-Natascia Talloru*-
Vi racconto una storia. Correva l’anno 1969 e la commissione Medici istituiva il piano di industrializzazione della Sardegna Centrale.
Volgendo lo sguardo indietro in quegli anni l’ENI eseguì un piano industriale che faceva sorgere ad Ottana i migliori impianti per la produzione nell’isola di fibre tessili, acriliche e polimeri che rappresentano tuttora un vanto dell’ingegneria nazionale. Il sito si strutturò in una centrale termoelettrica (Ottana Energia) e in una parte chimica, suddivisa in due sezioni: una relativa alla lavorazione delle materie prime (PTA) e l’altra responsabile della polimerizzazione e dunque della produzione di PET. In seguito gradualmente l’ENI abbandonò disinvestendo e privatizzando; nel 1995 ci fu l’acquisizione da parte della Dow Chemical (americana, leader mondiale nella produzione di PET) che apportò migliorie e revamping all’impianto con l’intento di incrementare la qualità del prodotto e ridurre i costi. Nel 2010 gli americani lasciarono e si istituì una società tra Indorama (azienda thailandese) ed il gruppo Clivati (italiano, proprietario di Ottana Energia) che detengono rispettivamente al 50% la proprietà della attuale Ottana Polimeri, l’unica azienda rimasta chimica nello stabilimento e in grado di creare lavoro ed economia.
Da due anni a questa parte cala la produzione e gli impianti marciano solo su richiesta fino al blocco definitivo del PTA lo scorso anno a Marzo, e del PET ad agosto 2014. A novembre arriva la comunicazione per la cassa integrazione straordinaria del personale: 88 dipendenti interni all’azienda, se si escludono i rischi che corrono le circa 300 risorse umane esterne all’azienda (ditte di manutenzione, servizi, trasporti, videosorveglianza ecc.).
Alla base di questo calo produttivo sembrerebbe esserci il costo dell’energia erogata dalla vicina centrale e la fine dei dazi alle importazioni extraeuropee, che ha portato all’invasione del mercato italiano da parte di Egitto, Turchia e Asia strangolando i produttori locali, mentre chi produce in Europa paga i dazi quando vende nei mercati esteri. La chiusura dell’impianto ENI di Sarroch che forniva materie prime a Ottana Polimeri ed il cambio euro/dollaro hanno fatto il resto, togliendo ogni prospettiva alla filiera nazionale del prodotto proveniente dallo stabilimento sardo: il mercato del PET non è stato investito dalla crisi e rimane comunque altamente richiesto; è solo cambiata nel tempo la sua provenienza.
L’intero sito a partire dalla sua origine ha concesso lavoro a diverse generazioni ed il sostentamento di famiglie residenti in un’area vasta della zona. Una chiusura definitiva porterebbe alla morte dell’industria nella Sardegna Centrale con un effetto domino su tutto il sistema produttivo e la perdita di una serie di competenze e professionalità che quivi sono cresciute, si sono formate lavorativamente ed umanamente. E’ importante tenere alta l’attenzione nei loro confronti e proporre nei tavoli di discussione da parte delle autorità competenti soluzioni concrete che attualmente sembrano indirizzarsi verso una produzione bio, estraendo materie prime da biomasse, e attraverso fonti alternative di energia tra le quali prevaleva il gas metano, oramai accantonato col fallimento del progetto Galsi. Ma la strada per la riconversione è ancora lunga e si teme che l’impianto possa rimanere fermo per troppo tempo comportando una compromissione del suo funzionamento e della sua efficienza.
Ritengo sia necessario dunque condividere e diffondere le preoccupazioni di questi lavoratori per evitare la partenza di altri migranti sardi che non vedono più prospettive nella nostra regione. Evitiamo la morte a piccole dosi, la morte silenziosa che toglierà l’udito alle future generazioni. Evitiamo la fine della storia.
*FocuSardegna