In qualunque punto della Sardegna voi siate, non avrete difficoltà a trovare nuraghi: ce ne sono più di settemila sparsi per tutta l’isola, distribuiti equamente da nord a sud e da est a ovest, in pianura come in collina. Dovete solo individuare quello meglio conservato nella vostra zona. Prima di raggiungerlo, procuratevi della carta (un foglio di giornale andrà benissimo) e dei fiammiferi. Arrivati al nuraghe, cercate di corrompere il custode in qualche modo, con questo libro alla mano ad esempio, e dite che vi mando io. Se ci riuscite , una volta entrati mettetevi al centro della camera e date fuoco al foglio di giornale: lo vedrete levitare.
Sebbene alcune antiche leggende attribuiscano ai nuraghi poteri magici (per lo più terapeutici), in questo fenomeno c’è ben poco di paranormale: il foglio viene semplicemente attratto verso l’alto dalla gigantesca cappa megalitica.
Difficile però considerare questa caratteristica come una casualità: sembrerebbe piuttosto il prodotto di un sapiente studio architettonico.
Ma quando si parla di nuraghi – monumenti di pietra che, in quanto a dimensioni e stato di conservazione, non trovano degni rivali in Europa – non si può avere alcuna certezza.
Uno dei più diffusi dizionari della lingua italiana definisce il nuraghe un “fortilizio caratteristico della Sardegna preromana, perlopiù a forma di torre tronco-conica con porta architravata e corridoio di accesso a un’unica camera circolare interna, coperta di cupola ad anelli concentrici.” [Dal tema mediterraneo paleosardo nurra (mucchio di sassi), col suff.sardo – aghe].
Secondo alcuni studiosi sarebbe più corretto se il termine fortilizio venisse sostituito dal termine tempio. Infatti, anche se a tutt’oggi la maggior parte degli archeologi si ancora alla consolidata teoria che attribuisce ai nuraghi una funzione esclusivamente militare, negli ultimi anni son stati rinvenuti alcuni reperti che deporrebbero a favore dell’ipotesi “sacra”. Ovvero, di quella che sostiene che il nuraghe fosse utilizzato per il culto religioso e, in particolare, per quello dei morti.
Ma torniamo per un attimo al nostro giochino con il fuoco. Considerando l’attuale distribuzione dei nuraghi nell’isola (circa uno ogni tre chilometri quadrati) e supponendo che un tempo ce ne fossero almeno il doppio (ma si pensa addirittura il triplo), risulta verosimile l’ipotesi che allora si comunicasse di torre in torre attraverso segnali di fumo, allo scopo di controllare e difendere la più ampia superficie di territorio possibile. Questa teoria motiverebbe in modo plausibile l’effetto “canna fumaria” a cui avete appena assistito, sempre se siete stati abbastanza abili da corrompere il custode.
Certo, anche quando costruiamo un camino a casa nostra pretendiamo che il fumo vada verso l’alto e che non si diffonda per tutta la casa…Allora vuoi vedere che anche questi nuragici preferivano convogliare il fumo all’esterno – piuttosto che spartirlo tra la camera e i loro bronchi – quando, costretti dall’inverno, accendevano un fuoco per scaldarsi?
Secondo Aristotele i nuraghi erano mausolei destinati agli eroi, all’interno dei quali si curavano alcune turbe psichiche. In che modo? Semplice: era sufficiente che il malato dormisse per alcuni giorni, aiutato dall’assunzione di qualche droga, nella tomba, vicino alla venerabile salma, immerso negli influssi benefici emanati da questa.
Per quanto mi riguarda, preferisco evitare di schierarmi in favore di una o dell’altra ipotesi: non ho le competenze necessarie e non è certo questa la sede adatta per cercare di scoprire i misteri nuragici. Ma se queste poche curiosità hanno innescato in voi la voglia di saperne di più non vi sarà difficile reperire informazioni sull’argomento. Giovanni Lilliu, archeologo sardo di fama internazionale, viene considerato il massimo esperto in materia. Secondo lui i nuraghi erano, nella loro forma più semplice, torri di avvistamento e, nelle loro forme più complesse, dei veri e propri castelli.
Tra i principali sostenitori della tesi che attribuisce a questi monumenti una funzione esclusivamente religiosa merita invece di essere citato il linguista Massimo Pittau, autore di numerosi articoli sull’argomento. Se desiderate farvi un’idea più precisa e confrontare i differenti approcci potete leggere Sardegna Nuragica (Il Maestrale, 2006) o La civiltà dei sardi dal Neolitico all’età dei Nuraghi (Il Maestrale, 2004), entrambi di Giovanni Lilliu; oppure Storia dei Sardi Nuragici (Domus de Janas, 2007) e la Sardegna Nuragica (Edizioni Della Torre, 2006) di Massimo Pittau.
Per quanto riguarda la classificazione tipologica dei nuraghi, la questione risulta essere molto più semplice: i loro resti sono sotto gli occhi di tutti e hanno forme che non lasciano spazio a troppe diatribe.
Le strutture cambiano in base alle diverse epoche di edificazione. I primi, risalenti all’Età del Bronzo Iniziale (1800-1500 a.C.) furono i protonuraghi, di pianta irregolare, mal tagliati e tozzi. Al loro interno non avevano l’ampia camera circolare, bensì un corridoio; per questo vengono chiamati anche “nuraghi a corridoio”. Un ottimo esempio di questa tipologia è il nuraghe Brunku Madugui, nel territorio di Gesturi. Dal perimetro irregolare, è composto da grossi massi di basalto scarsamente rifiniti. All’interno presenta una scala che conduce a due camere, una delle quali conserva ancora bene il tratto di corridoio. I primi studi effettuati sui reperti degli scavi collocherebbero l’edificio intorno al 1829 a.C., ma di recente si è proposta una diversa datazione (XV-XIV sec a.C.) che potrebbe metterne in discussione l’attuale interpretazione architettonica.
Un altro esempio di proto nuraghe è Sa Korona, situato nel Campidano dalle parti di Villagreca, la cui forma è tendenzialmente ellittica. Con un diametro esterno che oscilla tra i dieci e i dodici metri, questa sorta di grossa capanna potrebbe risalire addirittura all’Età del Rame (2000 a.C.).
Nell’Età del Bronzo Medio (1500-1200 a.C.) si diffusero i nuraghi a tholos. Composti da un’unica torre, sono quelli che maggiormente si sono radicati nell’immaginario collettivo. Avevano un ingresso architravato e un corridoio disseminato di nicchie che conduceva all’ampia camera circolare. Tra i nuraghi di questa tipologia quello meglio conservato è il Succuronis. Situato nel territorio di Macomer, in una zona ricca di strutture simili, è uno dei monumenti più noti nell’isola. La torre, dalla classica forma troncoconica, è regolare e massiccia. Ha un diametro di circa quattordici metri e raggiunge un’altezza massima che supera gli undici. Le mura, costituite da blocchi di notevoli dimensioni, hanno uno spessore medio di quattro metri e mezzo alla base, e diventano progressivamente più sottili all’aumentare dell’altezza. La camera principale presenta tre nicchie e una scala d’accesso interna, non interamente accessibile. Sono riconoscibili anche tracce di una cella superiore che però purtroppo è andata distrutta.
Non altrettanto ben conservato, ma comunque meritevole di essere visitato, è il nuraghe Erismanzanu, nei pressi della foresta Burgos.
Aldilà dell’aspetto puramente architettonico, questo monumento è reso unico dall’imponente leccio che ne ingravida la torre e che svetta all’esterno coprendo parte delle mura.
Un’evoluzione della tipologia a tholos è il nuraghe “a tancato”che vede, in aggiunta alla prima, anche una seconda torre. Tra queste due si trova spesso un pozzo, confinato da un cortile condiviso. Un nuraghe a tancato piuttosto noto è il Santa Barbara, di Villanova Truschedu, in provincia di Oristano, nel quale si ritiene che la torre più piccola fosse utilizzata come fucina per fondere il bronzo.
Un altro raro esempio di questa tipologia è il nuraghe Còvunu, le cui torri, costruite in momenti diversi, un tempo erano collegate da due muraglie che delimitavano il cortile interno.
La progressiva aggiunta di torri nello sviluppo di tali monumenti ha portato infine, nella Prima Età del Ferro (900-600 a.C.), a strutture nuragiche “polilobate”, massima espressione conosciuta da queste antiche costruzioni.
Esse consistevano in un agglomerato di più torri che, nel caso dei complessi maggiori, erano unite tra loro da bastioni e formavano delle vere e proprie regge, intorno alle quali poteva svilupparsi il villaggio di capanne. Prima fra le più importanti strutture polilobate è la reggia di Barumini, riportata alla luce dal già citato Giovanni Lilliu (non a caso, anche lui baruminese) e dichiarata dall’UNESCO, nel 1997, patrimonio mondiale dell’umanità. Battezzata Su Nuraxi (il nuraghe), si tratta del più grande complesso della Sardegna fin ora conosciuto. Realizzato in differenti periodi storici, si presenta come un’ampia fortezza quadrilobata che cinge l’imponente torre centrale e che è circondata a sua volta da un villaggio di capanne costruito all’esterno dalle possenti mura.
Poco da invidiare a questo monumento ha il nuraghe Santu Antine, nel territorio di Torralba, ma non a caso chiamato anche Sa domo ‘e su Re, ovvero la casa del re. Secondo solo alle piramidi egizie, si pensa che in origine raggiungesse un’altezza di circa ventiquattro metri. La torre centrale è quella più antica: intorno a questa, circa due o tre secoli dopo, ne sono state erette altre tre. Il villaggio, sorto nel circondario in un periodo ancora successivo, è stato riportato alla luce solo in minima parte e chissà quali altre sorprese custodisce la terra che lo ha nascosto per tutto questo tempo.
Trilobato come il Santu Antine è il nuraghe Losa, situato nel comune di Abbasanta. Alcuni reperti dimostrano che questo monumento megalitico, interamente costruito con massi d basalto, fu utilizzato anche per scopi funerari. Una cinta muraria circonda l’intero complesso, comprese le capanne del villaggio sorte intorno all’importante edificio centrale. Nel territorio di Orroli, infine, in provincia di Cagliari, si può ammirare un’architettura “pentalobata” unica in tutta l’isola: quella del nuraghe Arrubiu. Ben cinque torri legate da uno spesso bastione e circondate da una seconda muraglia che unisce sette torri minori. Una terza cinta muraria, ancora più esterna, presenta altre cinque torri e racchiude un perimetro totale di circa tremila metri quadri, oltre il quale si sviluppava il villaggio di capanne.
I paesaggi da una tipologia all’altra (e da un’era all’altra) che nei secoli hanno reso questi edifici sempre più complessi - fino a giungere agli ultimi esempi qui proposti – chiaramente non furono netti come li ho descritti. Nel periodo di transizione dai protonuraghi ai monotorre, per esempio, comparvero alcune architetture di tipo misto che si ritiene fossero vecchie strutture a corridoio modificate per far fronte a nuove esigenze. Ne è un esempio il nuraghe Orgono di Ghilarza, ancora una volta nella provincia di Oristano. Molto ben conservato, è stato realizzato in fasi diverse e con diverse tecniche di costruzione. La base è formata da grossi massi tagliati rozzamente, mentre per la sommità, che risale a un periodo successivo, sono state utilizzate pietre più piccole, come è ovvio che fosse, e soprattutto ben rifinite. Ma la vera curiosità di questo nuraghe è la presenza di una grande nicchia nelle mura esterne che non comunica con la lunga camera interna e sulla cui funzione gli esperti non sono in grado di fornire una spiegazione precisa.
Aldilà di tutto quello che si può dire, delle scuole di pensiero, delle teorie e delle contro teorie, i nuraghi sono l’indiscusso emblema della Sardegna e, data la loro diffusione nell’intera isola, la prova più evidente dell’esistenza di un’antichissima identità nazionale che solo ai giorni nostri, forse, sta perdendo vigore.
E loro, i nuraghi, rimangono lì, pietrone su pietrone, imperturbabili, da millenni. Alti anche venti metri, con mura spesse quanto sono profonde le camere da letto in cui oggi dormiamo. Quando penso a questa cosa, io mi domando: “Ma i miei minuti antenati, come diavolo facevano a portare in cielo massi così grandi?”. E non vengano Giovanni Lilliu e Massimo Pittau a raccontar fole, che tanto, come fosse possibile questa operazione, non riusciranno mai a spiegarcelo neppure loro.
Da “101 cose da fare in Sardegna almeno una volta nella vita” di Gianmichele Lisai