrimenti sarebbe una corsa solitaria che non avrebbe senso.

Quale tra i vari periodi del suo comando l'ha segnata maggiormente dal punto di vista professionale?

Dal punto di vista professionale, per un ufficiale la vita è scandita dai periodo di comando a vari livelli: si inizia dal comando del plotone per poi arrivare, per chi è fortunato come lo sono stato io, al comando di una Brigata, ed io ho una fortuna in più: quella di comandare la Sassari. Ritengo in ogni caso che il periodo più significativo della mia vita professionale sia stato quello del comando della compagnia; è quello infatti che dà agli ufficiali il contatto diretto con gli uomini, intesi come militari in senso lato. È il momento in cui il comandante parla alle sue truppe guardando ognuno negli occhi e percependo le sensazioni che stanno avendo nel recepire l'ordine; valuta le smorfie, il sorriso, lo sguardo. Questa cosa andando avanti si perde perchè il comandante di più unità alla fine non ha più la percezione così fisica del contatto umano. Il comandante di compagnia conosce i propri dipendenti per nome, conosce le proprie famiglie, è il periodo in cui ci si mette più in gioco. In quel periodo ho avuto l'esperienza professionale più significativa, quella che risale alla missione in Somalia dove la mia compagnia si è trovata in situazioni di combattimento,  ha avuto dei feriti. Va detto che nessuna missione è facile ma quella aveva di suo la difficoltà di gestire delle situazioni che evolvevano molto rapidamente. Adesso abbiamo la professionalità per poter dire che una missione non si caratterizza mai in senso statico come missione unicamente di "peace keeping", "peace building", "peace enforcement". La missione può essere così all'inizio e poi trasformarsi in  un altro modo e finire in un altro ancora!

Oggi si comincia a percepire, secondo una dottrina acquisita anche dall'Esercito Italiano, quella che in termini tecnici si chiama "three blocks war": possono esistere, anche nell'ambito di uno stesso momento, tre situazioni diverse; una situazione nella quale si distribuiscono aiuti umanitari in un posto e nel quartiere a fianco, invece, si deve garantire la sicurezza della viabilità perché ci sono degli elementi ostili che stanno agendo per minarla e, magari, sempre nello stesso momento e in un altro quartiere ancora, ci sono altri elementi ostili da cui occorre difendersi.

Che consiglio darebbe a un giovane che volesse intraprendere la sua carriera?

Direi che chi vuole entrare nelle Forze Armate deve avere la profonda convinzione che l'orgoglio,  la generosità e gli ideali in generale vanno perseguiti al di là di ogni aspetto meramente economico o legato ad interessi personali. Questo è il più prezioso consiglio che posso dare a chi vuole intraprendere questa vita. Secondariamente, consiglierei di studiare tanto perché solo attraverso la conoscenza, non solo degli aspetti professionali ma soprattutto di quelli umani, si possono affrontare le sfide che ci attendono. 

 

Mariella Cortes

Autore dell'articolo
Mariella Cortes
Author: Mariella Cortes
Curiosa per natura, alla perenne ricerca di luoghi da scoprire, persone da raccontare e storie da ritrovare. Giornalista dal 2004 per carta, televisione, radio e web, lavoro a Milano come formatrice per aziende e professionisti e come consulente di marketing e comunicazione. FocuSardegna è il filo rosso che mi lega alle mie radici, alla mia terra che, anche nei suoi silenzi, ha sempre qualcosa da dire. Mi trovi anche su: www.mariellacortes.com
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