Quello intercorso tra i tonaresi e Santa Anastasia è, senza dubbio, un rapporto piuttosto controverso, caratterizzato da elementi poco chiari e misteri non ancora svelati. Se è vero, da un lato, che il periodo antecedente l’abbandono della Chiesa fu caratterizzato da uno stato di evidente incuria, rilevato, tra l’altro, in alcuni documenti conservati nella biblioteca parrocchiale del paese, dall’altro la Chiesa risultava essere ricca di opere d’arte e contenuti di consistente valore. Nel corso di una visita pastorale risalente agli inizi del XIX secolo, fu il Vescovo stesso a lamentare i segni di una evidente trascuratezza ravvisando ombre di bruciatura sul portone principale della chiesa e l’amputazione di un arto alla statua della Santa.
Lo stesso, invece, non faceva nessun riferimento a una delle opere di maggior pregio che la chiesa avrebbe dovuto custodire, ovvero il retablo ligneo. L’opera in oggetto, di cui si perse ogni traccia, sparì congiuntamente ad altri manufatti di valore per poi ricomparire solo nel 1996 nella bottega dell’antiquario cagliaritano Davide Crobu. Egli, resosi conto della pregevole fattezza del materiale di scuola stampacina del Cavaro, ne identificò la provenienza, attribuendola a un anonimo del cinquecento, convenzionalmente noto come “Maestro di Tonara”. Si trattava di tre tavole lignee raffiguranti la Crocifissione, il Giudizio Universale e l’Arcangelo Michele, rinvenute “insieme ad altre opere affustellate all’intermo di una cassapanca rustica smembrata” nel piano alto di una casa del XIX secolo, appartenuta a un parroco del paese.
A seguito di un costoso e accurato restauro, una delle tre tavole, la Passione del Cristo, fu esibita nel 1997 in occasione della Seconda Mostra dell’Antiquariato a Sassari, nel corso della quale riscosse l’apprezzamento di diversi critici d’arte e dell’ospite d’eccezione Vittorio Sgarbi, che ne rimase affascinato decretando l’indiscutibile valore storico e culturale.
Quale sia stato il percorso compiuto dal retablo e in quali mani sia passato fino al suo arrivo a Cagliari è tuttora un fatto ignoto; ma sembrerebbe non essere l’unico bene artistico della chiesa ad aver avuto un destino singolare.
Dai documenti parrocchiali si rileva che sono diversi gli ammanchi verificatisi in quegli anni nella chiesa di Santa Anastasia. Scopriamo, inoltre, che al pian terreno di un’abitazione ubicata nel rione Toneri, è tuttora presente, senza la benché minima premura di occultamento, una stele litica appartenente alla chiesa in oggetto, con tanto di stemma sacerdotale e iscrizione riconducibile al millecinquecento.
Frutto di maldestre sottrazioni o di una cattiva amministrazione parrocchiale?
Quel che risulta innegabile è che i tonaresi furono particolarmente inclementi nei confronti della Santa. Infatti, non solo provvedettero al depredamento delle opere contenute all’interno della chiesa, ma utilizzarono parte della struttura esterna per edificare nuovi luoghi di culto nel paese. Gli archi gotici, per esempio, furono smontati e riutilizzati per la costruzione della chiesa di Sant’Antonio nel rione Arasulé.
Ciò che non è chiaro è perché i tonaresi, che all’epoca non disponevano dei mezzi necessari al sostentamento della chiesa, ne edificarono delle altre, nonostante Santa Nosta fosse storicamente la prima e più importante del territorio. Ci si interroga su come è stato possibile che parecchi contenuti presenti all’interno potessero sparire, senza che il popolo e il Clero ne ebbero cura, quasi a denotare un volontario allontanamento della comunità tonarese verso tutto ciò che potesse, in qualche modo, ricondursi alla Santa abbandonata.
Attualmente non ci è dato conoscere come si svolsero i fatti né le motivazioni che spinsero i locali a compiere certe azioni. E’ probabile che la verità rimarrà ancora celata all’interno di quelle pietre ammassate sulla valle, finché i tonaresi, ridestandosi, non ritroveranno la volontà di ricostruire la propria memoria storica.
Simone Tatti
Natascia Talloru
Leggi qui la prima parte: http://www.focusardegna.com/index.php/focus-sardegna/leggende-di-sardegna/1303-il-giallo-dimenticato-di-santa-nostasia