«Caro Signor Presidente della Regione Autonoma della Sardegna, On. Prof. Francesco Pigliaru, mi rivolgo direttamente e pubblicamente a lei nella forma di una lettera aperta perché ritengo sia giusto che i Sardi possano partecipare e comprendere ancora di più la questione che, in queste ultime settimane abbiamo avuto modo di discutere in ambiti ristretti, come quelli di partito, oppure a distanza in occasione di diverse pubbliche assemblee di amministratori alle quali ho partecipato.
A oggi caro Presidente, Lei non ha ancora potuto confrontarsi con i Sindaci, né in pubblici consessi, né nelle istituzioni come il Consiglio delle autonomie locali il quale lunedì, per legge, dovrà esprimere il suo parere sul testo approvato dalla commissione del consiglio regionale. Riconosco che il testo uscito dalla commissione consiliare, sebbene il dibattito si sia svolto finora a distanza, abbia timidamente raccolto qualche elemento dei temi posti in discussione. Bisogna superare questa timidezza e affermare con chiarezza che il disegno di legge, al di là delle buone intenzioni degli autori, rischia concretamente di produrre divisioni nella comunità sarda. La distanza che separa le amministrazioni comunali e le loro future unioni dall'amministrazione regionale non viene colmata. Si prefigura un nuovo centralismo regionale che dovrà negoziare le questioni dello sviluppo sociale ed economico della Regione con almeno 36 unioni di comuni, se queste si aggregheranno per regioni storiche, e comunque non meno di 20.
Si determinerebbe non già una semplificazione degli organismi territoriali ma tante piccole entità, debolissime dal punto di vista economico e della rappresentatività politica e istituzionale. Queste entità sono utili certo, ma solo per gestire al meglio i servizi essenziali per le comunità: la raccolta dei rifiuti, la polizia urbana e rurale, i procedimenti amministrativi per il rilascio dei permessi di costruzione, i servizi di assistenza sociale. L'utilità, ai fini delle maggiori opportunità per il tessuto economico che vengono offerte dalla presenza nel territorio di una istituzione forte, come la Regione Sardegna, è ampiamente dimostrata dagli indubbi effetti benefici di cui hanno potuto godere, negli ultimi 50 anni, sia la città di Cagliari sia il suo hinterland, sopratutto in questi anni di crisi dell'apparato produttivo ed industriale.
In Sardegna voler assegnare la qualifica di “città metropolitana” a un solo agglomerato urbano, quando invece è risaputo essercene sicuramente due, se non tre, significa attribuire ad un solo territorio nuove opportunità di sviluppo negandole ad altri. Questo non è giusto. Si ritiene, invece, che le aree urbane della Sardegna meritino un'attenzione e una strumentazione di autogoverno e quindi risorse finanziarie aggiuntive. Una dotazione che consenta loro di godere delle politiche di coesione nazionale ed europee per le aree urbane, mantenendo le specificità ambientali e territoriali proprie, quali la possibilità di una governance policentrica, paritaria e sussidiaria.
Caro Presidente occorre superare questo pregiudizio secondo il quale è metropolitana solo un'area ad alta concentrazione edificatoria, e non anche un'intera sub regione. L'area settentrionale dell'Isola, con l'integrazione delle sue funzioni di eccellenza quali l'Università, la sanità, gli apparati industriali ed agro-industriali, il turismo, i parchi nazionali, il sistema dei trasporti aerei e marittimi nazionali e internazionali può esprimere altrettanto efficacemente e adeguatamente tutte le potenzialità e funzionalità tipiche delle aree metropolitane. Resta da considerare con cura e attenzione la necessità di altrettanti poteri di autogoverno di area vasta che devono avere le zone centrali dell'Isola, quelle che le politiche di coesione della Ue definiscono zone interne. Per queste sono previste politiche e risorse finanziarie per promuoverne il rilancio e lo sviluppo sostenibile.
Faccio appello a Lei, Signor Presidente, affinché ascolti e si confronti ancora meglio con la sua comunità ed eviti che la sua proposta venga percepita e interpretata come un atto discriminatorio».
Nicola Sanna, sindaco di Sassari