Ogni tanto qualcuno la vede, o crede di vederla, fare capolino da sotto l’acqua. In ordine di tempo, l’ultimo avvistamento risale al luglio del 2008, quando quattro velisti, nei pressi delle coste di Villasimius, sostennero di avere incontrato un esemplare della rarissima foca monaca.Pochi mesi prima, una notizia simile era rimbalzata tra i blog degli appassionati, ma la testimonianza era presto stata liquidata come inattendibile. Nel marzo del 2008, il quotidiano “La Nuova Sardegna” aveva annunciato un altro solito incontro, da parte di due subacquei, avvenuto nell’arcipelago de La Maddalena, e più precisamente a Nord dell’isola di Caprera, tra Punta Galera e Punta Crocitta. Nel maggio dell’anno precedente era stato “Il Giornale della Sardegna” a diffondere una notizia simile. Secondo la fonte, per altro illustre visto che si trattava di esperti dell’Area marina protetta di Villasimius, tre adulti di foca monaca con un cucciolo al seguito si aggiravano tra la costa sud orientale dell’isola e il Golfo di Orosei. La notizia, ripresa da tutti i quotidiani locali e dai siti specializzati, fece ben sperare.
Si ipotizzò addirittura che il numero degli esemplari fosse superiore. Si chiese l’intervento dell’assessore dell’ambiente e del ministero, ma con il tempo rimase solo il ricordo del presunto avvistamento. Forse lo stesso ricordo che ha indotto quei quattro velisti, poco più di un anno dopo, a individuare una Foca Monaca proprio nella stessa zona. E’ così purtroppo: parecchi di questi avvistamenti sono falsi; frutto di pura invenzione o, nel migliore dei casi, di suggestione.
Dal momento che non parliamo di un animale qualsiasi, ma di una specie catalogata nella top ten mondiale dei mammiferi a rischio estinzione, le informazioni in merito devono essere scrupolosamente verificate. Sarebbero sufficienti due esemplari in più per fare la differenza. Tra gli innumerevoli avvistamenti, quello che vince il “premio credibilità” risale ancora al 2007 e si è verificato lungo le coste di Castelsardo, quindi dalla parte opposta (fatta eccezione per l’arcipelago della Maddalena, relativamente vicino) rispetto ai luoghi sopra citati. Ciò che contraddistingue in modo significativo questa testimonianza dalle altre è la presenza di materiale fotografico. I fortunati spettatori, due signori con l’hobby della pesca, hanno infatti avuto il tempo di immortalare l’evento con un paio di scatti dei loro cellulari superaccessoriati.
Tanto basta per affermare che la foca monaca è tornata a vivere nelle coste della Sardegna?Non si può dire con certezza. Alcuni studiosi sostengono che in realtà non se ne sia mai andata, e che negli anni abbia continuato a transitare tra i mari della Tunisia e quelli dell’isola, tra le insenature greche e quelle turche.
Ormai ridotta a circa 350 esemplari, un tempo la foca monaca era diffusa in tutto il Mediterraneo. Ribattezzata dai sardi Bue Marino, ha reso celebri le grotte del litorale di Cala Gonone nelle quali andava a partorire. Tali grotte sono state aperte al pubblico a partire dagli anni ’50 : non dobbiamo stupirci quindi se il docile mammifero, riservato e timido per natura, abbia preferito non condividere questi spazi con i branchi di turisti affamati che presto hanno cominciato a calpestare la zona. Oggi, nel visitare quei luoghi, non commetterete certo peccato. Dubito che incontrerete una foca in procinto di partorire.
Le grotte sono raggiungibili solo via mare, ma non troverete difficoltà nel reperire un traghettatore che in circa mezz’ora vi porti a destinazione. Un ponte di legno, collocato nell’ampio ingresso, v’introdurrà nella cavità, che si presenta divisa in due parti: una asciutta, poiché priva da tempo di attività carsica, e una tenuta in vita dallo scorrere di un fiume sotterraneo. Mentre la prima non è visitabile, la seconda è aperta al pubblico per circa due chilometri. Il percorso guidato dura poco più di mezz’ora, il tempo di ammirare il grande lago salato, le molteplici formazioni stalagmitiche e stalattitiche, alcuni graffiti risalenti al Neolitico e, infine, la spiaggia dove un tempo il Bue marino andava a partorire.
Ben più a sud di questi luoghi, popolati dalla foca monaca fino alla fine degli anni ‘70, è stata delimitata l’Area marina protetta di Capo Carbonara, nella quale un gruppo di esperti sta nobilmente cercando di ricreare l’ambiente ideale per il ritorno del raro mammifero.
Proprio in questa zona, collocata nei pressi di Villasimius e poco lontano dalla costa tunisina, in cui resiste una sufficiente colonia di foche, negli ultimi anni è stato registrato il maggior numero di (più o meno credibili) avvistamenti. L’ultimo, accreditato dalla presenza di materiale fotografico, risale al 2002. Non molto tempo fa, quindi.
Questo basta per alimentare la speranza che alcuni dei circa trecentocinquanta esemplari superstiti, attualmente presenti soprattutto in Grecia e Turchia, tornino a scegliere le coste sarde per riprodursi.
Aperta la possibilità di un tale incontro, sarà il caso che io vi tracci l’identikit del ricercato. La foca monaca ha un corpo lungo, ricoperto da una fitta pelliccia piuttosto corta, spesso bruna, ma anche di colore grigio scuro o marrone; più chiara del ventre, in certi casi addirittura bianca. Occhi vispi, orecchi atrofizzati e testa piuttosto piccola. Ha dei baffi vistosi (vibrisse), due arti anteriori e due posteriori tanto ravvicinati da apparire quasi come un’unica pinna.
I maschi adulti possono misurare tra il metro e mezzo e i tre metri, e pesare fino a quattrocento chili (nel caso di esemplari molto grossi). Di solito si muovono solitari, in cerca delle femmine. Queste, al contrario, vivono in gruppi (si ipotizza per meglio proteggere i cuccioli) e sono leggermente più corte e più leggere. I piccoli appena nati pesano mediamente venti chili e raggiungono più o meno il metro di lunghezza.
Ora che sapete com’è fatta sarete sicuramente in grado di riconoscerla se in vostra presenza metterà il muso fuori dall’acqua. Per precauzione, tenete sempre a portata di mano una macchina fotografica o un telefono cellulare superaccessoriato. Ma mi raccomando è molto timida, perciò non disturbatela. E, soprattutto, occhio alle suggestioni.
Da “101 cose da fare in Sardegna almeno una volta nella vita” di Gianmichele Lisai