- Mariella Cortes* -
“Passavamo sulla terra leggeri, come acqua, disse Antonio Setzu, come acqua che scorre, salta, giù dalla conca piena della fonte, scivola e serpeggia fra muschi e felci, fino alle radici delle sughere e dei mandorli…”
Questo passo di Sergio Atzeni e, nel complesso, tutto il romanzo da cui è tratto, trasmette un’idea onirica della Sardegna e dei suo abitanti; c’è, sullo sfondo, una storia con tratti a volte decisi e altri sospesi, sfumati, fatta di personaggi, riti e vicende che potrebbero sembrare, a primo acchito, del tutto inverosimili. Quella di Atzeni, la visione di una Sardegna sospesa tra mistero e realtà, “terra di danzatori e osservatori di stelle”, torna spesso in due categorie di persone: da una parte chi (e uso come primo esempio i viaggiatori a cavallo tra Otto e Novecento) ne ha sentito parlare facendosi un’idea quasi mitica che ha poi contestualizzato al momento della visita e, dall’altra, coloro i quali ci sono stati diversi anni fa e hanno mantenuto, in cuor loro, un’immagina sfalsata dalla bellezza del ricordo.
In questi giorni di lutti e devastazione, in più di una occasione ho avuto modo di chiacchierare con delle persone, incontrate sia al lavoro che su treni e altri luoghi, che mi hanno raccontato la loro esperienza in Sardegna. E, curiosamente, alcuni di loro si riferivano – e parlo di “continentali” – usando i passi di Atzeni. Un signore, per esempio, mi raccontava di un lungo viaggio in Sardegna fatto, nel 1962, per ragioni di lavoro ma trasformatosi presto in una vacanza. Nel suo immaginario, la Sardegna di oggi doveva rispecchiare gli scenari di 50 anni fa e, vedendo le immagini terribili degli scorsi TG, era convinto- mi raccontava – di aver sognato tutto; non poteva credere che quel posto che aveva lasciato un’impronta forte nella sua mente potesse venire distrutto dalla forza della natura, da quell’acqua tanto leggera e impalpabile ricalcata da Atzeni. La Sardegna dell’idillio è, ancora, quella raccontatami da una anziana signora milanese che visse nella nostra terra gli anni del fidanzamento con il futuro marito, scomparso qualche anno fa; proprio lei, con le lacrime agli occhi, raccontava della solidarietà, del senso di ospitalità e di quella sensazione di venir pervasi da ogni minuto della storia, circondati dai possenti segni del tempo.
È ancora, la città bianca che Efisio Marini, personaggio storico realmente esistito tornato in auge grazie ai romanzi di Giorgio Todde, anela nel suo periodo a Napoli, ricalcando una Cagliari trasognata e senza tempo. C’è l’immagine che ognuno di noi vi ha costruito sopra, trovandovi uno stato d’animo, ricamandovi sopra un momento, un sentimento. E c’è, oggi, l’immagine concreta di una terra che ha subito forti danni, che quotidianamente deve lottare con disoccupazione e disagi e che si deve rialzare.
E, a tal proposito, riprendendo la prima categoria di persone, l’elenco potrebbe essere lungo ma ne basta citare uno: la scrittrice inglese, Mary Delane, che nel suo libro “Sardinia: the undefeated Island” riporta:
“Conobbi la definizione prima in Londra, poi in Sardegna. Certe persone volevano impressionarmi.
La Sardegna, l’isola mai vinta, dicevano.
E, infatti, nel loro cuore essi non si sentono mai vinti.”
*FocuSardegna