Il carnevale di Bosa, chiamato “Carrasegare Osincu” è unico nel suo genere in Sardegna; contrariamente ai tragici carnevali delle zone interne dell’isola vi trionfano la libertà, la fantasia e l’esplicita ironia a carattere sessuale. Il personaggio pringipale è Gioldzi: il “Re Giorgio”, il simbolo del carnevale, rappresentato da un pupazzo di stracci e paglia, con una botte per pancia. S’Attittadora è la prefica che recita le lamentazioni funebri; è vestita a lutto, il viso dipinto di nero con s’oltigiu brusiadu (sughero bruciato), e indossa sa bunnedda (la gonna lunga), s’isciacca (il bustino), e s’isciallu cun sas randas (lo scialle con le frange).

Porta in braccio, o in una carriola, Gioldzi, neonato morente di fame, rappresentato da un bambolotto senza membra, di solito macchiato di sangue vicino all’inguine, oppure da un fallo in legno o cartapesta, o ancora da animali domestici. Le maschere in bianco sono padrone della notte del martedì: vestite con un lenzuolo e una federa, il viso dipinto di nero, una lanterna o un cestino (su pischeddu) in mano, simboleggiano la maschera di Gioldzi. Anticamente la gente indossava il berretto e la giacca al rovescio e s’imbrattava il viso di fuliggine. Cantava dietro i carri, accompagnata da uno strumento grezzo (sa serraggia), dal rumore acuto de s’attaidu (le staffe del cavallo) e da sos kobeltores (coperchi di pentole). 

La rappresentazione Nei giorni che precedono il giovedì grasso gruppi in maschera irrompono nelle case per la questua di lardazholu o laldaggiolu (giovedì grasso). Ricevono in cambio sa palte ’e cantare, tutto ciò che è utile per il cenone. Improvvisano canzoni e dileggiano coloro che durante l’anno si sono resi protagonisti di eventi scandalosi. Il giorno più importate del carnevale è martedì grasso: la popolazione si riversa dalla mattina presto nelle vie del centro. Gli striduli lamenti de sas Attittadoras annunciano la morte di Gioldzi; fra risate e scherzi coinvolgono gli spettatori in un’azione che enfatizza l’amplesso; agli astanti chiedono “unu tikkirigheddu de latte” (un goccio di latte) per il bambino, abbandonato dalla madre distratta dal carnevale. Importunano le giovani donne, cercando di palpare loro il seno e far uscire il latte per Gioldzi affamato. Si balla e si canta: su ballu de sas kadreas (delle sedie), su ballu ’e s’iskoba (della scopa), su ballu tundu, e s’intonano versi satirici e blasfemi. Al calare della notte, una pausa irreale segna il cambio della scena: le maschere in bianco, anime del carnevale morente, vagano come spettri in una sarabanda sfrenata, inseguendosi per i vicoli con lumi e lanterne alla ricerca di Gioldzi. Quando una maschera ne cattura un’altra gli illumina i genitali gridando: “Gioldzi! Ciappadu l’appo! Ahi Gioldzi! Damilu a Gioldzi!” (Gioldzi! L’ho preso! Ahi Gioldzi! Dammelo Gioldzi). Quando il vero Gioldzi è trovato l’euforia collettiva sfocia nella catarsi del rogo del pupazzo.

Il significato Il carnevale di Bosa è vissuto come rito collettivo che fa del disordine il canovaccio per un’allegoria sessuale esplicita, durante la quale si ridicolizza la vita quotidiana con atteggiamenti osceni. Già nel XVI secolo alcuni decreti limitavano gli eccessi di una festa troppo esuberante. I riferimenti ad un rito di fertilità pagano sono evidenti nella rievocazione della morte del carnevale e della rinascita dalle proprie ceneri. Gioldzi cerca di fuggire al suo destino celandosi nel sesso dei partecipanti al rito. L’euforia collettiva e la simbologia sessuale esprimono il bisogno di libertà dopo la carestia invernale. Anche se si è perso il senso originario resiste il clima scalmanato tipico di un baccanale.

Franco Stefano Ruiu - Maschere e Carnevale in Sardegna

http://www.youtube.com/watch?v=m1xoxJaaEGk