- Matteo Setzu*-
Siamo arrivati alla settimana dei fuochi di Sant'Antonio. Una festa e un rito che in molti paesi si aspetta come la festa delle feste. In tanti posti si possono trovare notizie su questa tradizione da noi molto sentite e infatti non staro' qua a raccontarvi quello che già sappiamo ma vi racconterò come la vivo io. Perché i fuochi di Sant'Antonio li vivo veramente.
E tutto inizia dal 16 dicembre, ovvero quando tutti si preparano ai cenoni di Natale e io sto già facendo il conto alla rovescia per la festa delle feste, o meglio, quella che per me e' la festa delle feste. Una festa che aspetto con ansia, una festa che si avvicina quando per gli altri finiscono le feste con l'arrivo dell'Epifania. Perché da quel giorno si possono contare solo dieci giorni all'accensione dei fuochi.
Una festa che mi riporta indietro al periodo in cui vivevo in Spagna e i miei colleghi decidevano che giorni di ferie dovevano prendere per passare le festività natalizie con i propri cari e a me quando mi chiedevano quali giorni volevo, dicevo di non preoccuparsi, perché io le ferie le dovevo prendere per "su carrasecare".
Aspettavo quel giorno come un bambino che aspettava i regali di Natale. E come spesso ho fatto non riuscivo a chiudere occhio la notte del 15, perchè il giorno dopo sarebbe stato qualcosa di unico, per me. Come sempre arrivo a Ottana all'ora di pranzo del 16, nella piazza situata tra la chiesa di Sant'Antonio e la Cattedrale di San Nicola una grande catasta di legna prende forma. Gli abitanti del posto danno vita a un via vai di trattori carichi di legna e pronti ad essere svuotati in quella piazza. E' una festa e l'aria di festa si respira, il vino e la birra scorre come in queste occasioni succede e i pranzi son pronti a consumarsi. L'attesa sale proporzionata alla legna che viene aggiunta in quella catasta. Pian pianino arrivano turisti da tutte le parti, spesso mi capitava di guardarli e mi ritenevo fortunato di poter vivere quella festa da dentro, con le persone di Ottana, con quelle che dopo qualche ora avrebbero vestito pelli e campanacci. Dopo pranzo e' d'obbligo bersi un caffè e successivamente un'abbardente. Arrivi con un colorito roseo e finisci con un color nero, frutto delle ceneri che ti macchiano il viso. Perché se vai a Ottana il giorno dei fuochi non puoi tornare a casa con la faccia pulita. E allora si va al caseggiato dove tutti possono assistere alla vestizione, dove diversi visi hanno preso forme distorte dall'alcool e i sorrisi vanno da orecchia a orecchia. Sino a sparire dietro quelle maschere di legno dei Boes, Merdules e Filonzana. Nella chiesa di Sant'Antonio si celebre la messa, fuori il fuoco inizia ad ardere e tutti aspettano la processione attorno al fuoco e quando questa finisce ecco che scoppia la festa. Perche' nelle strade illuminate da luci arancioni arrivano loro, le maschere del carnevale ottanese. Molti si aspettano una sfilata, ma non tutti sanno che quello e' un rito che arriva da tempi remoti, quando ne telefoni, ne radio, ne televisione erano nella mente dell'essere umano. E loro fanno i giri attorno al fuoco, benedicendolo in quel rito pagano che ha preso il nome di un Santo. Dura poco, ma il ricordo rimane per sempre. E poi di nuovo al bar, in piazza nelle case. A bere quel vino o quella birra che immancabilmente accompagna queste giornate di festa, e poi a mangiare fave e lardo e ballare il ballo sardo col ritmo de " s'affuente " sino a che se ne ha forza.
La notte giunge al termine e io mi accingo a dormire a Ottana, come ogni anno, perché il giorno dopo arriva il turno di Mamoiada.
Il rito qua e' lo stesso, ma strutturato diversamente. Perche' i fuochi a Mamoiada son tantissimi, piccoli e in ogni rione. Il 16 e' il giorno dedicato al Santo, il 17 agli Issohadores e Mamuthones.
A Mamoiada arrivo giusto per pranzare qualcosa e poi si va velocemente ad assistere alla vestizione delle maschere. I gruppi sono due e ognuno di noi sceglie chi seguire. Essendoci tanti fuochi si dividono il paese. La zona vecchia a un gruppo e la zona nuova all'altro, si alternano ogni anno per dare vita a questa sorta di benedizione. Gli Issohadores e i Mamuthones danno via al rito nel primo pomeriggio, sino ad arrivare alla fine dei fuochi all'ora di cena. Compiono la "danza" in ognuno di essi. Fanno i giri attorno al fuoco, i Mamuthones nel loro ritmo cadenzato e gli Issohadores pronti ad acchiappare i visitatori e augurare loro buona fortuna. In ogni fuoco poi esce il vino e i dolci che i Mamoiadini preparano e offrono a tutti. Ma solo dopo aver offerto questi alle maschere, perché quando il turismo non esisteva erano loro che godevano dei prodotti locali e sono loro che per primi devono essere serviti.
E questi sono i fuochi di Sant'Antonio, una data che apre il "Carrasecare", una festa che in Sardegna spopola sempre di piu'. Una festa che si celebra in tantissimi paesi e dove io ancora non son riuscito ad andare e per questo ho voluto raccontare le realtà di questi due centri barbaricini che sono un'icona della nostra tradizione. Una festa che pero' va vissuta con rispetto e attenzione, perché questo e' un rito prima di tutto da svolgere e osservare e possibilmente da non invadere con la pretesa di un "cumbidu" o di una foto scattata in mezzo alle maschere che sfilano.
Buon Sant'Antonio a tutti, o meglio, buoni fuochi a tutti!
*FocuSardegna