Diversi anni fa, durante una delle prime lezioni del corso di Economia Politica, mi imbattei per la prima volta nel concetto di advers selection. Per selezione avversa si intende una situazione in cui una variazione delle condizioni di un contratto provoca una selezione dei contraenti sfavorevole per la parte che ha modificato, a suo vantaggio, le condizioni.
L’esempio più comune si ha in campo assicurativo. Ovvero, se l'assicurazione aumenta il prezzo delle polizze, una parte della clientela può rinunciare alla sottoscrizione delle stesse, divenute più care. La rinuncia, tuttavia, riguarda la parte degli assicurati che con meno probabilità incorreranno nell'evento che dà luogo al rimborso da parte dell'assicurazione, mentre i clienti più rischiosi non avranno convenienza a modificare la loro scelta, anche in presenza di un maggior costo del premio assicurativo.
In questo modo, l'assicurazione spinge i clienti meno rischiosi a non sottoscrivere più le polizze, con conseguente aumento della percentuale della clientela rappresentata dai soggetti più rischiosi implicando, a parità di premio incassato per cliente, un aumento dei rimborsi medi per cliente.
Così facendo, l'assicurazione, che avrebbe interesse a garantirsi una clientela meno rischiosa e meno costosa, finisce pertanto per ottenere il risultato opposto, per effetto di una scelta di convenienza del primo momento.
A distanza di anni, mi chiedo se questo stesso concetto possa, per analogia, essere in qualche modo applicato al mondo dell’informazione.
È risaputo che l’avvento di internet ha notevolmente incrementato il flusso informativo non garantendo, al contempo, una adeguata qualità e organicità dei contenuti offerti. La necessità di farsi strada, nel mezzo di questa giungla mediatica, induce molti giornalisti, o presunti tali, a produrre titoli e contenuti ricchi di sensazionalismo, con l’obiettivo di assecondare i gusti del lettore e ottenere visibilità e condivisioni con più facilità. L’informazione, in pratica, è spesso trattata come un qualsiasi bene merce e viene “impacchettata” in base alle esigenze del consumatore finale.
Tuttavia, l’informazione non è un bene merce e non possiamo assolutamente permetterci che, in nome della sopravvivenza nel mercato, si perpetui questo spiazzamento ai danni della buona ma meno appariscente informazione.
Il ruolo del giornalista, o di chiunque divulghi notizie, non è solo quello di informare il lettore ma anche quello di formarlo e renderlo consapevole e coscienzioso. Poiché, prima di rispondere alle leggi del mercato, all’editore o ai lettori, il giornalista dovrebbe, anzitutto, rispondere a sé stesso e alla propria coscienza.