Ho letto con grande interesse l’articolo del mio compaesano Giorgio Piras, intitolato “La mia Tiana” e pubblicato qualche giorno fa su Focusardegna.
Si tratta di un’analisi che, pur partendo dalla situazione di Tiana, deve necessariamente interessare anche le popolazioni dei paesi vicini e, più in generale, dei comuni interni della Sardegna; le sorti dei piccoli paesi sono legate a vicenda per un inesorabile effetto-domino; i piccoli paesi sono come anelli di una catena e le problematiche illustrate a proposito di Tiana toccheranno da vicino, inevitabilmente, anche paesi attualmente più popolosi e apparentemente al sicuro.
Serve, pertanto, una visione comune, un’azione coordinata; bisogna agire come se costituissimo una piccola città metropolitana.
I mutamenti descritti da Giorgio sono sotto gli occhi di tutti. Ma le origini di questo declino sono più generali e non sono certo legate a peculiarità del comune di Tiana, che ne viene colpito prima solo perché meno popoloso: nell’arco di tempo descritto, l’intera società è cambiata in maniera sensibile; il mondo è diventato interconnesso, globalizzato.
Ci è stato fatto credere che i piccoli paesi fossero divenuti, ormai, una struttura anacronistica, superata dalla storia, con uno stile di vita non adeguato alla modernità.
Ci è stato fatto credere he parlare in sardo non fosse consono a una persona emancipata; che le scuole dei paesi non fornissero una preparazione adeguata; che solo lontano dai piccoli centri ciascuno potesse trovare una strada meritevole di essere seguita; che, rispetto alle nostre risorse, tutto ciò che arrivava da fuori fosse maggiormente appetibile.
In virtù di queste logiche fuorvianti, anche le scelte politiche – sia statali che regionali - sono state basate, da qualche decennio a questa parte, sul preciso obiettivo di depotenziare in misura sempre crescente le zone interne, considerate una zavorra e una fonte di sprechi, un peso morto della storia. Puntando tutto sulle grandi città e sulle zone costiere, i servizi delle zone interne sono stati gradualmente depotenziati se non azzerati; i collegamenti ridotti al minimo; i giovani spinti a cercare fortuna altrove, nella speranza di maggiori opportunità offerte da studio e lavoro. Persone che tanto avrebbero potuto dare a queste comunità costrette, ormai, a guardarle da lontano.
Di fronte a questa situazione, possono esserci dei rimedi? Esiste ancora la possibilità di invertire la tendenza? Io ritengo di sì, convintamente. È, semplicemente, necessario iniziare a osservare il fenomeno secondo una prospettiva diversa.
Abbiamo sotto gli occhi, senza accorgercene, enormi ricchezze, che sono ingenti e che aspettano solo di essere valorizzate. Il nostro patrimonio, che ora diamo per scontato, ha un valore che verrà moltiplicato esponenzialmente nei prossimi decenni. Stiamo vedendo, nelle discussioni sul Recovery Plan, che si parla di tecnologia verde, di ambiente, di vita sana come obiettivi principali per il XXI secolo. Ebbene, noi questi capitali li abbiamo: se sapremo farci trovare pronti, saremo in vantaggio di qualche decennio rispetto ad altre realtà.
La principale risorsa che deve essere valorizzata è quella umana. Esiste a Tiana, come nei paesi vicini, una capacità artigianale, specie alimentare, che non ha nulla da invidiare ai migliori prodotti presenti sul mercato. Questa maestrìa deve essere sfruttata al fine di creare lavoro e ricchezza. Anche stando in paese, se si vuole, si può fare fortuna; serve, però, un coordinamento: bisogna utilizzare tutti i mezzi disponibili per cogliere le opportunità di vario tipo che il mercato offre per questo genere di produzioni e dare ad esse il risalto che meritano.
La seconda, grande, dote di cui disponiamo, come dicevo sopra, è quella ambientale. La pandemia ha mostrato l’esigenza di un ritorno a una vita più semplice, a prodotti più genuini, a un ambiente salubre. Le città, con la loro vita caotica unita al disagio delle periferie e a un inquinamento sempre più opprimente, oltre a un costo della vita esorbitante, diventeranno, nel giro di qualche decennio, un luogo da cui allontanarsi.
Le persone, specie ad una certa età, cercheranno salute, benessere e tranquillità; e i nostri paesi offrono case molto più spaziose dei piccoli e costosi appartamenti cittadini; prodotti a chilometro zero con costi assai più abbordabili.
In un ambiente iper urbanizzato e alterato, luoghi incontaminati come i nostri saranno merce rara; i tanti incentivi a disposizione aiuteranno a rendere più confortevoli le abitazioni. E il lavoro che ora non c’è si potrà creare proprio a partire da questi presupposti, anche sfruttando tecnologie impensabili fino a qualche anno fa (basti pensare allo smart working). Unendo queste risorse a produzioni di qualità e ad un’intelligente offerta turistica e ricettiva, il trend si può invertire. Del resto, nella storia ci sono sempre stati dei cicli di alternanza tra città e campagna: nel 1846 Tiana contava 571 abitanti; è arrivata a sfiorare il migliaio negli anni ‘60; ora c’è un nuovo calo ma, come è successo in passato, è assai probabile che la curva riprenda a salire.
La terza ricchezza fondamentale, attualmente poco considerata, è costituita proprio da chi ha scelto di cercare la propria strada altrove: gli emigrati.
In questo mi ricollego a un passo dell’articolo di Giorgio, che mi ha colpito molto, in cui si fa riferimento “all’aver abbandonato un luogo che, nonostante le difficoltà di allora, ti ha dato tanto”. L’errore che non si deve commettere è proprio quello di credere che chi è andato via sia una risorsa perduta per sempre, che non possa più fare nulla per restituire al proprio paese almeno una parte di ciò che ha ricevuto. È proprio il contrario:
Il nostro paese è sempre lì che ci aspetta. E sempre ci aspetterà.
Non è mai troppo tardi per ricucire il filo; anche da parte di chi manca da tanto tempo. Tra chi resta e chi va via deve crearsi, invece, un dialogo proficuo; le capacità di chi resta devono collaborare con quelle di chi è andato via e ha maturato, nel corso del tempo, professionalità che non sono alternative ma complementari rispetto a quelle della popolazione residente.
Chi è andato via e ha avuto modo di conoscere altre realtà, di studiare, di acquisire professionalità importanti, può aiutare il proprio paese d’origine a compiere passi da gigante. Diventa necessario coinvolgere tutte queste figure, fare in modo che possano confrontarsi e cercare soluzioni ai problemi esistenti. Qualcosa di proficuo verrà fuori necessariamente Certo, serve un po’ di impegno; ma non ci può essere vittoria senza sacrificio.
Bisogna iniziare a partecipare più attivamente alla vita della comunità, a rientrare più spesso a dispetto degli impegni, a incontrarsi anche con coloro con cui si ha meno confidenza per discutere di queste vicende, cercare di trovare dei rimedi e pensare alle modalità con cui metterli in pratica, anche suggerendo proposte alle Amministrazioni che si sentiranno rincuorate, in mezzo a tante difficoltà, se c’è partecipazione e voglia di collaborare. Le stesse amministrazioni avranno una forza contrattuale maggiore, nelle rivendicazioni nei confronti degli enti superiori, se alle loro spalle avranno delle schiere più folte intente a remare nella stessa direzione.
In conclusione a queste riflessioni vorrei, pertanto, raccogliere l’invito di Giorgio Piras a trovare una nuova via per le nostre Comunità.
Appena le condizioni sanitarie lo consentiranno, si potrebbero organizzare degli incontri che coinvolgano la popolazione, l’amministrazione, gli emigrati e chi proviene dalle comunità vicine per discutere proficuamente di ciò che si può fare al fine di invertire la rotta. Degli “Stati Generali” che abbiano, come unico obiettivo, quello di incontrarsi, di ridurre le distanze, di ragionare su proposte concrete, con la partecipazione attiva di tutti.
Sono fortemente convinto che, se uniremo gli intenti e sapremo guardare con intelligenza al futuro, le nostre comunità sapranno reggere il confronto con questa nuova epoca così come hanno saputo farlo, anche in momenti più difficili, nel corso della loro storia millenaria.
Antonio Piras
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