DI MARGHERITA ZURRU*
Parlava perfettamente l’italiano, con un curioso accento trentino-etiope, appreso quando giovane studente, era arrivata in Italia per la prima volta, per frequentare sociologia all’università di Trento.
E in Italia è poi dovuta tornare, nel 2010, sfuggendo ad un mandato di arresto spiccato contro di lei dalle autorità del suo paese, l’Etiopia, dove da decenni vige un regime che contrasta con la forza ogni attivismo contro il land grabbing, il fenomeno attraverso cui le multinazionali acquisiscono la disponibilità di gran parte dei terreni coltivabili, sottraendoli ai contadini, per ottenere monocolture da esportare.
Serre di fiori per i ricchi mercati occidentali al posto dei campi di cereali, essenziali per il sostentamento della popolazione locale. Contadini e soprattutto, contadine, privati della propria terra, obbligati a lavorare per 12 ore al chiuso delle serre, in mezzo a insetticidi e fertilizzanti chimici, che inquinano le falde acquifere e provocano danni irreversibili alla salute dei lavoratori.
Lottava per restituire la terra alla propria gente, Agitu Ideo Guideta.
Quando è arrivata in Italia, con duecento euro in tasca, si è stabilita nella Valle dei Mocheni, e da lì, in mezzo alle montagne, un passo per volta, ha ricostruito la propria vita partendo da zero, mettendo in pratica studi e ideali, così creando qualcosa di grande e diventando un esempio di riscatto, di femminismo agito.
La parità nei fatti, senza confini.
È riduttivo dire di lei che allevava capre e faceva formaggi.
Ha studiato la normativa sugli usi civici, “una legge antica e perfetta”, diceva con lo sguardo illuminato, “che consente a tutta una comunità di utilizzare il territorio senza spogliarlo. Se ci pensate è il contrario del land grabbing.”
Era la sua battaglia in Etiopia e da lì è ripartita in Italia.
Ha scelto di combinare impresa, solidarietà e tutela ambientale, realizzando da sola, nera, straniera, donna in un contesto prettamente maschile, un’idea di imprenditoria sostenibile, nel pieno rispetto del territorio e dei suoi abitanti.
Passava gran parte del tempo nelle sue montagne, ma ogni tanto partecipava a incontri in cui raccontava la propria esperienza.
Parlava di come il contatto con la natura fosse stato per lei salvifico, consigliava di scegliere la felicità, di mettersi al servizio delle proprie idee, di non rinunciare ai propri sogni.
Raccontava di aver portato con sé dall’Etiopia l’idea di vivere in comunità, che nessuno possa considerarsi autosufficiente, che l’altro rappresenti sempre una risorsa.
Sorrideva spesso mentre parlava. Con competenza descriveva i processi migratori collegandoli ai danni dello sfruttamento intensivo di terre e popolazioni, e in questo contesto inseriva la sua idea di sviluppo sostenibile, giusto, in equilibrio con l’ambiente.
“Le porte chiuse non risolvono i problemi, la violenza si sconfigge con l’accoglienza, con la solidarietà. Ogni persona ha dentro di sé un potenziale, la comunità deve aiutare ciascuno a svilupparlo”.
È riduttivo dire di lei che allevava capre e faceva formaggi. Come è falso e offensivo scrivere che è morta per uno stipendio non pagato ad un dipendente.
È morta di femminicidio, per mano di un uomo cui aveva dato ospitalità e lavoro.
Questo non sminuisce affatto, ma semmai accresce il valore del suo pensiero, la potenza del suo esempio.
Sognava di tornare nel suo paese “lì c’è ancor tanto lavoro da fare”.
MARGHERITA ZURRU
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Nuorese, avvocata. Collabora con diversi Centri antiviolenza, è consulente legislativa al Senato. Da vent'anni vive a Roma e inventa pretesti per tornare in Sardegna.
Articolo realizzato per il progetto "FocuSardegna a più voci"
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