Avete presente quei sabati sera? Quelli in cui si stacca dagli impegni settimanali e si decide di uscire.
Studiando a Verona ho imparato che il sabato sera si deve programmare, cosa per me assolutamente inusuale provenendo da un paese di 500 abitanti come Banari. In fondo a noi a che serviva programmare? Tanto, più o meno verso quell’ora si sa che si trova qualcuno in giro. “Ma in giro dove?” si chiederebbero alcuni. Beh, per noi non c’era bisogno di sapere troppi dettagli, ci saremmo trovati.
Ed è lì che ho realizzato: le piccole comunità possiedono un proprio orologio biologico, ognuna il suo. Una sorta di dimensione spazio-tempo che non viene scandita dalle lancette ma, bensì, dalle relazioni. Relazioni umane che si protraggono da sempre e permettono di capirsi senza troppe parole. Legami che consentono di comprendere che ogni gesto ha un determinato valore. Relazioni con gli spazi del paese, che assumono significati ben precisi. E man mano che l’orologio scorre si disegna attorno un luogo identitario, al quale apparteniamo e dove ogni momento possiede il suo spazio.
Il Campanile in trachite rossa di Banari visto dall’ingresso dello storico Palazzo Solinas (Attuale biblioteca comunale).
Non mi ero mai resa conto degli scambi relazionali presenti all’interno di questo territorio fino a che non mi sono allontanata da esso. Soprattutto con riguardo ad un territorio così piccolo da essere dato spesso per scontato.
Questi scambi sinergici, fatti di regole implicite che talvolta ci stanno strette e altre volte ci proteggono, questa conoscenza celata dell’altro, è a mio parere la forza più grande e la debolezza più difficile da gestire delle piccole comunità.
È come se si creasse una sorta di “empatia di comunità”, dove tutti condividono modi di pensare, di fare, di agire.
Questo però spesso crea un problema: se da un lato permette di sentirsi protetti, dall’altro rende difficoltoso l’ingresso di nuove idee e visioni, spesso considerate strampalate, all’interno della comunità stessa. Ancor peggio se quest’ultime vengono calate dall’alto da qualcuno che non appartiene al luogo e pensa di poter entrare con irruenza a sconvolgere l’equilibrio. La reazione immediata è quella di andargli contro secondo un meccanismo di difesa del proprio stile di vita e delle proprie convinzioni. È in questo esatto momento che i progetti e le iniziative si arenano.
È come se mancasse qualcosa. È come se non si parlasse la stessa lingua.
Molto spesso crescendo ho sentito questa sensazione, secondo cui i miei sogni e le mie idee non potevano essere comprese dal mio luogo di appartenenza e dovessi cercare altrove.
Allontanandomi sono però arrivata ad una conclusione: negli altri luoghi non parlavano la mia lingua, non capivano i miei gesti. Ed eccolo qui risorgere dalle ceneri, il mio senso di appartenenza. Esso si presenta all’improvviso, come una scintilla che ti illumina gli occhi e risveglia il tuo “orgoglio dell’abitare”, così lo definirei, l’entusiasmo e la voglia di fare dentro la comunità e per la comunità.
Il senso di appartenenza è come la lente di un paio di occhiali che permettono di vedere la bellezza nascosta, quella che sta oltre la disillusione. E tutti gli imprenditori che decidono di rischiare, che scelgono di rimanere e investire nei loro paesi, tutti quei giovani che studiano o si applicano per rendere migliori sé stessi e la propria comunità, tutti loro… indossano un paio di occhiali simili.
Monte Santu e Monte Pelao: la porta del Meilogu; foto di Giommaria Masia, 2021
L’incontro con Le Ragazze e la nascita di Sardinia Spop Tourism sono arrivati un po’ per caso e all’improvviso, proprio nel momento in cui avevo quasi perso i miei occhiali. Mi ha permesso di credere che sia ancora possibile, anche in un mondo fatto di delocalizzazioni, che i luoghi mantengano viva la propria coscienza e diano valore alle persone che li abitano.
Ed è con questa idea che è nato il nostro progetto: per rendere visibile la bellezza che sta dietro le cose. Per invogliare le persone ad indossare un nuovo paio di occhiali, per scoprire che non è vero che “qui non c’è niente”, come spesso si dice. Perché come si fa a dire che non c’è niente in un luogo che si anima solo insieme a noi?
I nostri luoghi, non solo ci comprendono, ci rispecchiano. Perché in fondo “E’ il luogo a educare la comunità che lo abita; è il patrimonio di saperi, culture, esperienze, tradizioni a fornire alle persone che vivono in un certo luogo la direzione da percorrere per la crescita, per il proprio arricchimento continuo nel tempo” (“La coscienza dei luoghi. Il territorio come soggetto corale”, di Giacomo Becattini).
Clelia Porcheddu
Laureata in Economia e Gestione dei Servizi Turistici all'Università di Cagliari, si occupa da qualche anno di svolgere l'attività di gestione e promozione della struttura extra-alberghiera di famiglia a Banari. Attualmente studia presso l'Università di Verona in Marketing e Comunicazione d'impresa, curriculum Marketing Territoriale
In Sardinia Spop Tourism cura i testi ed è referente per il Logudoro e il Goceano
Articolo realizzato nell'ambito della collaborazione tra FocuSardegna e Sardinia SpopTourism
Scopri il progetto nell'articolo dedicato e su www.sardiniaspoptourism.it
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