Un adesivo della Sardegna incollato sulla chitarra e sfoggiato (anche) durante la performance a Sanremo, una cultura invidiabile in fatto di detti popolari, tradizioni, luoghi e, soprattutto una vicinanza, quasi spirituale, alla nostra terra. Parliamo di Davide Van De Sfroos, istrionico cantautore delle valli comasche attivo da circa vent’anni ma arrivato al grande pubblico con Yanez, presentata sul palco dell’Ariston nel 2011. Ogni suo testo va a raccontare una storia che può esser legata alla sua zona, quella dei laghi e ai suoi abitanti o, ancora, a persone incontrate nei suoi viaggi, anche in Sardegna. “Mi capitò di andare ad Arbatax e un uomo, un sognatore, stava lavorando nel suo cantiere; lui ora è scomparso e i suoi due fratelli son gli alfieri del sogno di chi era solo un costruttore di motoscafi”, esordisce prima di intonare “Il costruttore di motoscafi”.
Il mal di Sardegna lo attanaglia da ben 14 anni quando visitò la nostra Isola con l’intento di starci una settimana e, invece, vi passò un mese! “Rimasi folgorato da quei luoghi e dai sardi: quando certe cose ti entrano dentro non possono più uscire”.
Non è un caso, dunque, che il titolo del suo primo dvd sia “Ventanas” (dal sardo “finestre”), canzone dell’album del 2001 “E semm partii”. Sono innumerevoli, poi, le collaborazioni con Balentes, Tazenda, Beppe Dettori, Francesco Piu e tanti altri e le occasioni in cui intona, durante i suoi concerti, “Deus ti salvet Maria”; “Disamistade” o altre melodie tipiche della nostra Isola. Ci ricorda anche che se lui è riuscito a presentarsi sul palco dell’Ariston con la sua Yanez, in laghée, lo deve ai Tazenda che, per primi, portarono il dialetto nella kermesse Sanremese.
La bandiera dei quattro mori sfoggiata sulla chitarra di un comasco mentre si esibiva a Sanremo destò parecchio interesse. Il suo “mal di Sardegna” inizia, però, molto prima: lo vogliamo ricordare?
La prima volta che andai in Sardegna avevo tra i 13 e i 14 anni. La zia ci portò a Olbia, dove saremmo dovuti stare una settimana ed, invece, trascorse un mese al termine del quale fu davvero difficile convincermi ad andar via! Stavamo a Punta Bados e Pittulongu era il paese più vicino. Fu allora che vidi per la prima volta la Sardegna nel suo aspetto desertico, nuragico, antico. La famiglia che ci ospitava mi trattava come un parente, con quella tipica ospitalità tutta sarda! Una mattina camminavo per un campo di sterpaglie quando, a un certo punto, sentì un suono venire da lontano e mi resi conto, avvicinandomi, che si trattava di un gruppo di uomini anziani che, fuori da una chiesetta bianca, cantavano tutti insieme a tenores. Non era una festa o una occasione particolare. Io rimasi letteralmente folgorato e questa vibrazione mi fece venire la pelle d’oca. È stato in quel momento che la Sardegna mi è entrata dentro con tutti i suoi sapori, i suoi misteri. Lì ho compreso le parole della Deledda, il gusto del sale e del mirto...è stato un imprinting, insomma in cui ho vibrato come in nessun altro luogo. Da quel momento, l’affetto delle persone e il mio voler scavare, di volta in volta, nelle tradizioni e nei costumi, è stato costante. Mi piaceva cercare nelle cose non dette: streghe, detti popolari, carnevali, accabadore, presenze e tutto quello che riguardava la storia! Qui devo ringraziare i sardi che mi fecero conoscere e apprezzare la non Sardegna turistica, dalla quale mi sono sempre tenuto lontano, ma quella dei sardi.
"È stato in quel momento che la Sardegna mi è entrata dentro con tutti i suoi sapori, i suoi misteri.
Lì ho compreso le parole della Deledda, il gusto del sale e del mirto...è stato un imprinting, insomma in cui ho vibrato come in nessun altro luogo"
Questa cosa ha creato dentro di me un collegamento fortissimo! È un po’ quello che succede nel film “Un uomo chiamato cavallo” o in Tex Willer: mi sentivo parte integrante. Ho capito che ospitalità in Sardegna non significa apertura indiscriminata ma che prima si viene pesati e, in un certo senso studiati. Inizialmente ho preferito essere uno spettatore, parlando poco e acquisendo e capendo quel che volevo capire. Molte cose sono molto misteriose e non si possono comprendere. Da parte mia c’è sempre stato massimo rispetto e i sardi l’hanno capito e, pian piano, mi hanno fatto entrare nel loro mondo.
Ed infatti, sono state diverse le collaborazioni con cantanti e musicisti sardi.
Sono passati tanti anni, ormai. Ricordo che ogni volta che venivo intervistato nominavo sempre la Sardegna fin quando non chiesi, durante una puntata di Caterpillar, in radio, di poter cantare con dei sardi. Furono loro ad identificare le Balentes e farci conoscere. Cominciò così un lungo sodalizio: siamo stati spesso in Sardegna e molte altre volte sono venute loro a Nord e, poi, sono state ospiti del mio disco “E semm partii”, del 2001. Abbiamo partecipato insieme a diversi programmi tv, raggiungendo diverse persone.
Ma tu chiederai: come mai tanti sardi si sono avvicinati alla tua musica, così astrusa? Perché i sardi sono ovunque tranne che in Sardegna! Ovunque andassi trovavo sardi che, da qualsiasi latitudine e regione captavano il mio entusiasmo. Quando tornavano nella loro terra, poi, portavano con loro questa passione e hanno iniziato a seguirci nei vari concerti, sia in Sardegna che fuori.
La sua visione artistica attinge a tanti piccoli riferimenti e dettagli della quotidianità e va a ricercare anche in un mondo fatto di leggende, storie e detti popolari. Pensando alla Sardegna, ci sono delle storie o leggende che hanno appassionato più di altre?
Tutte le volte che andavo in Sardegna, come ti spiegavo prima, io rimanevo molto in equilibrio e non cercavo di strafare. Cercavo di essere me stesso e trasferire l’entusiasmo sincero che avevo senza aggiungere niente di più. Questa mia serenità ha fatto in modo che tutti si aprissero perché sapevano che arrivava una persona dal Nord ma con un modo di fare e una voglia di conoscere molto diverse da quelle che incontravano di solito. Più passava il tempo e più aumentavano le persone che mi dicevano che era strano sentire un continentale parlare così della Sardegna. Mi sento fortunato perché, in un certo senso, sono stato iniziato. Ho scoperto i sapori del formaggio (casu marzu compreso, ovviamente), del vino, della carne, ho imparato a non aver paura di assaggiare sapori nuovi, a cucinare questo o quell’altro piatto. Sono entrato in un’altra dimensione, insomma!
Durante il concerto citavo l’invocazione a Maimone ma non è l’unica tradizione che mi affascina. C’è quella credenza di mettere il crocifisso sequestrato dentro il posso recitando una invocazione (dove la divinità viene minacciata) per chiedere la pioggia! I carnevali, poi, esercitano su di me un enorme fascino!
Ho poi imparato che ci sono tre tipologie di streghe: brujas, cogas e majargias e che, per tenere il male lontano dalla propria casa, bastano tre pietre particolari. Com’era? “tres perdas de fogu…”
C’è il discorso sulla medicina dell’occhio, retaggio di una cultura antica e poi mi fanno impazzire tutte le teorie sui quattro mori: una volta con la benda, una volta senza, una guardano a destra e l’altra a sinistra…la cosa fantastica è che, poi, ognuno ti darà, in merito, una teoria diversa!
Come immagino saprà, si dice: “Sardegna, quasi un continente”!
Quatto giudicati storici per mille sfaccettature; una lingua e tanti dialetti diversi, dal logudorese al gallurese. Una terra da scoprire. E poi, benché sia comunque legata a una cosa molto cupa, mi sono lasciato coinvolgere dalla visione di Disamistade e della omonima canzone di De Andrè. Penso a tutti quei luoghi di faide e ai paesi che si sono autodistrutti. Mi hanno raccontato tante storie in merito.
Ha tenuto tantissimi concerti in Sardegna. Ve n’è uno che è maggiormente rimasto nel cuore?
Ricordo la splendida accoglienza che ci riservarono ad Arzana e Lanusei. Le persone erano così fiere e orgogliose per il fatto che fossimo lì. Ricordo di una meravigliosa cena con porcetto in un posto che si chiamava “Pompe funebri Aurora!”. Facemmo le sei del mattino accompagnati da balli, canti, suoni e tutto il vino del mondo! Scoprimmo, in quella occasione, anche dei nuovi suoni sperimentali. Insomma, un momento indimenticabile!
Gente dei laghi e gente di Sardegna. Cosa li accomuna e cosa li divide?
Lago maggiore, lago d’Orta e così via… i laghi alpini, in generale, sono molto differenti dal resto e sono caratterizzati da queste lunghe giornate un po’ piovose, e vi è una naturale tendenza al racconto, alla chiusura, da una parte ed a una grande apertura dall’altra. Quello dei laghi è un mondo un po' gotico, fatto di nebbia, fantasmi, giornate piovose , temporali estivi da Signore degli Anelli.Con i sardi non c’è una diversità tendenziale. Nella mia zona le persone sono molto bipolari come bipolare è il lago. Così, si alternano momenti di estrema allegria e particolari malinconie. Questo cattura anche me, non te ne puoi sottrarre. Anche le persone più spavalde sono capaci di gesti di grande tenerezza e di giornate di estrema tristezza e meditazione solitaria. Questa è una caratteristica di chi vive sui laghi!
Vi è, poi, una grande generosità. Forse il lariano non è esattamente un saltimbanco dell’accoglienza ma uno che ti osserva molto e se entri nel suo cuore dopo lui c’ è, è lì presente. È capace di prendere un po' in giro ma ci sarà sempre quando hai bisogno. Da quel punto di vista è simile a molti sardi che ho conosciuto dove da una diffidenza iniziale finto scorbutico dopo è quello che ti viene a cercar,quello a cui manchi, che ti invita a casa, capace di grande accoglienza.
Alla fine siamo tutti della stessa pasta! Ho visto molti sardi, trasferiti nella mia zona, inserirsi perfettamente e venire rispettati. Penso ci sia una sorta di strano connubio strano, una comune energia. I nostri sono piccoli paesini, ancora un look medievale, un po' chiusi che sopravvivono con lo spirito di un tempo. La Sardegna, anche dalle mie parti, è sempre stata molto rispettata e benvoluta. Chiunque ci andasse o ci avesse a che fare parlava sempre dell’ospitalità dei sardi e della loro abitudine a portare sempre qualcosa quando andavano a trovar qualcuno. Troverà il tempo che trova, ma mi piace ripeterlo: non ho mai sentito, dalle mie parti affibbiare il termine “terrone” ai sardi. A volte si dice “sardignul” che però non è inteso nel senso dispregiativo che ha in Sardegna quanto, invece, è una questione di comodità dialettale, come “germanese” per tedesco! Mai sentito dire:”quello è un terrun!”
"Un sardo è un sardo. Punto! "
Parliamo di dialetto che, nel suo caso, rappresenta il filo rosso di una intera carriera musicale. Far decollare la musica sarda “in limba” è ancora complicato. Ci sono, a suo parere, dei margini per poterle far oltrepassare il mare?
Secondo me una delle chiavi di successo sta nelle contaminazioni. Prendi Peter Gabriel e i Tenores di Bitti, per esempio! In tal caso non si è trattato di una sperimentazione quanto di un vero e proprio lavoro antropologico. Nella direzione della sperimentazione e delle collaborazioni si stanno muovendo molto bene i Tazenda e i Cordas e Cannas. Nel Salento, per esempio, hanno recuperato una versione della pizzica andando poi a mescolare suoni elettronici. Anche Inghilterra e Francia si stanno muovendo bene in tal senso. Prendiamo poi le Balentes che, benchè usino delle armonizzazioni, il loro gioco musicale le porta ad avvicinarsi al jazz, alla fusion nonostante lo stile sia sempre quello tradizionale. Loro secondo me, dopo il successo di Cixiri, potrebbero essere delle buone ambasciatrici in tal senso. Ma non solo contaminazioni: devono continuare a esistere gruppi come i Tenores di Oniferi con quel loro suono antico che adoro! Poi ci sono quelli come i “Sa razza” che utilizzano il sardo per far rap così come accade in Bretagna dove molti gruppi “rappano” dentro a sonorità tradizionali, creando un ritmo accattivante e multietnico.
Se dovesse raccontare la Sardegna con una canzone, come sarebbe?
Sceglierei proprio la situazione naturale: specchio perfetto per il carattere della gente. La canzone si intitolerebbe “Isola Sospirante”, come ho sempre chiamato la Sardegna e il testo ruoterebbe intorno a quattro elementi: sughero, mirto, sale e pietra. Eco che, con questo poker di elementi abbiamo il punto di partenza di tutte le cose. Sughero, come capacità di rimanere lì nel tempo, assorbire, non essere scalfibile ma allo stesso tempo va ricordato che il sughero non puoi spremerlo più di tanto. Pietra antica, eterna durezza nel senso di decisione di essere quello che sono in tutta la mia austerità. Vi è, dall’altra parte, una estrema dolcezza delle musiche e delle sensazioni e quindi ecco il mirto e poi il sale che viene dal mare. “Chi eni dae su mare eni pro furare”, ho sentito: ecco, allora, questa distanza immensa, questi sterminatori raccontati nella canzone “Uccidroxiu”, brano tanto duro quanto truce al quale partecipai, in un disco delle Balentes curato da Luca Nurchis facendo il coro muto.
"..La canzone si intitolerebbe “Isola Sospirante”, come ho sempre chiamato la Sardegna
e il testo ruoterebbe intorno a quattro elementi: sughero, mirto, sale e pietra"
Nei giorni successivi all’alluvione che sconvolse la Sardegna, la sua pagina Facebook traboccava di messaggi di solidarietà. Vi fu, da parte sua, una vera e propria vicinanza spirituale che non ha lasciato indifferenti.
Ricordo che quando vi fu la tragedia dell’alluvione riuscì a raccappezzarmi della gravità della cosa, dopo un primo momento di sgomento iniziale, grazie ai notiziari. Ho immediatamente chiamato i sardi che conoscevo per accertarmi che tutto andasse bene e poi mi sono precipitato sulla mia pagina Facebook per postare una mia versione di “Deus ti salvet Maria”. Il volume di risposta, il feedback, è stato impressionante! Da mattina a sera i commenti e i ringraziamenti si quadruplicavano. È stato emozionante e mi sono sentito davvero vicino al vostro popolo.
Se questa intervista finisse con un proverbio sarebbe...?
“Chentu concas, chentu berrittas” che penso riassuma le mille sfaccettature della Sardegna. E poi dalle mie parti si dice: "Cent cò, cent crap" (cento teste, cento cappelli) che poi finisce con: “Cent cü dusent ciapp!” (ride, n.d.r)
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Mariella Cortes