di EMILIANO DEIANA*
Parlare della morte non è di moda. Forse non lo è mai stato. Forse non lo sarà mai.
Eppure, in questo tempo mediano, in questo Medioevo pandemico tornano alla ribalta i morti, le loro storie, le loro vicende minime, gli affetti, i lasciti, le assenze, il vuoto, la lontananza, la distanza messa fra le spoglie e il ricordo di ciò che è stato e mai più sarà. Quante volte abbiamo sentito, in questi lunghi mesi che sembran secoli, le sirene delle ambulanze allontanarsi da città e paesi e il pensiero che si allunga nel suono ansiogeno della domanda: ci rivedremo ancora? O nel terrore asintomatico o cortisonico che fa soffiare la certezza di dire: non ci vedremo più!
Padri, madri, figli, nonni, vicini di casa, amici, parenti, conoscenti, sconosciuti: quanti si sono allontanati dalle mura domestiche con queste domande, con quelle certezze?
Soli, raminghi come su un vascello alla deriva, nel letto di un cronicario, senza orecchie a cui sussurrare, nella notte, la paura. E sentirsele le rassicurazioni di un bacio o di un “adesso dormi”, a mezza voce, trafelati. Non si muore già un po’ nell’immaginarsela una paura con quella forma ottusa di assenza e vedere altri, di fianco, sconosciuti col fiato fiaccato dalla polmonite interstiziale, senza respiro, boccheggianti, dentro a un casco, con l’ossigeno che tenta un soccorso ma decade negli interstizi pleurici ed esplode in piccole bolle di catarro che si solidifica e incolla alle pareti il soffio della vita.
Dove saranno gli occhi tuoi, quando si chiuderanno i miei?
Ripeterselo questo verso anche nelle assenza più insensate, fra chi resta e chi va: dove saranno gli occhi tuoi, quando si chiuderanno i miei?
In questo tempo i morti ci chiederanno dove siamo stati mentre morivano, per la mancanza inumana del rendergli omaggio, racchiusa nei decreti delle proibizioni, dove recarsi nelle case è vietato come proibito è vegliare il morto in gruppo, per farsi forza, per ricordarsi collettivamente - non spaiati - delle cose della vita passata insieme e, ora, passata del tutto.
È stata più forte la paura di essere - inestricabilmente - soli, mentre si trapassa o più forte il rimorso di non esserci nel momento dell’altrui passaggio? “Tutto è verità e passaggio”, cantava Pessoa mentre trasmutava in Ricardo Reis o in Àlvaro de Campos.
Resteremo per anni ad interrogarci su questo tempo povero, sul tempo dell’assenza, sul tempo della contumacia, quando siamo mancati, nel momento dell’addio e non siamo riusciti a dire la parola definitiva che pure ci eravamo immaginati.
Verranno i morti a chiedercene conto?
Emiliano Deiana
Nato il primo aprile 1974 vive a Bortigiadas. Cofondatore della Libreria Bardamù di Tempio Pausania. È stato Sindaco di Bortigiadas per 15 anni, attualmente è Presidente di ANCI Sardegna. Ha pubblicato nel 2012 il libro di racconti satirici 'Bar Sport Democratico', Ethos Edizioni.
Nel 2020 è uscito il suo primo romanzo, 'La morte si nasconde negli orologi', Maxottantottoedizioni.
(Foto ©Andrea Deiana)
Articolo realizzato per il progetto "FocuSardegna a più voci"
Vuoi diventare una delle firme del progetto? Invia la tua proposta via mail a: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
© E' vietata ogni riproduzione senza il consenso della redazione e dell'autore