Roberto Bornioli, classe 1957, è presidente della Confindustria Sardegna Centrale dal 2011. Laurea in Ingegneria all’Università degli studi di Cagliari, è da trent’anni dirigente e amministratore di importanti aziende del comparto minerario ed energetico. Per dieci anni è stato presidente della Commissione cave e miniere di Confindustria. È esperto in problemi legati alla sicurezza e alla prevenzione del rischio sui luoghi di lavoro. Dal 2013 è delegato di Confindustria Sardegna per i temi energetici. Con lui abbiamo parlato dello stato di salute delle imprese sarde dedicando una particolare attenzione alle problematiche di quelle che operano nel centro Sardegna. Tra gli altri temi trattati: tasse, burocrazia e politica regionale.
Partiamo
1. Qual è l’attuale situazione del sistema imprenditoriale italiano e più nello specifico quella della Sardegna Centrale? Che reazioni ci sono state dopo la crisi finanziaria che ha colpito il Paese? Quali sono le nuove esigenze che l’industria deve soddisfare?
I danni inferti dalla recessione al sistema imprenditoriale italiano sono pesantissimi. Tra il 2007 e il 2013 il PIL nazionale è sceso di oltre l’8% ed è tornato ai livelli del 2000. Nessun altro paese dell’Eurozona ha attraversato una simile caduta, ad eccezione della Grecia. La produzione è crollata del 25%, in alcuni settori di oltre il 40%. Negli ultimi cinque anni oltre 70mila imprese manifatturiere hanno cessato l’attività e in questi anni è stata erosa gran parte della redditività aziendale. Gravissime anche le conseguenze sul tessuto sociale: abbiamo 3,3 milioni di disoccupati e un tasso di disoccupazione giovanile al 42,2%.
Venendo alla Sardegna centrale osserviamo che gli effetti della crisi sono stati ancora più devastanti. Sono scomparsi interi settori produttivi a partire dalla grande industria tessile, la chimica è ridotta al lumicino, l’edilizia è crollata, il turismo è in forte difficoltà, idem per il settore agricolo-pastorale. Negli ultimi decenni il nostro territorio è stato attraversato da un progressivo processo di deindustrializzazione cui non è seguito un parallelo processo di riconversione.
Cosa fare dunque? Per rilanciare il nostro territorio dobbiamo puntare su un’economia integrata, dove convivano industria, agricoltura, turismo e servizi. Credo che comunque la via di uscita dalla crisi passi dal rilancio delle produzioni manifatturiere, tra i quali va citato anzitutto il settore agroalimentare. Senza manifatturiero e senza industria non può esserci crescita sostenibile. Occorre inoltre puntare sui settori produttivi esistenti che offrono maggiori garanzie, e penso per esempio all’industria estrattiva di Orosei e Orani e al rilancio del settore delle costruzioni tramite un nuovo impulso all’edilizia scolastica e al recupero dei centri storici. Occorre infine promuovere lo sviluppo di nuovi settori a partire dalla valorizzazione delle risorse di cui disponiamo, e penso all’importante patrimonio culturale e all’industria della cultura a Nuoro e dintorni; penso poi allo straordinario patrimonio ambientale della Sardegna centrale da valorizzare a fini turistici e produttivi, soprattutto nelle zone interne.
Quanto alle nuove esigenze che l’industria deve soddisfare penso a tre fattori principali: non ci sarà crescita senza innovazione tecnologica, senza export e senza qualità del prodotto, il tutto declinato in un’ottica di compatibilità e sostenibilità ambientale. Per esempio le produzioni del Distretto del Marmo di Orosei rispettano in pieno tutte e tre queste caratteristiche: a ciò è dovuto il loro successo.
2. Quale è lo stato di salute dell’industria in Italia ed in Sardegna e come viene percepita nella nostra isola?
Nonostante la crisi, l’Italia resta il secondo Paese manifatturiero d’Europa e il quinto al mondo. Dall’industria deriva non solo il 17% del Pil nazionale (il doppio se si considera l’indotto) ma anche l’80% dell’export italiano. È l’industria a creare i posti di lavoro più qualificati e meglio retribuiti e la maggior parte degli investimenti in ricerca e innovazione. Ogni euro fatturato nell’attività manifatturiera genera almeno un altro euro di attività nel resto dell’economiagrazie alla capacità delle attività industriali di moltiplicare il valore aggiunto negli altri settori.
È evidente che per riprendere a crescere il sistema Italia deve far perno sul settore industriale, e in particolare sul manifatturiero, motore della nostra economia e unico settore in grado di riattivare gli altri comparti produttivi perché acquista beni e servizi prodotti dagli altri settori.
In Sardegna, nonostante la crisi, le sole industrie petrolifera, chimica e metallurgica valgono ancora il 91% dell’export regionale che complessivamente ammonta a 5,4 miliardi di euro. Dei restanti 447 milioni di euro, 168 sono imputabili all’agroindustria e solo 6 milioni ai prodotti agricoli. Anche in Sardegna pertanto l’industria è fondamentale, in particolare quella manifatturiera. Probabilmente viste le difficoltà della cosiddetta grande industria occorre puntare su un manifatturiero più leggero e più compatibile con altre vocazione economiche isolane come il turismo, l’agricoltura, l’ambiente e le industrie culturali. Ma per fare ciò occorre progettare e attuare una seria politica industriale e produttiva, compito questo di chi ci governa. Finora è mancata sia la programmazione che il progetto.
Quanto all’immagine dell’industria, non si può non rimarcare che si sta sviluppando in Sardegna una cultura antimprenditoriale ed antindustriale che si sta estendendo ormai a tutti i settori produttivi. La responsabilità è della crisi e di certi fallimenti che hanno creato sfiducia, e di alcuni casi di inquinamento ambientale che hanno creato diffidenza. Ma non si può generalizzare e fare d’ogni erba un fascio. Certe situazioni vanno condannate con severità ma occorre sempre ricordare che è l’impresa che crea occupazione e lavoro, e che la stragrande maggioranza delle imprese sono sane e capaci.
3. I costi dell’energia incidono fortemente sulla competitività delle imprese italiane e sarde: esiste una questione energetica in Italia e in Sardegna?
Sul tema energia sussistono due problematiche principali:
a) la Sardegna è l’unica regione in Italia a non avere il gas metano;
b) le imprese sarde sopportano una bolletta energetica del 50% più alta rispetto ai concorrenti europei, divario che vale 2.700 € all’anno ad impresa e complessivamente 300 milioni di € all’anno a livello regionale.
Nel nostro dossier sulle infrastrutture nel Nuorese è emerso con chiarezza che l’arrivo del gas metano è al primo posto nella classifica delle priorità segnalate dagli imprenditori. L’arrivo del metano è fondamentale per l’isola, e dopo lo stop al progetto Galsi è quanto mai urgente che la Regione prenda una posizione chiara su come far arrivare il gas in Sardegna, se per mezzo di rigassificatori o attraverso un collegamento con la penisola. Occorre poi affrontare quanto prima il problema della distribuzione capillare del gas sul territorio e procedere sin da subito alla realizzazione della dorsale e delle reti di adduzione secondarie in modo da portare il metano in tutte le aree industriali, PIP e nei centri abitati della Sardegna centrale.
Altre questioni: cosa intende fare la Giunta Regionale relativamente alla ricerca ed estrazione del metano ed altri idrocarburi in Sardegna? E sulla realizzazione di impianti per la produzione di energia rinnovabile?
Per avere risposte a tutte queste tematiche occorre che la Regione approvi in tempi stretti il Piano Energetico Regionale che indichi in modo univoco la politica energetica in Sardegna. Da chi ci governa ci aspettiamo scelte chiare, certezza del diritto e procedure autorizzative rigorose ma snelle. L’energia è un asset strategico, ma abbiamo necessità di avere risposte nette su: arrivo del metano, infrastrutture energetiche, sfruttamento del gas e delle risorse fossili che giacciono nel nostro sottosuolo, scelte sulle rinnovabili. Come pure è importante capire quale sarà il mix delle fonti: quanto eolico, quanto fotovoltaico, quanto carbone, ecc.
4. Troppe regole ed aliquote elevate. Quale dei due mali è, secondo lei, il peggiore?
Tra burocrazia soffocante e fisco oppressivo non c’è scelta, sono i principali mali del sistema Italia. Entrambi impattano sulle imprese ostacolandone in molti casi la crescita e bloccando nuovi investimenti, specie quelli esteri. Sul fronte della burocrazia, occorre avviare un serio ed efficace processo di semplificazione della pubblica amministrazione, inefficiente ed elefantiaca. Ormai da tempo si parla di semplificazione, ma paradossalmente negli ultimi 10 anni le cose sono notevolmente peggiorate. Ciò che preoccupa di più è che sempre più spesso la burocrazia tende a prevalere sulla politica e spesso ne annulla anche le poche azioni efficaci. La politica deve riconquistare il proprio ruolo di guida, mostrando di essere capace di mettere ordine e di semplificare. Dobbiamo riconoscere che il presidente Pigliaru ha mostrato di essere molto sensibile su questo punto e pare voler affrontare il tema con forza. La riforma della macchina amministrativa regionale, lenta e farraginosa, è necessaria e non più rinviabile. Fronte tasse: l’eccessiva pressione fiscale sta strangolando le imprese. Nel 2013 la tassazione si è attestata al 43,8% del PIL e l’incidenza del carico fiscale sui redditi d’impresa in Italia è tra le più alte in Europa. La riduzione delle tasse è dunque una priorità: bene ha fatto la Regione a intervenire sull’IRAP tagliandola del 70% e bene farebbe il Governo a intervenire sul cuneo fiscale che grava sulle imprese e sui lavoratori, come sollecitato dalla stessa Confindustria nazionale.
5. Elevati costi dei trasporti e una situazione infrastrutturale preoccupante. Quanto è difficile fare impresa nel nuorese?
Fare impresa nel Nuorese è molto difficile. E ancora più arduo è fare impresa nelle zone interne dove la carenza di infrastrutture e i costi superiori per l’energia ed i trasporti sono fattori che ci penalizzano. I dati sulle nostre carenze infrastrutturali sono stati confermati di recente dall’Atlante della competitività delle province italiane elaborato dall’Istituto Tagliacarne: pensate che fatta 100 la dotazione infrastrutturale in Italia, e 51 quella sarda, l’indice 2012 della provincia di Nuoro si attesta al 23,9 in calo di ben 12 punti rispetto al 2001. E gli imprenditori sanno bene di cosa stiamo parlando, costretti a operare in aree industriali e PIP che sembrano in molti casi “dimenticate da Dio e dagli uomini” prive come sono di infrastrutture e servizi basilari come l’acqua, fognatura, internet e linee telefoniche.
Di recente come Confindustria abbiamo realizzato un’indagine e sulla base di interviste dirette a 250 imprenditori, abbiamo elaborato un Dossier sulle infrastrutture prioritarie che servono al Nuorese. Il documento è a disposizione del Territorio e della Regione, alla quale abbiamo chiesto di preparare un Piano per le infrastrutture per il Nuorese anche sulla base delle indicazioni date dagli imprenditori nell’indagine.
Che cosa è emerso? Sul fronte delle reti viarie le priorità sono: il potenziamento della SS 129 Nuoro-Macomer; il completamento della SS 389 Nuoro – Tortolì; il miglioramento della SS 131 dcn, la realizzazione della strada delle cave a Orosei e della Trasversale sarda Tortolì – Oristano. Per quanto riguarda le reti telematiche, in tutte le aree produttive si riscontrano forti difficoltà di accesso a Internet: in testa alle esigenze delle imprese c’è infatti il cablaggio in fibra ottica negli insediamenti produttivi. Sul fronte delle reti energetiche invece la priorità è l’arrivo del metano e la realizzazione del gasdotto che serva in modo capillare aree industriali, aree PIP e centri abitati.
Per colmare il gravissimo divario infrastrutturale servono soprattutto investimenti. Eppure nonostante le evidenti carenze, nell’ultima Intesa Generale Quadro– che è l’Accordo Stato-Regione in cui si programmano le infrastrutture strategiche da realizzare nei prossimi tre anni – del febbraio 2014 solo lo 0,8 % delle risorse stanziate e disponibili sono destinate al Nuorese, appena 20 milioni di euro sui 2,5 miliardi disponibili a livello regionale.
Un’adeguata infrastrutturazione può incidere anche sul problema dell’alto costo dei trasporti, un altro fattore che incide negativamente sulle performance aziendali. Bisogna intervenire per garantire una vera continuità territoriale delle merci, e a questo proposito ci chiediamo per esempio che fine abbiamo fatto quei 18 milioni di euro in tre anni stanziati appena due anni fa dalla Regione per il trasporto merci e finiti nel dimenticatoio.
6. Apprezzate ciò che è stato fatto dalla Regione in merito alle aree di crisi? Cosa chiedereste alla nuova giunta?
Ecco un esempio di inefficienza e burocrazia soffocante. Finora i Piani di Sviluppo Locale sono stati una vera delusione. Primo perché il progetto pilota avviato a Tossilo nel 2009, a parte alcuni casi virtuosi, nel complesso non ha inciso sull’economia del territorio. Secondo perché gli ulteriori interventi previsti già da due anni per la Sardegna centrale sono ancora sulla carta. Infatti, per le Aree di crisi di Pratosardo, Siniscola, Ottana ed ancora Tossilo, a seguito di un lunghissimo iter preparatorio iniziato nel 2011, a luglio 2012la Giunta regionale ha stanziato 50 milioni di euro per incentivi alle imprese proprio nei settori che ritengo prioritari: manifatturiero, agroalimentare e turismo. Sono previste anche risorse per azioni di contesto, infrastrutture e formazione. Noi crediamo nello strumento e ci siamo impegnati molto, prima per ottenerlo, e poi per diffonderlo presso le imprese, ma non è possibile attendere anni prima di veder realizzati i programmi previsti. È la solita politica degli annunci che poi non si concretizzano. Le aziende hanno forti aspettative, ma non si può chiedere agli imprenditori di elaborare piani di investimento e poi disattendere gli impegni a causa della burocrazia e dei tempi lunghi.
Alla nuova Giunta chiediamo di accelerare l’iter e soprattutto semplificare le procedure perché al momento siamo ancora fermi: l’avvio della seconda fase per la presentazione del piano d’investimento è fissato al prossimo 29 aprile. Per accelerare suggeriamo di creare una task-force di tecnici dedicati unicamente alla Sardegna Centrale. Altro punto importante è poi l’attivazione dei progetti per il Territorio Svantaggio della Barbagia-Mandrolisai, riconosciuto da una delibera della Giunta regionale a ottobre 2013 ma rimasto di fatto inattuato. Occorre pertanto attivare subito le procedure destinando anche le risorse necessarie.
7. Più in generale, quali sono, secondo Lei, le iniziative o gli investimenti che bisogna perseguire per arrivare a ottenere un risanamento dell’economia?
Riferendoci in particolare al nostro territorio, occorre un Progetto ad hoc per la Sardegna centrale e le sue zone interne. E ciò sulla scorta di quanto fatto in altri territori, e penso al progetto della chimica verde a Porto Torres, agli investimenti fatti per la Sassari-Olbia e ai programmi di sviluppo previsti per il Sulcis.
Spopolamento, crisi economica, arretramento dello Stato e messa in discussione dei servizi essenziali, scuola e sanità in primis. Il nostro territorio è sempre più un’isola nell’isola che perde progressivamente competitività, non solo rispetto ai concorrenti esteri ma rispetto al Mezzogiorno d’Italia. Pensate che dal 2001 al 2011 le zone interne della Sardegna – che rappresentano il 64% della superficie regionale e il 33% della popolazione – hanno perso 17.682 abitanti. E si stima che l’ulteriore spopolamento provocherà sia un abbassamento dei livelli di reddito (si calcola un meno 15% nel 2020), sia una contrazione nel numero delle imprese. Dati preoccupanti considerando che già oggi il 70% delle aziende sarde è localizzata sulle coste.
Per evitare che la Sardegna si trasformi in una ciambella con un buco al centro e il nostro territorio si riduca a meta dei vacanzieri della domenica, è necessario un riequilibrio territoriale. Per questo chiediamo a gran voce che i problemi della Sardegna centrale e delle sue zone interne siano tra le priorità dell’agenda politica della nuova Giunta regionale. Bisogna agire su due fronti: da una parte, sostenere e consolidare le attività esistenti, soprattutto il manifatturiero, il lapideo ed il turismo, ma dall’altra occorre puntare su settori innovativi.
Nel documento che abbiamo consegnato al presidente Pigliaru abbiamo indicato sei punti programmatici da inserire nel Progetto:
1) elaborazione e realizzazione di un Piano straordinario per le infrastrutture;
2) valorizzazione dell’ambiente a fini turistici e produttivi con l’istituzione di aree naturali protette e di marchi d’aree: per esempio sollecitiamo la Regione a chiudere al più presto l’iter di istituzione del parco di Tepilora tra Bitti, Lodè, Posada e Torpè;
3) investire sul patrimonio e sull’industria culturale del Nuorese, considerando anche le importanti ricadute che il settore culturale ha sul turismo e sull’agroalimentare;
4) sostegno alle imprese, non solo attraverso gli interventi per le Aree di crisi ma anche tramite forme di fiscalità di vantaggio, come previsto per il Sulcis;
5) attuare un efficiente decentramento dell’amministrazione regionale sul territorio. Per esempio trasferiamo a Nuoro l’assessorato regionale all’Ambiente, senza creare duplicati e senza spese aggiuntive, anche considerando la ricchezza del patrimonio ambientale e paesaggistico del centro Sardegna;
6) investire sull’istruzione, sull’università nuorese e sull’alta formazione.
Le risorse necessarie per il Piano possono provenire in buona parte dai fondi comunitari delle programmazione 2014-2020.
8. Lei si è espresso particolarmente favorevole agli investimenti nel settore culturale e, nello specifico, si sta adoperando per favorire l’istituzione di un distretto culturale nel nuorese. In che modo crede che la Cultura possa rappresentare una leva di sviluppo per i territorio e generare, cosi, maggiore valore aggiunto?
Il settore culturale rappresenta già oggi un pezzo importante della nostra economia locale. I numeri sono interessanti: nel Nuorese si registrano più di 1500 imprese, 2700 occupati e 106 milioni di valore aggiunto ma si potrebbe fare molto di più, anche considerando la ricchezza di beni di cui il Territorio dispone. Nuoro ha dato i natali a un Premio Nobel, ma non solo. Il patrimonio culturale è ricchissimo e di pregio. In tutta la provincia operano enti, associazioni, intellettuali e artisti di prestigio e in generale c’è un grande fermento. Eppure non esiste un vero e proprio sistema culturale, manca un adeguato coordinamento tra gli enti e l’integrazione tra i settori è scarsa. Faccio un esempio per tutti: pochi turisti delle coste vengono a visitare i musei ed i beni culturali dell’interno. È assente un sistema cultura, le collaborazioni tra pubblico e privato sono insufficienti e andrebbero implementante. Sono tante le cose che potrebbero essere fatte: pensiamo a un calendario unico degli eventi; a un biglietto unico dei musei; ad un unico portale web con l’offerta turistica. Penso a una Nuoro Card. Se andiamo a Parigi c’è la Parigi card, idem a Londra. La Nuoro Card potrebbe comprendere un pacchetto con la visita ai musei, con gli sconti in alberghi e negozi, visite ai laboratori di artigianato e dell’agroalimentare. Ci sarebbero tante azioni da intraprendere e tantissimi “prodotti” che noi potremmo venderci, per fare economia e creare occupazione, mantenendo le nostre identità e specificità. E a questo proposito voglio citare la Fondazione Barumini che con i suoi 66 dipendenti e 100mila visitatori all’anno rappresenta la più grande azienda sarda del settore, un’eccellenza anche sul panorama nazionale in grado in buona parte di autofinanziarsi.
9. Diritto alla Salute e Diritto al Lavoro. Come si pone in merito a questa tanta dibattuta questione che, a più riprese, ha coinvolto anche alcune delle aree industriali del nostro territorio.
Entrambi i diritti sono sacrosanti e non devono essere messi in contrapposizione. Oggi, le leggi e le normative in vigore a livello europeo, nazionale e regionale garantiscono lo svolgimento di attività industriali e produttive compatibili con la salute e la tutela ambientale. In particolare la normativa italiana è tra le più rigorose e severe in assoluto, e le procedure autorizzative sono fin troppo rigide, lunghe e complesse. Nel caso di gravi violazioni delle leggi e qualora siano accertate gravi ripercussioni sulla salute ed sull’ambiente, ritengo corretto l’intervento della magistratura. Spesso comunque i casi gravi di inquinamento ambientale e di danno alla salute sono determinati da attività nate tanti anni fa, quando la normativa era molto più blanda e la sensibilità dell’opinione pubblica in materia era molto meno rigorosa. Può succedere che gli effetti negativi sulla salute o sull’ambiente si materializzino solo ora, ma è sbagliato legare situazioni createsi in anni lontani alle industrie attuali.
Ambiente e salute sono valori fondamentali, ma in questa fase storica abbiamo un disperato bisogno di creare impresa ed occupazione. Invece sembra quasi che ci siamo dimenticati del concetto di sviluppo sostenibile, cioè il rendere compatibile la crescita economica con la tutela ambientale e la salute, se ne parla ormai poco. E non solo, in alcuni settori dell’opinione pubblica vi è un pericoloso risveglio della sindrome nimby, che prevede di poter attivare le iniziative imprenditoriali, ma anche i progetti a valenza pubblica che possono creare impatto, solo lontano da casa propria.
Secondo la logica nimby si producono rifiuti ma non si vogliono gli impianti di smaltimento, si utilizza l’energia (illuminazione, riscaldamento, auto, ecc.) ma non si vogliono le centrali di produzione né tantomeno i pozzi di estrazione. Insomma si godono i benefici della tecnologia e della vita moderna ma non si accettano gli eventuali e potenziali svantaggi che ciò comporta. Non mi pare né giusto né morale utilizzare il petrolio estratto magari in un paese del terzo mondo per la propria auto, per la propria casa e per le proprie necessità, rifiutando a priori ed a prescindere di estrarlo vicino a casa propria.
Io sono contro i no a prescindere. Oggi ci si oppone a prescindere e con pregiudizio a tutto, magari senza conoscere le leggi, e questo avviene ormai in tanti settori: industriale ed energetico, ma anche turistico, estrattivo ed infrastrutturale. Spesso si evocano strumentalmente ambiente e salute, senza aspettare la definizione degli iter autorizzativi e la valutazione dei risultati, come se il fare impresa sia sempre e comunque incompatibile. Comitati del no e gruppi di pressione, che spesso costituiscono delle minoranze, si oppongono a priori alla realizzazione di impianti energetici ma anche di cave, alberghi, strade, campi da golf, impianti di smaltimento rifiuti, ecc. .
Ovviamente non tutto potrà essere realizzato, non tutti i progetti sono validi, non tutte le iniziative creano sviluppo e ritorni tangibili per la collettività. Per valutare tutto ciò ci sono le leggi, ma occorre soprattutto che chi ci governa si assuma le proprie responsabilità, faccia delle scelte chiare a favore della collettività e prenda le opportune decisioni.
10. Parliamo di giovani. Secondo la sua esperienza quali capacità deve avere un giovane che voglia oggi fare impresa in Italia?
Fare impresa oggi nel nostro territorio è qualcosa di eroico, e ancora più duro è per i giovani avviare una nuova attività. Non abbiamo uno Stato che aiuta come dovrebbe in questo senso. Non ci sono strumenti efficaci e incisivi che sostengano chi vuole fare impresa, come invece accade in altre realtà. Basti pensare alla scuola. I nostri giovani escono dagli istituti superiori con una discreta preparazione ma con poche abilità professionali. In altri paesi Europei vengono adottate diverse strategie e uno degli obiettivi principali della formazione delle nuove generazioni è quello di aiutarle nella scoperta della propria vocazione lavorativa e professionali. Pensiamo per esempio alla Germania dove è prevista l'alternanza scuola - lavoro e i ragazzi obbligatoriamente svolgono esperienza presso le aziende e non solo ore di studio in aula. Questo è un beneficio sia per i ragazzi, perché un giovane ha la possibilità di vedere come funziona un' impresa e viene dotato degli strumenti utili per scegliere la propria strada imprenditoriale, sia per le imprese che sono agevolate nella ricerca di giovani capaci e motivati da formare e introdurre nel proprio team. In Italia abbiamo una società caratterizzata da una mobilità bloccata che non mette in grado un giovane di rischiare e di emergere premiandone il merito e i talenti. Ecco perché sarebbe importantissimo sbloccare il sistema a iniziare dall'abbattimento delle tasse sul lavoro e sull'impresa. In ogni caso, nonostante queste difficoltà, un giovane ce la può fare come dimostrano i tanti esempi di giovani che, anche nei nostri territori, si mettono in gioco e ottengono brillanti risultati. Devi essere un po’ folle e visionario e capace di immaginare il domani. Certo, per creare un'impresa propria occorre lavorare tantissimo e duramente, credere in se stessi, puntare sulla conoscenza (tecnologica in primis), senza trascurare un aspetto che ritengo molto importante ossia avere la capacità di crearsi un network di relazioni, esigenza oggi fondamentale per raggiungere la propria meta.
Simone Tatti