Boes, Merdules e Ilonazana. I volti del carnevale tradizionale ottanese hanno in comune tra loro gli inconfondibili tratti artistici di un artigiano locale. Franco Maritato, trentasei anni e una spiccata abilità nella lavorazione del legno, ha saputo coniugare la sua passione per la Sardegna con quella per l’artigianato artistico trasformando in professione l’attività che inizialmente praticava solo come hobby.È cosi, dunque, che all’età di 28 anni e contro il parere di amici e parenti, decide di lasciare il lavoro di operaio presso una delle tante fabbriche presenti nella piana di Ottana per aprire un laboratorio artigianale dall’inconsueta produzione: le Caratzas, ovvero le maschere del carnevale tradizionale ottanese. Una scelta indubbiamente azzardata ma che con il tempo si sarebbe rivelata azzeccata.
Il luogo nel quale Franco dà vita alle sue creazioni ha le sembianze di un laboratorio artigianale di altri tempi. Da una piccola porta in legno si accede ad una stanzetta nella quale pare regnare un caos ordinato. Non ci sono complicati strumenti di lavoro ma solo piccoli e semplici attrezzi da falegname che fanno da cornice ad una seggiola in legno e vimini dislocata proprio al centro della stanza. All’esterno un grosso murale, raffigurante delle scene carnevalesche, dona colore alla piazza sulla quale si affaccia il laboratorio, e al contempo, contorna la vetrata della sala espositiva all’interno della quale è possibile ammirare alcune delle sue realizzazioni più recenti. Boes Merdules, Crappolos, Ainos e Filonazanas. I volti dei personaggi del carnevale di Ottana hanno tratti somatici differenti ma una stessa ed inequivocabile connotazione artistica.
Lungo le pareti sono appese maschere di differenti colori e dimensioni che, solo in parte, andranno a completare i costumi tipici ottanesi fatti di pelli di animali, orbace e tessuti. Le restanti, invece, sono destinate a diventare ornamento dei soggiorni e degli studi di chi è rimasto ammaliato da queste particolari realizzazioni.
Franco è uno di quei personaggi di cui difficilmente ci si dimentica. Capelli rasati e barba appena accennata, veste in velluto e porta cosinzos e cambales. La sua parlata è dura e porta con se l’orgoglio e la fierezza della sua sardità. È soddisfatto della strada intrapresa anni a dietro: di aver, di fatto, inventato un mestiere che non esisteva, di aver creato un attività redditizia che gli consente di coniugare passione e lavoro, di svegliarsi ogni mattina per fare ciò che più gli piace fare e di aver sfidato con successo le riluttanze di chi era convinto che la sua attività imprenditoriale non potesse avere un futuro.
http://www.youtube.com/watch?v=-fPM_LdIzYk
Incuriositi dalla sua attività e interessati a scoprire ulteriori dettagli, abbiamo deciso di rivolgere a Franco alcune domande:
D: Ciao Franco. Partiamo dal principio. Come nasce in te l’idea di abbandonare un lavoro con contratto a tempo indeterminato per dedicare tutto il tuo tempo alla creazione delle maschere?
R: La decisione è maturata in primo luogo perché non ero molto soddisfatto dell’ambiente lavorativo ma soprattutto perché volevo fare qualcosa che mi piacesse veramente. Mi pesava tantissimo, per esempio, il fatto che non tutti si salutassero, lavoravamo assieme ma eravamo come degli estranei. Nel nostro ambiente e nella nostra cultura tipicamente agropastorale questo atteggiamento è molto inconsueto. Il saluto è un segno di rispetto.
D: C’è stato qualcuno in particolare, tra parenti e amici, che ha cercato di dissuaderti da questa scelta?
R: Si.. quasi tutti hanno cercato di convincermi che mi sbagliavo; mi dicevano: “Mai lassare su seguru prosu venturu". Forse questo andava bene prima, ma in tempi come questi in balia di repentini cambiamenti socio economici credo che questo sia un limite da superare e che è tipico di molti sardi.
D: Di fatto hai reinterpretato la funzionalità delle tue creazioni. Oltre che accessori carnevaleschi, i tuoi prodotti sono diventati anche dei souvenir e degli ornamenti per le abitazioni. Come hai colto questa potenzialità?
R: Non credo di aver fatto niente di eccezionale. Ho solo cercato di colmare una fetta di mercato (ndr le maschere di Ottana) della quale si stavano appropriando artigiani di altri luoghi producendo dei falsi a buon mercato. Abbiamo tante potenzialità in casa e spesso non ce ne rendiamo conto. La Maschera del Boes è oramai diventata un icona sarda, e questo un po’anche grazie al mio lavoro.
D: Sappiamo che, contrariamente a quanto si faceva in passato, per la realizzazione delle maschere non sei solito utilizzare il legno di Pero bensì l’Ontano Nero. Potresti spiegarci il perché?
R: Questo è vero. Non utilizzo il Pero selvatico (pirastu) bensì l’Ontano nero (Alinu) per motivi di eco-sostenibilità nella produzione. La pianta del Pero selvatico cresce molto lentamente e da ognuna di esse posso ricavare solo poche maschere. Con l’Ontano nero, invece, riesco a ricavare da ogni pianta il quintuplo delle maschere che ricaverei da un Pero. Senza contare che l’Ontano nero cresce con molta più rapidità. Se avessi continuato a lavorare il Pero selvatico, a quest’ora avrei causato un disastro ecologico.
D: Oltre che in Italia le tue opere sono apprezzate anche all’estero. Di che nazionalità sono i compratori che mostrano più interesse nei confronti delle tue creazioni e quali, invece, i più lontani?
R: Vendo molto in Germania Francia e Spagna ma ho contatti in tutta Europa e anche negli Stati Uniti. Inoltre, tramite un punto vendita di Porto Cervo mi capita di vendere anche a facoltosi mediorientali, alcuni dei quali hanno affisso le mie opere alle pareti dei propri yacht. Per quanto riguarda l’acquirente più lontano credo sia un giapponese.
D: Il titolo di studio non da più la sicurezza di trovare un lavoro. Che suggerimento daresti ad un ragazzo che vuole intraprendere un’attività artigianale.
R: Il suggerimento che posso dare è quello di cercare un lavoro che li appassioni e susciti in loro interesse, evitando possibilmente fette di mercato già sature. So che è difficile ma queste sono le scelte vincenti. A me personalmente ha aiutato molto la mia fede indipendentista. Credo che ci si dovrebbe rimboccare le maniche e lavorare sodo senza stare ad aspettare i pochi spiccioli di assistenza dalle Casse statali.
Simone Tatti