Sarà, per molte zone della Sardegna, una festa della donna adornata di fiocchi di neve piuttosto che di quelli, profumati e soffici, di mimosa. Eppure, non deve mancare il momento della riflessione e dell’indagine, del tributo e, anche, dell’immancabile polemica nei confronti di quanto concerne la sfera rosa del mondo. Perché se da una parte sembra ancora difficile da abbattere quella differenza netta tra uomini e donne, pur in una società dove l’equivalenza tra generi si fa via via più spazio, dall’altra troppi, ancora, sono i punti neri da andare a schiarire. Quello della retribuzione è uno di questi: le donne italiane vengono ancora pagate mediamente il 7% in meno degli uomini e sono maggiormente soggette a mobbing (nel 2015 il mobbing per maternità colpiva un milione e mezzo di lavoratrici).
La discriminazione tocca, ancora, elementi di matrice prettamente linguistica, nonostante già nel 2013 l'Accademia della Crusca si fosse espressa relativamente all'uso del genere grammaticale femminile per quei ruoli e professioni in cui, da pochi decenni, hanno accesso anche le donne.
Ci si riferisce a maestro, faceva notare Michela Murgia presentando il suo ultimo romanzo, Chirù – quando si parla di artigiani e direttori d’orchestra, di forti professionalità, consolidate nel tempo, che si ergono a tale ruolo e titolo. Maestra, invece, è la maestra di scuola, nulla più. In Chirù la Murgia offre una nuova prospettiva, traslata in chiave sentimentale, della maestra che diviene allo stesso tempo insegnante e allieva, facendo imparare e imparando a sua volta, in un romanzo che scorre in maniera densa e intensa in quella che sono apparentemente potrebbe sembrare una storia d’amore. E se questa festa della donna la vogliamo vivere in letteratura, ecco la sublimazione della sfera rosa per eccellenza: la mamma, quella che si fa strada e racconta, tra simpatia, severità e picchi di dolcezza e ironico cinismo che rendono meno amari i sacrifici. Lei è la mamma di Francesco Abate, protagonista di “Mia Madre e altre catastrofi”, in libreria dal 1 marzo. E in questa tragicommedia, dal sapore dolceamaro, che non solo si riannodano i fili del rapporto madre-figlio ma vien fuori quella energia, tutta al femminile, che disfa e fa, riuscendo a dar forza nei momenti difficili, a insegnare e donare, senza riserve. Perché, alla fine, al di là degli aspetti prettamente linguistici, a costo di cadere nella retorica, è sempre valido il detto della grande donna che sta dietro il grande uomo. Quanto manca, è la spinta per farla uscire dall’ombra, raccontandola e mostrandola nei suoi momenti di forza e in quelli di fragilità, come hanno fatto Murgia e Abate, in una nuova prospettiva che, in fondo, le è sempre appartenuta.
*FOCUSARDEGNA