Sardo di nascita, romano d'adozione. Flavio Soriga, classe 1975, è uno tra i narratori italiani più apprezzati e premiati dell'ultimo decennio. Esordisce nel 2000 con la raccolta di racconti Diavoli di Nuraiò, pubblicato dalla casa editrice sarda Il Maestrale, e subito è vincitore del Premio Italo Calvino. Nel 2002 pubblica Neropioggia, romanzo vincitore del Premio Grazia Deledda Giovani 2003. Nello stesso anno Soriga rappresenta l'Italia al progetto Scritture Giovani del Festivaletteratura di Mantova. È stato uno degli ideatori del festival letterario di Gavoi “Isola delle storie”, è direttore artistico del festival “Settembre dei poeti” di Seneghe e del Piccolo Festival della Leggerezza dell’Argentiera (Sassari). Flavio Soriga scrive su quotidiani e periodici, tra i quali "La Nuova Sardegna", "L'Unità" e la rivista "E" di Emergency, inoltre è stato autore per alcuni programmi televisivi.
Nel 2007 l'Università di Vienna gli assegna la donazione per giovani scrittori della Fondazione Abraham Woursell. Nel 2008 è invece il romanzo Sardinia Blues, con il quale il giovane scrittore vince il Premio Mondello città di Palermo. Nell'ottobre 2009 vince il Premio letterario Piero Chiara con la raccolta di racconti L'amore a Londra e in altri luoghi. Nel 2010 ha pubblicato il romanzo Il cuore dei briganti, finalista Premio Rieti. Le ultime fatiche letterarie sono Nuraghe Beach del 2011 e Metropolis uscito quest'anno. Lella Costa lo descrive come un autore che «compone pagine perfette, con la sapienza dello scrittore e la grazia del jazzista».
Che cosa faceva Flavio Soriga prima di buttarsi nella scrittura? Ho pubblicato il primo libro, dopo avere vinto il Premio Calvino per inediti assoluti, a venticinque anni. Prima di allora avevo provato a fare il giornalista, poi studiato un po', viaggiato quel che potevo. E me n'ero andato da Uta, il mio paese campidanese che adesso mi piace tanto, ma che a quei tempi dovevo lasciare a tutti i costi.
Dieci anni fa hai rappresentato l'Italia al progetto “Scritture Giovani” del Festivaletteratura di Mantova. Per te, quante cose sono cambiate da allora? Tutto. Forse è vero, come dice sempre Milena Agus, che si diventa scrittori solo dopo avere pubblicato cinque libri. O forse non si conquista mai il diritto di proclamarsi tali, ma certamente perlomeno per fortuna si conquista un po’ di abitudine ad affrontare le asprezze di questo lavoro, che sono soprattutto questo: l’incertezza nei propri mezzi, la paura continua di non avere più niente da dire. Ecco, questa paura è rimasta la stessa di quegli anni, ma almeno mi sono un po’ abituato a pensare che ci sarà sempre.
Sardinia Blues, Premio Mondello 2008, un romanzo in cui il filo conduttore è la talassemia. Com'è stato mettersi a nudo e ironizzare su questa tua compagna di vita? È stato necessario.
L'ultimo anno è stato l’Annus Horribilis per l’editoria italiana. Le vendite di libri continuano a calare. C’è qualcosa che editori e librai dovrebbero fare o dovrebbero evitare? C’è sicuramente, ma credo sia bene che ognuno faccia il suo mestiere senza dare consigli a nessuno!
Sei direttore artistico del Festival “Settembre dei Poeti” di Seneghe e “Sulla Terra Leggeri” di Sassari/Argentiera. Quanto è importante portare la cultura e i libri nelle piccole comunità sarde? A dire il vero sono stato uno dei fondatori del festival di Gavoi (ricordo sempre con un’emozione enorme la telefonata che feci ad Aurelio Pullara, allora libraio di Gavoi, dicendogli che mi era venuta l’idea di cominciare a lavorare al progetto di un primo festival letterario in Sardegna) poi di quello di Seneghe, ma ultimamente mi dedico soprattutto al progetto dell’Argentiera, che è, secondo me, un festival unico al mondo: parliamo di tutto, dai libri alla televisione, dal cinema al teatro, con intorno a noi la meraviglia di una piccola spiaggia deserta, delle rovine del vecchio borgo minerario, dei silenzi della Nurra. Una sorta di Woodstock della cultura, un posto dove tutti gli ospiti vogliono tornare, anno dopo anno. Portare la cultura e i libri nelle piccole comunità sarde è necessario. Quanto sia utile, è davvero difficile dirlo. Ma provarci è, appunto, un dovere.
Sei l'autore più giovane della nouvelle vague sarda. Cosa pensi della rinascita della letteratura sarda di questi ultimi anni? Non sono più giovane da dieci anni, temo. Della meravigliosa abbondanza di storie nate in Sardegna e lette in tutta Italia e in gran parte d’Europa penso tutto il bene possibile, anche se non ho idea del perchè sia successo proprio adesso, e non venti o trent’anni fa.
Nella tua vita non c'è solo la scrittura. Organizzi festival, reading letterari e musicali, insegni, partecipi a vari incontri, ospitate in tv & radio, fai l'autore di programmi televisivi. Qual è la dimensione in cui ti trovi più a tuo agio? Tutte quelle in cui faccio ciò che mi piace, senza servilismi e senza vincoli.
Consigliaci una lettura. Le Carrè, vanno bene tutti. E Luciano Marrocu, Faruk, Dalai editore
Il tuo romanzo Nuraghe Beach è una sorta di "contro-guida" della Sardegna, che itinerario di viaggio consiglieresti oggi a un turista che arriva nell'isola? Cagliari o Alghero, poi perdersi dove capita!
Come vedi, nel panorama socio-politico sardo di oggi, lo stato, il ruolo, la funzione e le prospettive della cultura? C’è una scrittrice candidata a Presidente della Regione, c’è un circuito di eventi culturali come Liberos che porta in Sardegna decine di scrittori nazionali, ci sono molti festival e molti scrittori: mi sembra, sinceramente, un buon momento. Bisogna naturalmente continuare a lavorare, lottare e non accontentarsi mai. Anche perchè nei momenti di difficoltà economica come questo la cultura rischia più che mai di venire considerata un lusso di cui si può fare a meno.