A prima vista sembra brutto e cattivo, con tutte quelle spine sottili e fastidiose che non incoraggiano di certo ad avvicinarsi. Invece ha un cuore saporito e benefico. I vecchi dicono che la sua polpa, messa su una ferita, dà sollievo e favorisce la cicatrizzazione. I medici dicono che ha proprietà antiossidanti. Mentre chi ha alzato un po’ troppo il gomito può curarsi l’intossicazione alcolica ingerendone qualche etto. Insomma, su figu morisca (il fico d’India), ricco di vitamine, scoppia di salute e, a mangiarlo, ne trarrete beneficio anche voi.
Gli studiosi ritengono sia un frutto originario dell’America centrale, arrivato in Europa con Cristoforo Colombo. Per quanto riguarda l’Italia, è possibile trovarlo in Puglia, Calabria, Sicilia e, ovviamente, Sardegna. Sull’isola la sua pianta cresce spontaneamente tra i muretti a secco sparsi lungo tutto il territorio. Avete presente com’è fatta?
E’ simile a un cactus, una grossa pianta grassa. Ha pale verdi, fitte di grosse spine e frutti vagamente ovali che vanno dall’arancio al rosso, coperti anche questi di spine sottilissime e leggere. Volendo, potete comprare i fichi d’India al supermercato o, molto meglio, prendervi la briga di raccoglierli da voi. Ma non pensiate di cavarvela con un semplice paio di guanti. Le loro spine sono tanto sottili e acuminate da attraversare qualsiasi tessuto. L’ideale è riuscire a stabilire una distanza tra voi e loro. Non è complicato. Prendete una lunga canna, abbastanza grossa, e a una delle sue estremità praticate tre incisioni, di circa quindici centimetri, tra le fasce verticali che la compongono. Meglio se il taglio termina in corrispondenza di una giuntura piena della canna, tenetelo presente quando andate a sceglierla. Dopo questa operazione infilate, fino all’ostruzione della giuntura, un tappo di sughero che distanzi i tre lembi separati dall’incisione quanto basta affinché lo spazio così ottenuto possa contenere il frutto. Infine fissate tutto legandoci intorno, a giro stretto, una cordicella.
Preparato lo strumento che vi consentirà di raccogliere i frutti tenendovi a una certa distanza da loro, dovete stabilire quale sia il momento opportuno per affrontare l’impresa. Meglio la mattina presto, quando le spine sono ancora umide e svolazzano con più difficoltà. L’ideale sarebbe dopo una nottata di pioggia che abbia lavato via una buona dose di spine dalla pellaccia dura del fico d’India. In ogni caso portatevi un secchio pieno d’acqua, nel quale riporre i frutti appena raccolti. Una volta trovata la pianta, prima di cominciare la raccolta raschiatela con una frasca (sempre per toglierle di dosso il maggior numero possibile di spine). Fate attenzione alla direzione del vento, sistematevi in modo che vi arrivi dalle spalle, e quindi allontani da voi le spine leggere anziché spingerle fino ai vostri occhi. A questo punto siete pronti. Intrappolate il fico d’India nell’estremità della canna, date un mezzo giro e questo si staccherà dalla pianta restando prigioniero del vostro strumento. Quindi, senza mai toccarlo con le mani (mettetevi comunque dei guanti), fatelo scivolare nel secchio pieno d’acqua. Alla fine del raccolto, quando il secchio sarà pieno, giratene i frutti in ammollo (anche con la stessa canna, ma mai con le mani!) affinché perdano il maggior numero di spine. In ogni caso, non riuscirete a toglierle tutte: una volta a casa, infatti, dovrete sbucciarli con coltello e forchetta, prima di assaporarli. Ma ne sarà valsa la pena, perché sono deliziosi. E comunque il procedimento che ho appena descritto è molto più impegnativo a dirsi che a farsi.
I fichi d’India in Sardegna, oltre a essere consumati come frutto fresco, vengono lavorati e trasformati in diversi altri prodotti. Possono diventare ottime confetture da provare sulla seadas, o un dolce liquore preparato per infusione a freddo, con alcol e miele (o zucchero). Un prodotto piuttosto diffuso, soprattutto un tempo, era sa saba ‘e figu morisca (la sapa di fico d’India), il succo cotto di questo frutto, utilizzata nella preparazione di molti dolci tipici.
Da “101 cose da fare in Sardegna almeno una volta nella vita” di Gianmichele Lisai