- Irene Bosu*-
Lo sfruttamento dell'energia nucleare, in Italia, ha interessato un lasso di tempo che va dal 1963 al 1990. Negli anni sessanta il Belpaese figurava come il terzo produttore al mondo dopo Stati Uniti e Inghilterra. Negli anni ottanta - soprattutto dopo l'incidente di Cernobyl - la sicurezza degli impianti nucleari divenne una preoccupazione crescente e questo portò a indire tre referendum nazionali sul settore elettronucleare (1987).
Le quattro principali centrali nucleari erano quelle di Trino, Montalto di Castro, Latina e Sessa Aurunca e furono chiuse per svariate ragioni: limiti di età o a seguito del referendum del 1987. Con quel referendum l’Italia pronunciò un “no” storico al nucleare ma a distanza di 28 anni siamo ancora ben lontani dalla chiusura di quella coda velenosa. Il nostro territorio è infatti cosparso di siti di raccolta e di stoccaggio di scorie e veleni pericolosi. Attualmente - secondo i dati di Legambiente - sono circa 90 i capannoni e bunker che da un capo all'altro dell'Italia già ospitano depositi di rifiuti radioattivi e di combustibile irraggiato.
Il dibattito sull'eventuale reintroduzione dell'energia nucleare che si era aperto fra il 2005 ed il 2008, si è chiuso con il referendum abrogativo del 2011, in cui sono state abrogate le normative per l'ambito nucleare da elettroproduzione. In particolare - per quanto riguarda la Sardegna - il 15 e il 16 maggio del 2011, si è tenuto un referendum regionale consultivo proposto da Sardigna Natzione Indipendentzia, sull'eventuale costruzione di impianti nucleari nell'isola.
Il quesito referendario, recitava semplicemente: «Sei contrario all'installazione in Sardegna di centrali nucleari e di siti per lo stoccaggio di scorie radioattive da esse residuate o preesistenti?», coinvolgendo dunque anche i depositi di scorie, a differenza di quello nazionale, che si sarebbe limitato alle centrali per la produzione di elettricità a scopo commerciale.
Votò un terzo dei sardi che decise di dire no a un deposito di scorie nucleari nell'isola. Tale referendum ha avuto solo valore consultivo, non impegnando né il governo regionale né quello nazionale, servendo comunque come messaggio politico, date le dimensioni della partecipazione popolare e l'esito della consultazione.
A questo punto nascono le preoccupazioni. La Sardegna potrebbe essere di nuovo a rischio. Entro tre mesi conosceremo il nome della località italiana in cui sarà costruito il Deposito unico nazionale delle scorie nucleari. Pochi giorni fa la Sogin - società pubblica incaricata dello smantellamento dei reattori attivi in Italia - ha consegnato all’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale) la mappa in cui sono indicate le aree potenzialmente idonee. Sull’elenco vige la più stretta segretezza. Spetterà ora all’agenzia del ministero dell’Ambiente verificare la correttezza dei suggerimenti forniti dalla Sogin.
Per ora continuiamo a brancolare nel buio. L'unica certezza riguarda i criteri guida per la scelta del deposito: sono gli stessi di dieci anni fa. La Sardegna non è fuori dai giochi.
*FocuSardegna