di Angelica Grivèl Serra*

 

Sono le cinque di un pomeriggio d'autunno che mostra già la sua veste invernale, e quando il direttore d'orchestra Leonardo Sini risponde al telefono, la sua voce, che custodisce palpabili strascichi del roco di un'infanzia amata, trasuda una indefinibile flemma. C'è un che di pacato e formale nel suo parlare che si svela però quasi subito ingannevole: si accende d'un tratto, animandosi, nel momento in cui s'innesta il dialogo sulla musica e sulla sua vita lavorativa. L'entusiasmo dei suoi trent'anni si percepisce ora tutto, mentre declina in racconto i più recenti trionfi e l'importanza delle origini sarde come felice trampolino di lancio per la sua precoce, vividissima carriera.

Nato e cresciuto a Ploaghe, in provincia di Sassari, Leonardo Sini incontra la musica a nove anni: la banda del paese, che si esibisce durante le feste estive, è la sua prima scuola. La tromba è il suo stendardo; traccia la via che lo condurrà poi a voler fare della musica il soggetto della sua vita e degli studi. Suonando la tromba, infatti, gli capita sempre più assiduamente di suonare anche in orchestra. Ne conosce le dinamiche, impara ad apprezzarle; dopo il diploma al Conservatorio di Sassari, frequenta la prestigiosa Royal Academy of Music, facoltà dell'Università di Londra. Forse è proprio Londra a schiudere davvero le sue ambizioni più preziose: è lì, infatti, che Leonardo Sini, in quanto studente dell'Accademia, può accedere alle prove dei concerti; ed è proprio così che apprende per la prima volta la magia e il potere di quella sola figura che, dal podio, con i moti di una mano e una bacchetta, dirige l'orchestra, orientandone il suono, l'intensità, i gesti.

È un'epifania.

Un master di direzione ad Amsterdam è la possibilità di un sogno; non è facile, addirittura un centinaio di ambizioni si contendono il posto nel corso inflessibilmente selettivo, le fasi si susseguono come sfide, un corpo a corpo con la tensione: infine, Sini è incluso tra gli unici due ammessi. Amsterdam è il vero campo di addestramento per lui che ormai sa di voler diventare direttore d'orchestra. E dopo la laurea in direzione, segue un concorso che lo fa approdare in Ungheria, una vittoria importante dalla quale si diramano poi tutti gli atti effettivi del percorso lavorativo del giovanissimo.

Ho imparato che dedicare il tempo della nostra vita ai nostri sogni, ai nostri progetti, alle nostre ambizioni è molto sano, ma non è tutto. Nulla può essere costruito pensando solo a se stessi.

Sini dice di sé di essere equilibrato, tenace e riflessivo, nel quotidiano, ma anche quando è la musica a prender vita per lui e con lui. E non è un caso che essenzialmente il quotidiano e la musica, nella sua esistenza, coincidano.

Mantiene un tono composto e quasi asettico, quando gli si domanda se e quanto sia difficile relazionarsi all'orchestra e al fatto che molti dei suoi stessi membri siano sovente ben più attempati di lui: crede fermamente nella concentrazione, nell'arrivare già a partire dalla prima prova di un concerto con un'idea molto sicura su quel che si vuole trasmettere e sul come comunicarlo. In fondo, aggiunge, quando si produce musica, le età e qualsiasi tipo di differenza tra le persone non esistono più: si diventa unisono.

Reduce dal suo ultimo successo, un'opera di Puccini a Sassari, eseguita senza il pubblico in teatro per ragioni ovvie dovute all'attuale emergenza sanitaria, Leonardo Sini auspica una platea gremita al più presto, perché il silenzio di un pubblico invisibile è un'esperienza fortemente straniante. Non è forse l'uditorio che nutre l'opera? Perché, in fondo, questa è la vera magia della musica: conduce. Sia chi la fa, che chi la ascolta.

 (Foto ©Laila Pozzo)

 

Come vedi te stesso tra dieci anni?

Mi vedo sul podio a dirigere un concerto o un’opera lirica. Voglio credere fermamente che questo momento buio passerà presto e che la bellezza della musica potrà aiutare tutti noi a ricostruire ciò che questo terribile virus avrà distrutto. Una sorta di rinascimento culturale che vedrà impegnati Artisti di tutto il mondo che, rimboccandosi le maniche, ricominceranno a distribuire bellezza, sogni, passione, amore per la musica e le arti. Spero di poter partecipare a questa rinascita e ripartenza con le mie forze e con l’energia della mia passione!

Qual è il trionfo cui sei più affezionato?

Aver compreso che il tempo è un principio molto relativo. Aver compreso che nulla è definito, nulla è sicuro, nulla è assoluto. Queste sono per me grandi conquiste. Ho imparato che dedicare il tempo della nostra vita ai nostri sogni, ai nostri progetti, alle nostre ambizioni è molto sano, ma non è tutto. Nulla può essere costruito pensando solo a se stessi. Bisogna donarsi agli altri; a coloro che si amano, a coloro che ti accompagnano nella vita, a coloro che ripongono fiducia in te e che ti sostengono; bisogna farsi sentire presenti, farsi sentire complici, lasciare che la propria energia si trasferisca agli altri. Queste sono le migliori lezioni che potessi desiderare di imparare in questo momento così eccezionale e, devo ammettere, rappresentano per me una conquista personale pari ad un trionfo professionale, anzi, decisamente più importante.

Cosa significa per te il tuo fare arte, in un mondo in cui la cultura in tutte le sue forme è più che mai necessaria e salvifica?

Credo che il significato e lo scopo, in questo particolarissimo momento, per tutti coloro che svolgono una professione artistica, siano quelli di essere considerati 'necessari' in una società che corre, che si distrae, che è molto propensa a consumare tutto e subito; una società vorace di cose effimere, di cose fruibili e facili che facciano riflettere poco ma che appaghino con velocità e con poca riflessione. In questo contesto occorre avere pazienza, costanza, dedizione, essere sempre consci che in realtà siamo tutti necessari e che la musica, e più in generale l’Arte, sono veicolo di sviluppo di un pensiero critico, di una coscienza sociale e collettiva, di una capacità di giudizio che può essere allenata e vissuta attraverso le differenti forme espressive del talento umano. Il mio ruolo deve essere questo. Devo credere che dopo tutto questo disastroso momento che abbiamo vissuto, ci possa ancora essere un bambino che si innamora di un tubicino con i pistoni di ottone e che voglia imparare a suonarlo, ci sia ancora un bambino che rimane sorpreso ed affascinato ascoltando 'L’apprenti Sorcier' di Dukas e che ne cerchi di scoprire la musica. Che ci sia ancora la possibilità di meravigliarsi e di innamorarsi di una forma artistica. Ecco, vorrei essere veicolo di amore e di passione. Sarebbe una meravigliosa esperienza umana e professionale.

 

 Angelica Grivèl Serra

Angelica Grivèl Serra nasce a Cagliari dove vive e studia filosofia, ma rivendica con fierezza le origini ulassesi per parte materna. Nel 2015 vince a Roma il Concorso Letterario Nazionale ‘Diregiovani Web - La creatività fa scuola’. Intraprende poi una collaborazione con L’Unione Sarda. Ha inoltre scritto per svariate testate, cartacee e online: una rubrica di racconti sul portale web Sardinia Fashion, recensioni di libri su Satisfaction, pezzi di cronaca su Vistanet, una rubrica con Scuolazoo. ‘L’estate della mia rivoluzione’ è il suo romanzo d’esordio, edito da Mondadori, pubblicato il 3 Giugno 2020.

 (Foto Copertina ©Laila Pozzo)

 

Articolo realizzato per il progetto "FocuSardegna a più voci"

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