- Mariella Cortes*-
È notizia recente la bocciatura, da parte della Camera, di tutti gli emendamenti che riguardano la parità di genere nell’Italicum: via l’emendamento sull’alternanza di genere in lista, via anche quello che prevedeva che nessuno dei due sessi potesse essere rappresentato in misura superiore al 50% per i capilista e via anche l’emendamento che prevedeva la proporzione del 40% per i capilista. Quote rosa bocciate, insomma, a pochi giorni dalle celebrazioni per la festa della donna. E, tutto questo, nonostante i dati favorevoli in merito alla presenza delle donne in sistemi politici e nei CDA delle aziende.
Ma, pensiamoci, quante di queste sono entrate grazie al sistema delle quote rosa e quante, invece, per merito e curriculum, senza che che l'azienda si sentisse "costretta"?
Certo è che i risultati degli studi indicano una relazione positiva tra presenza femminile ai vertici e risultati aziendali: nelle imprese familiari il Ros, indicatore della performance aziendale, è superiore al 5% alla media quando il CDA è misto. Dati, probabilmente, meno incoraggianti per la nostra nazione che vanta il triste primato di 130 mila occupate in meno rispetto agli anni precedenti. Pensate che Goldman Sachs aveva calcolato che la parità di genere porterebbe, ovviamente al momento di uscita dalla crisi, un aumento del PIL del 22%.
Di fatto, in che termini e con che risultati l’imposizione di un certo numero di donne nei CDA delle aziende le aiuterebbe a rompere il famoso tetto di cristallo? Si tratta davvero di un’agevolazione sociale, economica o appare più come un “contentino” che come il risultato di un impegno concreto e di una preparazione d’eccellenza? Forse, più che concentrarci sul dover a tutti i costi inserire le quote rose, dovremmo pensare che nel 2014, in quella che viene reputata una società civile, la presenza delle donne non dovrebbe più essere considerata alla stregua di una riserva indiana ma come la norma. Non deve apparire “strano “ o fuori luogo il fatto che una donna ricopra determinati incarichi e sia riuscita a rompere quel soffitto da sola, senza ulteriori leggi.
Dall’altra parte, per una nazione come l’Italia che per la presenza di donne in politica e in azienda ricopre gli ultimi posti in Europa, forse, l’inserimento delle quote poteva sembrare l’unico spiraglio di uscita. Il tema delle quote rose elettive, pensate per garantire alle donne piena partecipazione alla vita politica è nelle discussioni europee da diverso tempo. La Francia è stato, per esempio, il primo paese al mondo ad aver adottato, negli anni 90, un’eguaglianza numerica tra candidati uomini e candidate donne; anche Spagna e Belgio presentano le quote rosa nella legge elettorale mentre, per quanto si potrebbe supporre il contrario, in Svezia, Norvegia e Danimarca non ci sono mai state quote imposte nelle leggi elettorali.
Chiediamoci, dunque, se dopo tutte le lotte portate avanti dalle donne, dopo i successi della nostra società e che stanno facendo grande la nostra epoca, dobbiamo ancora – perlomeno nella nostra Nazione – parlare di mercificazione del corpo femminile, di quote rose e parità di genere. In un’Italia che si appresta, nel 2015, ad accogliere un evento quale l’Expo che punterà tutti gli obiettivi del mondo sul nostro territorio e sulle nostre eccellenze, dovrebbe essere scontata la presenza di donne ai vertici. La parità di genere, in una società moderna e globalizzata andrebbe inglobata come normale, non, invece, come un’eccezione. Non dovrebbe servire una strategia legale o politica per rendere “normale” la società.
*FocuSardegna
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