Una maschera nera dai lineamenti grotteschi, lontani dalle sembianze umane ma al tempo stesso disperatamente umani. Legno di pero selvatico, duro sul volto, a darle forma. Zigomi sporgenti e sguardo che affiora dai fori all’altezza degli occhi. Un altro foro a livello della bocca per il respiro, e la testa cinta da un fazzoletto marrone legato sotto il mento. Mastruche di pecora nera sopra l’abito di velluto e trenta chili di campanacci in ferro che vengono sbattuti coprendo qualsiasi altro suono. E’ così che si conciano i Mamuthones di Mamoiada.
La loro prima apparizione ufficiale avviene il 17 gennaio, durante la festa di Sant’Antonio Abate. Sfilano tra la gente che beve vino e mangia dolci tipici, affiancati dagli Issohadores. Ma la vera processione è a Carnevale, la domenica e il martedì grasso. Non c’è Carnevale senza Mamuthones, per gli abitanti di questo paese della Barbagia di Ollolai. I dodici Mamuthones si dispongono in fila su due colonne da sei. Una avanza lentamente portando avanti il piede sinistro, e subito arretra portando indietro il destro. L’altra fila si muove specularmente, avanzando con il destro e retrocedendo con il sinistro. Entrambe le colonne, muovendosi in perfetta sincronia, percuotono i campanacci che tengono legati al busto e alla schiena con cinghie di cuoio. Gli otto Issohadores, disposti a coppie, due davanti, due dietro e due per ognuno dei lati, circondano l’intero gruppo dei Mamuthones. Con un berretto in testa, indosso un corpetto rosso e i pantaloni bianchi, tengono un lungo laccio di giunco, chiamato soha, che ogni tanto lanciano tra la folla per catturare prede, come a rievocare il modo in cui sono arrivati al dominio sul gruppo che imbrigliano. Solo alcuni di questi portano una maschera, completamente diversa da quella dei Mamuthones: di colore opposto, bianca, e dai lineamenti nettamente più aggraziati e umani. Il compito degli Issohadores è principalmente di controllo e, in particolare a uno di loro, spetta l’incarico di guidare il gruppo. Si dice che essere catturati dal loro laccio sia un segno di buon auspicio.
La cerimonia si è conservata nel tempo pressoché invariata. Come molte altre delle infinite tradizioni isolane (la Sardegna è una delle terre europee che ne conserva in maggior numero) non si sa bene da dove tragga origine. Secondo un’interpretazione che trovo molto interessante, il rito inscenerebbe la vittoria dei barbaricini, rappresentati dagli Issohadores, sugli invasori saraceni, impersonati dai Mamuthones e portati in corteo dopo essere stati fatti prigionieri. Questa è la stessa teoria a cui, tra le altre cose, rimanda il significato dei quattro mori ingabbiati nella croce rossa della bandiera sarda. Potrebbe trattarsi anche di un rito di assoggettamento del bue, detto totemico, presente per altro, in modo più esplicito, in altre zone della Sardegna, nel quale i Mamuthones rappresenterebbero i buoi ammansiti dai mandriani, inscenati dagli Issohadores.
Oppure ancora, viste le fattezze della maschera, i Mamuthones potrebbero raffigurare uomini dal volto bovino o bovini umanizzati, tramandatici da una cultura passata che venerava questi animali.
Secondo un’interpretazione più cruenta, in questa sfilata ricca di fascino va in scena la pratica del geronticidio, ossia l’usanza di uccidere i vecchi che si pensa fosse diffusa un tempo. E poi demoni e riti di fertilità e altre ipotesi ancora, troppo vaghe e indimostrabili.
Quello che è certo è che il tipo di mascheramento del Mamuthone, con visiera pelli e campanacci, presenta radici comuni nei carnevali di altre parti del Mediterraneo e del resto d’Europa, come in Spagna, Bulgaria, Russia, Ungheria e Paesi Scandinavi. In alcuni di questi Paesi si testimonia talvolta la presenza della maschera dell’orso, attestata anche in Sardegna. Tale diffusione potrebbe indurre a escludere le interpretazioni legate ad avvenimenti storici specifici della zona, come la cattura dei mori o, viceversa, la cattura dei nuragici da parte di qualche popolo venuto dal mare. E’ anche vero però che i riti nascono per essere modificati nel tempo, riadattati spesso alle vicissitudini che irrompono a modificare la fisionomia di un popolo.
La cosa importante è non farsi fuorviare da suggestioni forti, e passare dalla ricerca di una reale origine storica alla pura invenzione della tradizione. Il rischio c’è, soprattutto oggi che il Mamuthone, da simbolo di un piccolo paese della Barbagia di Ollolai, si è esteso a simbolo, insieme a molti altri, dell’intera isola. Così ovunque andrete, troverete queste maschere in miniatura, ben fatte in certi casi, ma niente più che pessime imitazioni in altri.
Mi fa un certo effetto trovare nei negozi della meravigliosa Costa Smeralda, che vendono magliette dalle scritte ironiche, queste riproduzioni in legno tipiche di una cultura che, a pensarci bene, con la Costa Smeralda condivide solo l’appartenenza regionale. Che non è poco, sia chiaro, ma non certo abbastanza.
E’ vero anche che gli stessi Mamuthones, quelli originali, al giorno d’oggi portano la sfilata anche fuori dal loro paese d’origine, e non solo in Sardegna. Qualche tempo fa mi è capitato di vederli a Bologna, in piazza Santo Stefano. L’esibizione, completamente decontestualizzata, non portava con sé neppure la timida ombra del fascino che assume a Mamoiada, soprattutto nei giorni del Carnevale.
Da “101 cose da fare in Sardegna almeno una volta nella vita” di Gianmichele Lisai