DI ALBERTO MARCEDDU*

La Sardegna ha origini antichissime, e quindi antichissime sono le sue tradizioni.

Una leggenda sarda, che rielabora il mito di Prometeo, racconta di un tempo lontano nel quale l’uomo, vivendo all’addiaccio, soffriva il rigido clima dell’inverno e racconta del Santo Antonio Abate, che assalito dalla compassione si recò negl’inferi, portandosi con sé due compagni di viaggio, un maialino ed un bastone di ferula. Giunto alle porte degl’inferi si vide imporre l’alt da Lucifero, ma il maialino si insinuò tra la sua lunga coda e il suo tridente riuscendo ad accedervi e generando grande scompiglio.

I diavoli, non riuscendo a porre rimedio, ordinarono al Santo di entrarvi affinché recuperasse il suo compagno di viaggio. Sant’Antonio entrò e non riuscì a porre rimedio. Si addormentò e poi, risvegliatosi, trovò il maialino al suo fianco e uscirono insieme dagli inferi. Sensa rendersene conto, durante il sonno, il bastone di ferula aveva preso fuoco al suo interno e riuscirono così a portare il fuoco sulla terra.

SaTuva, è un rito agrario di propiziazione che si festeggia durante la vigilia della festa di Sant'Antonio Abate, patrono in Sardegna degli allevatori e dei contadini.

Si svolge il 16 Gennaio nei territori dove risiedono le parrocchie delle più importanti zone nuragiche della Sardegna.

Il rito ha luogo nell'Ocier Real o Parte Cier Real che comprendeva Ghilarza, Paulilatino, Abbasanta, Aidomaggiore, e Parte Canales che comprendeva i paesi della media valle del Tirso, Domusnovas, Norbello.

Sa Tuva,  tronco divenuto cavo durante il ciclo di vita, rigorosamente della specie Quercus, detta comunemente quercia. La roverella albero monumentale, simboleggia la madre del bosco. Viene scelta nelle campagne delle parrocchie ed eretta verticalmente al centro delle piazza principali, come elemento sacro, come veniva fatto in passato con il betilo.

La quercia veniva abbattuta a colpi di scure conservandone le radici che venivano ripulite manualmente, per poi esser solennemente trasportata su un carro abbellito da tantissimi fiori profumati e trainato da tre gioghi.

Si eseguiva l'infioratura della tuva, accompagnandola con un lungo corteo di persone a piedi e a cavallo che cantavano e suonavano festosamente.

A Norbello veniva scaricata di fronte alla chiesa principale, mentre oggi, viene accolta accanto alla chiesa paleocristiana della quale si conservano le mura. Riposta diritta sul piazzale, viene ricoperta di fiori ed erbe aromatiche, timo, mirto, rosmarino, etc.

Il prete ne da la benedizione ed all'imbrunire viene accesa, dando vita al tripudio pagano. Tutta la notte, accompagnati dal canto di un tenore, dal suono di un organetto si balla attorno alla tuva sino al mattino.

Talvolta la tuva poteva essere più di una, venivano poste in fila, e ciascuna veniva offerta da un gruppo di persone che potevano essere gli “Antonio”, i “pastori” o i ragazzi “della leva” abili e arruolabili al servizio militare.

Il ballo che si svolge attorno alla “tuva” si chiama “Bìcchiri”, e come tutti i balli sardi si balla da destra verso sinistra.

In senso metaforico un po' come il movimento della Terra, che ruotando sul suo asse terrestre compie il moto di rivoluzione, allo stesso modo il ballo si svolge ruotando nello stesso senso della terra attorno al fuoco, attorno a sa tuva.

Su bìcchiri in alcuni paesi, per esempio Sedilo, viene chiamato Ballu Tzoppu, ballo del zoppo, proprio per il suo ritmo zoppicante, che ricorda un po' il ballo dei sacerdoti fenici intorno all'altare di Ball o Dio della cripta (Esodo) oppure il pilastro (fallo), o il ballo di Re Davide attorno all'Arca.

Conclusi i balli, giunti alle prime ore del mattino, rimangono i poeti estemporanei, i tenores, che tra un bicchiere del nettare degli dei, (vino rosso), improvvisano un ottava in rima, attorno alle fiamme, ai grossi tronchi che scintillano.

La tuva veniva lasciata ardere per giorni fino a consumarsi totalmente.

Le donne raccoglievano le braci ancora ardenti per accendere il focolare di casa, quale gesto propiziatorio ed i poveri raccoglievano gli ultimi pezzi rimasti.

I pastori e gli agricoltori invece, raccoglievano le ceneri, e le spargevano nei pascoli, negli orti e nei seminati, anch’esso un rito propiziatorio, di speranza per il nuovo anno agrario.

Ricorderemo il 2021 per l’assenza di uno dei più arcaici riti che ancora si conservano in Sardegna, augurandoci questo sia comunque un anno fortunato, non solo per l’annata agraria ma per ogni forma vivente sul pianeta.

 

"DEUM VERUM NESCIANT, LIGNAM AUTEM ET LAPIDES ADORENT "

 


 

 

Articolo realizzato per il progetto "FocuSardegna a più voci"

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