Fare della propria passione una ragione di vita. E’ quanto è accaduto a Marco Lutzu, fotografo naturalista nato e cresciuto a Orani, come ama sottolineare. Un interesse smisurato per la natura, per la macchina fotografica e, fin da bambino, per i rapaci, quando il padre e gli zii materni gli insegnarono per la prima volta ad allevare il falco pellegrino, tanto che divenne il suo compagno di giochi. Passione che crebbe con l’età e che oggi, a cinquant’anni, viene usata con abilità come un semplice mezzo attraverso il quale potersi affacciare con rispetto alla natura, e diventare spettatore diretto delle nostre campagne.
Armato della sua macchina fotografica, del binocolo e di una minima attrezzatura mimetica percorre, da solo o in compagnia di alcuni amici, angoli sconosciuti dei boschi, dove la vita si nasconde spezzando, o a volte, fortificando delicati equilibri.
La campagna racconta a Marco Lutzu e la campagna rivela, anche nella sua cruda realtà insegna quanto in fondo non sia così dissimile dalla vita dell’uomo nelle città, quanto tutto sia naturalmente e facilmente collegabile, pur avendo imposto, l’uomo comune, una separazione.
Ma non è il suo caso. Lutzu vuole capire e da osservatore attento prova a immedesimarsi , fino ad assorbire quasi i comportamenti animali. In tanti anni di appostamenti, di soddisfazioni e momenti di sconforto, ha trovato un modo per tracciare un segno a delle circostanze per lui solite, ma che per noi comuni mortali risultano insolite, sino a decidere di raccontarle in questa intervista.
Allora Marco, ci racconti un po’ questa sua passione per la fotografia naturalistica, in particolare per i rapaci. Quando nasce?
Ho sempre avuto interesse per tutto ciò che è natura fin da piccolo. In generale la fotografia diurna mi ispira di più, poi per caso è nato un interesse nei confronti dei rapaci e della fotografia notturna. Pensa che a suo tempo son stato un cacciatore, poi per scelta ho avuto dei cambiamenti. Non è stata una conversione, l’uomo è nato cacciatore e ho molto rispetto per la caccia. E’ stata solo una scelta di vita. Quando ero piccolo mi è stata regalata una macchina fotografica che si chiamava “Cosina”. Iniziai ad andare in giro a fare qualche scatto. Inoltre, come molti bambini di allora, allevavo rapaci: falchi, gheppi, sparvieri, poiane. In parecchie case i ragazzini del paese avevano il loro astore da portare in giro, anche se la legge non lo consentiva. Era sicuramente un gioco sano rispetto agli smartphone di oggi.
Allevare un falco è spettacolare, devi vivere con loro. E scattare una fotografia non è una cosa semplice, non basta una macchina fotografica, devi avere una simbiosi con l’ambiente che ti circonda. Se si riesce a creare questa sintonia, allora non arrechi danno o disturbo a quello che hai di fronte. A volte si fanno errori e si crea disturbo, ma a partire da uno sbaglio si trovano le possibilità per correggersi.
Quali sono le cose più insolite che ha potuto riscontrare durante i suoi appostamenti, diurni o notturni?
Non è che vedi una cosa insolita, per me è solita, per una persona normale magari è insolita. Vedere ad esempio uno sparviero che cattura la sua preda, mangia e poi nello stesso posto, se c’è una pozza d’acqua si rifocilla e si lava, è una classica scena di famiglia, se ci pensi. Cioè una persona mangia, si lava i denti e si riposa. Certi atteggiamenti degli animali sono cose normali. Io rapporto alcune abitudini dell’uomo agli animali. Se penso invece a qualcosa di insolito, può capitare che trovi degli animali che non sono autoctoni della nostra terra. Una volta mentre fotografavo degli aironi rossi, a un certo punto vedo qualcosa uscire dall’acqua, si scuoteva, ero convinto fosse una lontra, e ho pensato - E’ impossibile! Una lontra in Sardegna non esiste! - Ho fatto un po’ di scatti, mi sono documentato, era sicuramente un mustelide ma non una martora. Infine scopro che era un visone, non posso dire se un visone europeo o americano, poiché l’unica cosa per definirlo, a parte la macchietta bianca che ha sotto il mento, sarebbe un’analisi del DNA che io non mi posso permettere.
Ecco, quella era una cosa insolita perché si è riprodotto in Sardegna, sicuramente importato, ricordo che ci fu un allevamento nel 1993-1994. Però oggi si parla della presenza del visone anche in posti diametralmente opposti: Villagrande Strisaili, la zona del Tirso, il sassarese addirittura! Ormai ha colonizzato tutto. Una volta ho trovato le nutrie nel territorio di Orani. E’ un po’infestante, però anche quello è un animale e va rispettato.
Qual è secondo lei l’aspetto che lega i rapaci all’uomo?
Sembra una cosa un po’ brutta però è reale, perché è natura. Il rapace, non è un freddo calcolatore come l’uomo, ma è un rapace, è un animale che cattura per nutrirsi. Vedi proprio la ferocia dell’attacco, una cattiveria incredibile, e rispetto all’uomo lo fa per mangiare appunto. Il momento dell’attacco è veramente cruento, difatti molta gente si domanda come faccio a stare tranquillo nel vedere le membra aperte di una bestia. Io non ho questi problemi. E ripeto, quando vedi un animale in fase di attacco, come vedere un leone che sbrana una zebra o una gazzella, quella è natura! La similitudine che vedo con l’uomo è la cattiveria, anche se la natura dell’uomo è un po’ impazzita perché certe cose le fa non per cibarsi.
L’uomo ha sempre imitato gli animali, se pensi anche alle tute alari, o agli aerei come gli F-117 cacciabombardieri americani, sono stati costruiti studiando l’apertura alare del falco pellegrino.
Veniamo alla scoperta fatta da lei e dal suo gruppo di amici: il ritrovamento di un nido di Gufo Comune la scorsa primavera. Come si sono verificati i fatti?
Mi era stato segnalato da un vaccaro la presenza di un gufo o civetta, di grosse dimensioni come un barbagianni ma che non aveva il piumaggio chiaro. Ho colto la palla al balzo, ho verificato la zona con i miei amici Antonio, Antonello e Angelino, e perlustrando pianta per pianta a un certo punto vediamo partire una sagoma inconfondibile di un rapace, che è stato aggredito dalle cornacchie in un modo incredibile. Le cornacchie quando c’è un nemico o presunto tale lo attaccano in gruppo. La cosa strana è questa, l’hanno buttato giù a terra, noi siamo arrivati di corsa e lui è ripartito. - Non era né un astore né una poiana, era un gufo! Impossibile! - Quindi abbiamo perlustrato questa sughereta palmo per palmo, l’esperienza ci ha detto che sicuramente ci sarebbe stato un nido nelle vicinanze. Morale della favola siamo riusciti a beccare la nidificazione e da lì infine la decisione di documentarlo, per far sapere alla gente che qualcosa c’era. Ho fatto una serie di appostamenti, l’ho seguito anche di notte, ho creato una tana a una certa distanza dal nido per non disturbare, ma non ho dato indicazioni precise a nessuno su dove si trovasse.
Può spiegarci quali tecniche e strumenti sono necessari, oltre alla macchina fotografica, per effettuare un appostamento? Si può fare da solo o in gruppo?
Un buon binocolo innanzitutto. Una volta che crei un appiglio tattico, devi andare dentro l’appostamento, puoi vedere ma non devi essere visto, quindi a quel punto ti compri dei materiali mimetici, per esempio nei negozi dove vendono attrezzature per la caccia. Io le trasformo per sparare gli animali, ma con la macchina fotografica. L’80% delle volte sono solo. L’animale poi non sa contare, si usano delle tecniche specifiche: tu arrivi nel capanno in due, uno entra nel capanno, l’altro si allontana, poi l’animale ti vede a distanza e sa che si è allontanata la persona. Però va sempre bene arrivare nel capanno al buio, camminare carponi basso, in modo che la tua sagoma da uomo in piedi non venga definita. Capita a volte di fare anche cento metri camminando come un animale a quattro zampe. E lì ti passi la notte aspettando l’alba. Se ti va bene puoi scattare una foto. Se ti va male sei rimasto a prendere freddo e umido per uno o due giorni. Se ti va malissimo ti becchi anche l’acqua.
Qual è il periodo dell’anno più indicato, cioè lo fa anche in inverno con la neve?
Lo faccio anche in inverno, infatti ora sto iniziando a organizzarmi. Il periodo caldo è più semplice perché hai più luce, ma alla fine la bellezza della natura la godi sia nel periodo di riproduzione totale, cioè dalla primavera fino all’estate, sia in inverno. Per esempio adesso ho l’idea fissa di beccare un’aquila sulla neve, e ce la devo fare!Quindi devo aspettare che nevichi.
Cosa prova mentre sta in attesa ad aspettare che qualcosa accada, immerso nella natura? Durante la notte, non ha paura? Voglio dire, i rapaci notturni ci vedono bene, ma l’uomo no.
Non è che non si vede, è una questione di abitudine. Bisogna abituare l’occhio al buio. E ascolti molto. Quindi sviluppi l’udito perché senti il cinghiale che ti passa vicino, d’estate senti la cicala, oppure puoi sentire il ragno che ti passa sopra o il topino che mangia i resti del tuo pasto. Perché capita anche questo. Quando sei fuori immerso in un ambiente dove quasi ci vivi in pratica, molti pensano sia un animale di campagna. Io non vado al mare, se non per compiacere mia moglie. Quando sono in campagna in mezzo ai boschi mi immedesimo, è un’altra cosa, mi piace! Quando sei parcheggiato dentro un capanno che prendi freddo, a volte ci sono dei momenti di sconforto, perché magari è dieci giorni che aspetti quello scatto e non riesci a farlo. Però in quei dieci giorni hai visto che ti è passata di fianco una donnola che inseguiva una lucertola o un topo, anche se non li hai voluti scattare, vedi che c’è un uccello che cerca di catturare le mosche intorno a una carogna.
A volte capita di decidere un punto, dove monti su la tenda per riposarti. Poi durante la notte vai sul capanno. Altrimenti se non hai un possibile appoggio puoi farti anche due o tre giorni dentro al capanno.
Quando decide di uscire armato della sua macchina fotografica, oltre alla sua passione sente di avere una missione precisa da svolgere? Quali sono insomma i suoi obiettivi?
Non è una missione, per me è una passione, se poi posso immortalarla e condividerla con gli altri, sempre nel rispetto totale di quel che è la natura, allora ben venga. Per un periodo di tempo l’avevo anche lasciata da parte perché vivevo in continente e avevo avuto periodi bui, poi adesso ho ripreso e sinceramente a cinquant’anni ho ancora voglia di camminare. Non l’ho mai fatto con l’intento di trovare prestigio o esibirmi, questo no. Tempo fa con i miei amici fidati, Antonio e Antonello, trovammo un nido di aquila reale, l’unico conosciuto su una grotta. Aveva un doppio ingresso, tanto che l’abbiamo soprannominata “arcu ‘e chelu”, arco di cielo per l’appunto. Quando abbiamo messo la testa lì dentro eravamo entusiasti. Abbiamo seguito il nido per diversi anni, l’abbiamo fotografato e ho esposto le foto solo in una mostra personale qui a Orani, per evitare che tutti gli pseudo-fotografi naturalisti o anche naturalisti veri andassero a cercarlo. Poi qualcuno l’ha messo alla mercé di tutti, e ora in parecchi lo stanno cercando.
Quelle foto potevo anche venderle e avere un riscontro notevole, ma sinceramente non me ne frega niente.
Per concludere ci parli della mostra al Centro Commerciale Pratosardo di Nuoro. Fino a quando potremo vedere le sue foto?
Sì, questa mostra è a mie spese, la inauguro sabato 26 novembre. Sono delle foto naturalistiche che ho stampato con un altro materiale per essere maggiormente apprezzate dalla gente. Sarò lì per qualche giorno per spiegare alcune cose, anche perché condividere la mia passione è bello. Lascerò le foto esposte per tutto il periodo di Natale.
Foto articolo su gentile concessione di Marco Lutzu
Flickr: https://www.flickr.com/photos/marcolutzu66/