- Carlo Pala*-
La recente vittoria del Centrosinistra in Sardegna potrebbe non stupire se vista con gli occhi di chi guarda all’alternanza come consuetudine politica dal 1994 in poi. In realtà, i motivi di riflessione sono molteplici, e molti di questi non affatto scontati. Anzitutto, il vincitore. Alzi la mano chi avrebbe scommesso sulla vittoria di Pigliaru nel momento in cui è stato proposto. La situazione di quel Centrosinistra lacerato dalle vicende Barracciu, un candidato giudicato privo di appeal e di carisma, il pericolo-Murgia, una campagna elettorale cominciata inevitabilmente con grande ritardo, tutta volta a inseguire un Cappellacci considerato imprendibile. Invece si potrebbe proprio dire che l’outsider ha sorpreso più della sconfitta del Centrodestra o della parziale affermazione, almeno stando alle attese, di Michela Murgia. Francesco Pigliaru ha dimostrato che forse la politica urlata e giocata sull’attacco dell’avversario non sempre paga; così come la compostezza dell’atteggiamento, che ha premiato l’economista sassarese-orunese-olzaese più di quanto si immaginasse. Dalle sue prime uscite pubbliche, infatti, Pigliaru non convinceva per la sua impostazione giudicata appunto troppo “professorale”. Tutti elementi smentiti dai risultati elettorali. Il neo Presidente al contrario ha dimostrato che i cittadini sono ancora attenti ai contenuti proposti e che il profilo di un candidato non aggressivo né arrogante ha ancora un suo spazio in politica.
L’astensionismo e la legge elettorale non hanno premiato Cappellacci. Erano in tanti quelli che alla vigilia del voto preannunciavano un forte astensionismo che avrebbe favorito il Centrodestra sul Centrosinistra. Inoltre il meccanismo del voto disgiunto, che stavolta ha premiato la parte politica punita cinque anni fa (anche) dal medesimo meccanismo. La vicenda del sistema elettorale sardo ricorda da vicino il Porcellum. A parte la vicinanza tecnica dei due sistemi, ne erano comuni evidentemente gli intendimenti. Proposte poco prima del rinnovo del Parlamento e del Consiglio regionale dal Centrodestra, tali leggi elettorali volevano limitare i danni in caso di sconfitta. Il Centrodestra ha preso in considerazione l’idea di perdere, ed è per questo che ha previsto un premio di maggioranza variabile in relazione alla percentuale finale. Non ci si aspettava che il Centrosinistra vincesse, ancor meno con più del 40%, per la presenza della Murgia. Era quindi difficile potessero scattare i 36 seggi, visti più probabili in un’affermazione larga di Cappellacci. Anche questa previsione non è stata azzeccata. Probabilmente la discesa in campo di Berlusconi per ben due volte è stata un clamoroso autogol: forse qualcuno nel Centrodestra era contrario che il Cavaliere arrivasse nell’isola.
E gli indipendentisti? Resto convinto che non solo non hanno perso, ma finalmente si sono dimostrati forze politiche inclini alle Istituzioni, come era chiaro da tempo. Al di là delle attese a livello mediatico costruite artatamente da diversi osservatori, infatti, nel Consiglio regionale sardo abbiamo un leader recente dell’indipendentismo sardo, Sale; alcuni partiti (Rossomori e Partito dei Sardi) dichiaratamente di quell’idea; una candidata che, comunque la si voglia vedere, era diretta espressione di una serie di sigle che si rifanno a quel mondo e che, in virtù di una legge elettorale quantomeno discutibile, non trova rappresentanza con più del 10% dei consensi.
Che non fossero elezioni uguali alle altre, sono soprattutto i fatti ad averlo dimostrato.
*Politologo, Università degli studi di Sassari