“Me lo ha raccontato mio nonno”. Quante volte si è ascoltato un inciso simile, senza dare troppo peso al suo significato. Non vuol dire soltanto “lo so per mezzo di altri” “fidati è così, uno più grande me lo ha insegnato” o “ non conosco bene la storia, ma fingo ugualmente di esserne esperto citando un parente”.  Nel dire “me lo ha narrato  mio nonno”, si riconduce a due termini ben precisi: “ antiche tradizioni”. E se è un giovane a raccontarle, significa che le tradizioni occupano una parte importante nella memoria di un borgo e di chi le accoglie.

E non lo si fa forzatamente, ma in maniera molto spontanea, così che il vecchio sapere diventa una nozione sempre moderna, che alla stessa maniera si protrarrà alle future generazioni. Così essa rimarrà un’argomentazione attuale. Per sempre. E’ ciò che avviene quando si parla di una festività: Natale cade il 25 dicembre e ogni anno si festeggerà, come si è soliti fare. Pasqua non ha cadenza fissa, ma in un dato giorno la si celebra. Si parla di feste importanti, da calendario per intenderci, ma bello è pensare che anche un rito, un’usanza venga rievocata alla stessa maniera.

Escalaplano e le sue tradizioni - Questo è il riassunto di una piacevole conversazione fatta con Jonathan Della Marianna, nel parlare di Escalaplano e le sue usanze in concomitanza ad un evento sui generis. Questo paese l’ho sempre visto come un’evasione ai palazzi alti, al cemento, ai bronci e al cielo grigio del nord Italia, per i suoi colori e le armonie quotidiane vissute. Escalaplano è anche la tradizione: mantenere vive le ricorrenze di appartenenza e che distinguono quel luogo da altri, è il compito di una comunità che vede impegnati i suoi componenti. Il 31 luglio, per le sue vie, Escalaplano intratterrà  con su “fui janna morti” quanti vorranno beneficiarne. E questa non è solo una festa paesana, le fondamenta hanno un valore ancor più importante. Lo scoprirete nel corso di questo scritto, attraverso le parole di un escalaplanese, che è il risultato di plurime tradizioni tramandate. Un giovane fatto di sapere di oggi e del passato. L’ho già citato prima e mi riferisco a Jonathan Della Marianna. Escalaplanese doc, suonatore di launeddas e presidente dell’associazione culturale Symponia, di recente nascita.

La storia di "Fui janna morti" - Chiedo a Jonathan come nasce su “fui janna morti”, tradizione che credo sia tramandata solo ad Escalaplano. “La tradizione viene rievocata dalla memoria di mio nonno tre anni fa, quando l’ AT Proloco di Escalaplano in collaborazione con il comune, hanno deciso di riportare in vita la tradizione, in cui  mio nonno mezzo secolo indietro, facendo un breve calcolo, si vedeva protagonista ai tempi della sua adolescenza. Ai tempi era molto spontanea, cioè non veniva organizzata. Ognuno la svolgeva come fosse stato un appuntamento che non pretendeva preparativi. Serviva un lenzuolo bianco, delle funi, catene, bastoni e l’intento era quello di spaventare i passanti. Come se stessero personificando degli spiriti, simili nella vestizione agli stereotipi di un fantasma. Mio nonno diceva anche che era usanza spegnere le lanterne dei vicoli più bui del paese, per nascondersi meglio. Il tutto andava a sfociare in un “cumbidu”, sinonimo di una società unita, in cui stare assieme gratificava l’animo. Oggi si organizza una degustazione di prodotti locali e il significato è tale e quale a quello di cinquant’anni fa”.

Gli chiedo il perché di questa tradizione. Non è solo uno scopo ricreativo, giusto? “No, assolutamente. Certo una comunità unita, trova piacevole ritrovarsi assieme nelle occasioni dettate dalla tradizione, ma su fui janna morti ha un suo significato. Ad esempio la scelta del mese. Con luglio, non a caso l’ultimo giorno è la data del festeggiamento, si conclude la stagione agricola del grano, in sardo infatti luglio si dice argiolas,in altre parti della Sardegna invece treulas  ed entrambe i nomi hanno a che vedere con la mietitura del grano; ultimo mese quindi prima di riprendere la stagione lavorativa nelle campagne a settembre, che in sardo viene chiamato cabudanni, inizio dell’anno. Il calendario era infatti scandito dalle attività agricole. Su fui janna morti dunque era un rito propiziatorio, per scacciare nefaste incombenze di fine annata del grano. Augurando così prosperità e buoni affari.”

E’ uno dei tanti piccoli segreti, aneddoti e tradizioni, che fanno parte della memoria contadina, quella che occupa i meandri della tradizione popolare. E’ legame con la terra e la natura, in cui l’uomo se si sentisse parte, creerebbe un peso in meno per la terra stessa.

Senza guardarla dall’alto e calpestarla anche nel cuore, oltre che sul corpo.

Tradizioni lontane, che si ripercuotono nei decenni e non fanno mai dimenticare da dove proveniamo. Questo insegna su fui janna morti. 

 

Valentina Usala, scrittrice