Quando si vedono immagini di catastrofi naturali sembra impossibile che una cosa del genere possa accadere a casa propria.
Anzi, proprio in tali occasioni si vanno a ricercare tutte le pecche di quel luogo mettendo, invece, in evidenza i propri pregi e sottolineando il fatto che “da noi certe cose non potrebbero succedere”.
Poi, senza nemmeno avere il tempo di pensarci sopra, ti ci ritrovi dentro e scatta la molla della disperazione rivedendo, come in un film, sequenze da apertura di tg che, in questo caso, avranno però come protagonista la tua terra.
L’allerta meteo per l’arrivo del ciclone Cleopatra avrà fatto balenare in qualcuno l’idea di una tragedia di tali dimensioni?
Eppure tutto sembra surreale. Le aperture di giornali e telegiornali, i costanti aggiornamenti sulle morti e i dispersi, i cumuli di macchine e fango, la disperazione di chi ha perso i propri cari. Apocalisse annunciata, potrebbe dire qualcuno. Scarsa manutenzione o poca accortezza nella costruzione di edifici e infrastrutture, commenterebbero gli altri.
Come sottolineato dal direttore dell’Unione Sarda, Anthony Muroni, “Serve interrogarsi sul perché i ponti crollano, sul perché i cantieri per la messa in sicurezza dei fiumi si bloccano per anni a causa di contenzioni tra comuni e imprese appaltatrici…in Sardegna cinque anni dopo Capoterra stiamo ancora parlando delle stesse cose”.
Riflettiamoci. Soprattutto guardando una delle foto simbolo, riportata sulla nostra pagina Facebook, quella del ponte romano in prossimità di Oliena mantenutosi intatto e confrontandolo con gli altri, di recente costruzione, crollati miseramente. Una contraddizione in termini che oggi si misura con la perdita di vite umane. La Sardegna finisce per una giornata sui giornali di tutto il mondo, esattamente come le Filippine di qualche giorno fa, devastate entrambe dalla forza di una natura che si ribella a una umanità disubbidiente e poco accorta.
Ma questo, prima ancora che il momento di dire cosa e come si sarebbe dovuto fare, deve essere in primis un momento di azione, di ricostruzione e deve far scaturire la presa di coscienza che, ora più che mai, è necessario mettere da parte i dissidi e renderci noti per la nostra indiscussa solidarietà e capacità di far rete – ahimè – nelle situazioni più difficili.
Lo spirito di umanità sardo si è palesato in fretta: era palpabile mentre si scorrevano le pagine dei social network e si vedendo i tanti profili con l’immagine del lutto, mentre risuonava il tam tam, quasi compulsivo, di news, offerte di aiuto e ospitalità per gli sfollati e le pagine Facebook create per l’occasione a supporto dell’emergenza.
Ci deve necessariamente essere, però, un momento di introspezione e comprensione degli errori commessi nella realizzazione di beni immobili, strade e ponti per evitare che situazioni come questa possano ripetersi ancora e ritrovarci, nuovamente, a piangere morti innocenti e a far la conta dei danni.
Vengono i brividi a vedere la propria terra, da lontano, nel servizio di apertura di Rai News, nella homepage dei quotidiani nazionali, nel ricevere un link da un’amica turca con la notizia a tutta pagina su una testata nazionale e, soprattutto, nell’ accogliere e nel rispondere a una lunga processione di persone che chiama e, in particolare, ti viene a trovare al lavoro, in uno spazio dedicato alla Sardegna, per chiedere in che modo può aiutare il nostro popolo.
Vengono i brividi perché anche io, come tutti voi, suppongo, forse in preda all’egoismo, guardando certe immagini mi sono sempre fatta coraggio ripetendo: “Da noi non capiterebbe mai”.