“Io sono cresciuta con le storie di Sardegna, quelle misteriose, niente Biancaneve con i Sette nani. C'erano guerrieri invincibili, dee madri, streghette dispettose e magia bianca. E poi c'era un popolo fiero e invincibile! Il nostro popolo sardo”. Si descrive così nel suo blog, Eleonora Melis, in arte Nura Crea. Originaria di Laconi, giovanissima, è ritornata in Sardegna dopo la parentesi nel Nord Europa, per inventarsi un lavoro e seguire la sua passione.
Le sue produzioni si muovono essenzialmente su due filoni: quello delle tradizioni sarde e quello della creatività. I soggetti che crea rappresentano un giusto equilibrio tra tecnica e personalizzazione; i suoi personaggi sono carichi di un’importante componente emozionale, scaturita direttamente dall’animo dell’artista, tesa a rompere la classica definizione di forma e a valorizzare soprattutto il ruolo del colore, dei particolari studiati minuziosamente, come veicolo di significati.
Nura non si presta facilmente alle etichette preferisce raccontarsi con il suo mondo di idee, storie, janas e antiche leggende popolari. Un mondo magico che, però, si scontra con la realtà. Nel laboratorio di Nura si protesta, si portano avanti battaglie sociali, si pensa alla valorizzazione e si racconta la Sardegna. Niente è dato al caso, tutti i personaggi che escono dal suo forno hanno un proprio ruolo e sono destinati a comunicarci qualcosa. Le sue donnine sarde sono arrivate persino in Giappone, ospiti di una speciale scuola di cucina sarda a Tokyo. Conosciamola meglio Tre aggettivi per descriverti.
Chi è “Nura Crea”?
Questa domanda è difficilissima. Se mi avessi chiesto di definirmi in quattro parole ti avrei risposto senza indugio: testa tra le nuvole!
Tutti i soggetti che crei prendono vita dalle nostre radici: le maschere barbaricine, le donne in abito tradizionale, i ciondoli della Dea Madre. Esisterebbe Nura senza Sardegna?
Nura si nutre di Sardegna, racconta storie di Sardegna. Posso dire con certezza che non sarebbe mai esistita se alla base non ci fosse stato un Amore folle per l'Isola. Senza pretese, è un po' come se io fossi un regista che mette in scena quello che ama, quello che vede, quello che ci circonda, ma che molti non hanno tempo per guardare. Tutto quello che esce dal mio forno fa parte del copione: ogni donnina in abito tradizionale ha un ruolo, ogni pecora e' un tassello, ogni Mamuthone è stato pensato per proteggere qualcosa, ogni dea madre si rivolge a qualche donna e così via. Se guardate da vicino vedrete forme geometriche, esattamente come un copione è fatto di lettere. Se riuscite a vedere l'opera nell'insieme, invece l'intento sarà chiaro: mettere in scena la Sardegna che vorrei.
Parliamo delle famose “Brebì”. Sono le pecorelle parlanti, che protestano in modo originale, con cui ti sei resa portavoce di alcune denunce sociali in difesa dell'ambiente, del nostro territorio e della nostra lingua. Ogni pecorella rappresenta una battaglia. Come è nato questo progetto?
Le Brebì sono le portavoce della mia vena di protesta, quella che nonostante le cose belle che ci corcondano, non può fare a meno di vedere che intorno a noi abbiamo anche il degrado che sguazza tranquillo, protetto dalla nostra indifferenza. È iniziato tutto quando ho deciso di abbandonarne una davanti alla struttura che ospitava l'ospedale marino nel litorale di Cagliari con la speranza che qualcuno la adottasse. È rimasta lì parecchio tempo senza che nessuno se ne curasse, proprio come accade alla struttura fantasma in riva al mare. Per la Brebì però c'e' stato un lieto fine: e' stata adottata. L'ospedale marino e' ancora oggetto di progetti, dibattiti, decisioni. Da lì sono partite inferocite diverse Brebì colorate che per qualche giorno hanno spezzato l'indifferenza nei confronti di patrimoni come Tuvixeddu, Molentargius, la Sella del Diavolo o di questioni importanti come la continuita' territoriale o la disinformazione. Recentemente si stanno concentrando sulla valorizzazione piu' che sulla protesta, cosi' le porto con me in giro per l'Isola alla ricerca di posti meravigliosi che chiunque dovrebbe conoscere e valorizzare e che dovrebbero essere il fulcro della nostra Rinascita Sarda, così lontana dal modello pseudo-industriale promosso in passato. Un esempio? Nuraghes, Pozzi Sacri, allineamenti di menhir, Ziggurat, domus de janas, boschi, cascate, macchia mediterranea, natura, colori...della serie: sveglia!
Hai fatto diverse mostre a Cagliari e ciò ti permette di farti conoscere a livello locale. Quanto ti ha aiutato e continua ad aiutarti la rete nel riuscire a portare avanti la tua idea? Sarebbe stato possibile fare lo stesso percorso senza internet?
Assolutamente no, senza la rete il percorso sarebbe stato ben diverso. Oggi è difficile trovare qualcuno che abbia il tempo di starti ad ascoltare, a meno che tu non sia già conosciuto o l'altra persona non sia veramente interessata all'argomento e abbia tempo da dedicarti, quindi le mie possibilità si riducevano al minimo. Avevo troppe cose da dire e poche persone disposte ad ascoltare. Attraverso i tanto odiati Social Network ho trovato persone con le mie stesse passioni in giro per la Sardegna e per il mondo e sono riuscita a portare avanti la mia opera di divulgazione della tradizione sarda con risultati per me più che soddisfacenti. Senza la rete non avrei potuto raggiungere e conoscere progetti e persone speciali, ad esempio non avrei mai potuto far arrivare le mie donnine fino al Giappone, dove sono state ospiti di una speciale scuola di cucina sarda a Tokyo.
I tuoi lavori sono un esempio tangibile della laboriosità giovanile. Quanto è difficile portare avanti un laboratorio artistico?
Credo che la difficoltà sia inversamente proporzionale alla passione che mettiamo in ciò che facciamo. Difficile non è portare avanti una passione, difficile è portare avanti un lavoro che non ci piace e avendone avuto esperienza ora mi sembra di volare. È difficile forse restare svegli tutta la notte per terminare un lavoro che non vedi l'ora di finire? È un po' come avere in mano le ultime pagine di un libro appassionante e pensare di non avere voglia di arrivare fino alla fine. Difficile è passare le tue giornate aspettando le ferie, difficile è essere costretti dalle necessità a dover sopportare un lavoro che ci fa star male. Io sono fortunata.
Da un recente sondaggio dell'"Unione Artigiani" è emerso che per i giovani l'artigianato è un “oggetto misterioso”. Nura Crea è un'artigiana o un'artista?
Nura non si presta facilmente alle etichette. Oggi definirsi è un po' come infilarsi in una categoria con muri alti come palazzi. Io vedo gli artigiani come qualcosa di grande, vecchio stampo, che non hanno bisogno di andare a cercare le persone perchè sono le persone ad avere bisogno della loro maestria. La definizione di artista invece si tira dietro sempre tante critiche e dubbi sul suo vero significato, sul valore della parola, le categorie interessate. Poi ci sono i creativi, i makers etc. Insomma, diciamo che Nura è Nura e alle definizioni ci pensiamo domani!
Negli ultimi anni, colpa della crisi, molti ragazzi sardi scelgono di andare fuori dalla nostra terra per studiare o lavorare perché "qui non c'è niente".Tu sei un esempio positivo, hai avuto delle esperienze nel Nord Europa e sei ritornata nella nostra terra per coltivare la tua passione. Cosa consiglieresti a tutti quei ragazzi che non vedono un futuro nella nostra isola?
Non mi stancherò mai di dire che il vero problema non sono i giovani che partono, ma tutti quelli che restano qui a lamentarsi e non fanno niente per cambiare le cose che non vanno bene. La Sardegna ha bisogno di noi, ovunque siamo. Ho conosciuto donne meravigliose che da un altro continente si impegnano per la divulgazione delle nostre tradizioni, a parer mio più di quanto non faccia chi ha il dovere e il potere di farlo qui nell'Isola, e durante la mia permanenza all'estero ho cercato di fare altrettanto. Riuscire a stare in Sardegna oggi non è l'unica strada, ma è una fortuna e dovremmo essere tutti grati, proprio perchè molte persone sono costrette a partire per sopravvivere o perchè hanno studiato per anni e vorrebbero giustamente trovare un'occupazione nel proprio settore. Questo è il vero dramma: essere costretti. Partire in se non è un problema, viaggiare significa arricchirsi, vedere come vanno le cose fuori dall'isola, capire cosa potremmo migliorare e soprattutto sentirne la mancanza. Se ogni giovane sardo avesse come chiusura del proprio percorso di studi una permanenza di almeno un anno all'estero probabilmente molti tornerebbero qui carichi di nuove idee e voglia di cambiare le cose e infatti spesso è così. Facciamo rete anche all'estero, stiamo uniti nell'unico obbiettivo comune: cambiare le cose. Cambiare noi stessi. Riprenderci i nostri diritti, smetterla di accettare qualsiasi cosa, reagire. Chi dice che "qui non c'e' niente" è una persona poco attenta o una persona molto arida che non riesce a vedere ciò che lo circonda. Bisognerebbe invece avere il coraggio di urlare a gran voce che finchè il nostro patrimonio verrà tenuto sottochiave da altri, moltissimi giovani sardi talentuosi se ne andranno altrove dove troveranno persone capaci di riconoscere le loro competenze e non saranno costretti a dover lavare i piatti con in tasca una laurea e tante idee.
Irene Bosu 
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