Nel manifesto dei 200 giuristi che appoggiano la riforma costituzionale si afferma, tra le altre cose, che “il testo non è, né potrebbe essere privo di difetti e discrasie” in quanto le riforme “le fanno i rappresentanti del popolo, non comitati di esperti”. Affermazioni giustificabili per un regolamento di condominio, non per una riforma di questa portata; che, a differenza di quanto si sostiene in tale documento, stravolge – eccome – la Costituzione. Il manifesto si espone a numerose critiche nel merito.


Involontariamente, i firmatari contraddicono immediatamente chi sostiene che il Senato verrà abolito; non solo ciò non è vero, ma addirittura, come affermano gli stessi 200, viene consentito a tale organo “di richiamare tutte le leggi, impedendo eventuali colpi di mano della maggioranza”. Parole che dovrebbero far riflettere: se il Senato non interverrà, il colpo di mano potrà esserci; se, invece, interverrà, il procedimento legislativo sarà notevolmente rallentato da un organo i cui componenti non saranno eletti dal popolo. Qual è, dunque, l'utilità di questa modifica?

E ancora: questo Senato composto da nominati, sindaci e consiglieri regionali parteciperà all'elezione del Presidente della Repubblica e ai procedimenti di revisione costituzionale. Il suo ruolo sarà, dunque, fondamentale e privo di un controllo diretto da parte del popolo sovrano. Chi sostiene che il Senato verrà abolito è in malafede.

Si esulta per l'introduzione di “stringenti limiti alla decretazione d'urgenza”. In realtà, il nuovo art. 77 non solo non introduce nuovi limiti particolarmente rilevanti, ma, anzi, consente all'unica Camera – quella che grazie all'Italicum sarà dominata da un unico partito – di convertire con molta più facilità i decreti-legge del Governo. Se ne deduce che la decretazione d'urgenza non solo non risulterà ridimensionata ma, al contrario, potrebbe essere addirittura rafforzata.


Incredibilmente si afferma che “il sistema delle garanzie viene significativamente potenziato”. Per argomentare questa tesi si cita un presunto rilancio degli istituti di democrazia diretta; in verità, le firme necessarie per l'iniziativa popolare delle leggi passano da 50.000 a 150.000 (e le modalità di trattazione delle stesse vengano rimesse a regolamenti parlamentari) e il referendum propositivo rimane un oggetto misterioso da disciplinare con una futura legge.
Si dice, poi, che il quorum per eleggere il Presidente della Repubblica sarà più alto. Sulla carta sì: dal settimo scrutinio serviranno 438 voti; tuttavia, grazie all'Italicum, il solo partito di maggioranza ne avrà già 340, a cui si aggiungeranno quelli dei propri esponenti provenienti dai consigli regionali; basterà trovare un accordo con un piccolo partito e il gioco sarà fatto.


Si sostiene, inoltre, che “i contrappesi al binomio maggioranza-governo sono forti e solidi nel nostro Paese”: a sostegno di ciò si citano “la magistratura” (ma che c'entra con l'assetto istituzionale?); il “mondo associativo attivo e dinamico” (no comment); e – non è uno scherzo - “un'informazione pluralista”: la stessa che ci ha portato al 77° posto al mondo per la libertà di stampa. In ogni caso, si tratta di soggetti che nulla o quasi hanno a che vedere con i bilanciamenti tra organo legislativo ed esecutivo, che la Costituzione dovrebbe contenere in sè.
Si parla di “decisa semplificazione istituzionale”, quando in realtà gli unici organi ad esserne riguardati sono il marginale CNEL e le Province già depotenziate, da qualche anno, con legge ordinaria.
I 200 giuristi ricordano che la riforma è stata approvata da parte di una larga maggioranza: quasi il sessanta per cento di ciascuna Camera. Dimenticano, però, di ricordare che questa prevalenza numerica non corrisponde a una reale rappresentatività tra i cittadini, ma è dovuta unicamente a un premio di maggioranza dichiarato incostituzionale dalla Consulta.

La Costituzione del 1948 fu approvata, invece, con ben 453 voti a favore e soli 62 contrari da un'Assemblea Costituente direttamente investita dal popolo, con metodo proporzionale e senza premi di maggioranza, mediante un'elezione a cui partecipò quasi il 90% degli elettori italiani.

I partiti che hanno approvato la riforma Boschi hanno ottenuto il voto da nemmeno il 40% degli aventi diritto. La legittimazione popolare alla base di questa riforma, peraltro mai illustrata prima all'elettorato, è davvero esigua. E del resto, tra i costituenti del '48 e i Verdini attuali non è possibile nemmeno un paragone serio.
Si sminuisce l'incidenza dell'Italicum sul nuovo assetto istituzionale; ma, in realt

à, è imprescindibile leggere la riforma unitamente agli effetti conseguenti dalla nuova legge elettorale; e poiché la Costituzione non si esprime in merito, nulla esclude che una legge elettorale anche più pericolosa possa essere approvata in futuro, rendendo la Camera un surrogato del Governo anche più di quanto già lo diventi con l'Italicum.


Le ulteriori spiegazioni a sostegno del Sì, ossia il riordino delle competenze regionali (da ritenersi insufficiente) e i tagli ai costi della politica (del tutto marginali) sono palesemente insufficienti per accettare in blocco una riforma scritta male e pericolosa.
Non avrei mai pensato di poter rinvenire, tra i firmatari del Manifesto, alcuni dei nomi che ho letto con grande stupore. La riforma, infatti, è espressione delle richieste, rinvenibili in documenti ufficiali, provenienti da grandi gruppi del mondo finanziario, che richiedono governi forti e opposizioni evanescenti. Mortifica il confronto, pone il potere legislativo in mano a un singolo partito e, per questo motivo, può mettere in pericolo anche la tutela dei diritti sanciti dalla prima parte della Costituzione. Chi dice che i difetti potranno essere corretti mente sapendo di mentire: una volta approvata la riforma, non si tornerà indietro facilmente.