Una generazione con il fiato sospeso paralizzata dalla paura del domani. Aspettative disattese, sacrifici non ripagati e l’insicurezza che caratterizza la vita di un intero paese. È questo il ritratto dell’Italia alle porte del 2015 dove il posto fisso e la pensione sono diventate delle nuove chimere.
Cambia il modo di ragionare e quello di vivere. Tutto ciò che ci avevano insegnato non è più valido. La laurea non è più un ascensore sociale né tantomeno garantisce un’occupazione certa al termine del percorso di studi. I lavori sono prevalentemente occasionali e la tanto agognata flessibilità del mercato del lavoro ha generato un esercito di precari ai quali non è concessa la facoltà di pianificare un futuro.
La disoccupazione giovanile si attesta intorno al 44% e spesso l'unico modo di procurarsi un reddito è quello di accettare dei micro job a insostenibili condizioni auspicando passivamente che tutto si sistemi prima che sia troppo tardi.
I consumi sono contratti e i redditi bassi non garantiscono il soddisfacimento integrale di tutti i bisogni. Quando invece succede di guadagnare a sufficienza, si decide di accantonare i risparmi in attesa di avere un quadro più chiaro della situazione futura e così la famiglia si sostituisce allo Stato nel ruolo di ammortizzatore sociale.
La bassa crescita dell'Italia negli ultimi anni è il riflesso delle sempre più scarse opportunità offerte alle giovani generazioni di contribuire allo sviluppo economico e sociale con la loro capacità innovativa, la loro conoscenza, il loro entusiasmo.
In una società che non cresce tendono ad aumentare le disuguaglianze. Il legame tra i redditi da lavoro dei genitori e quello dei figli è in Italia tra i più stretti nel confronto internazionale, con valori molto simili a quelli osservati negli Stati Uniti e nel Regno Unito piuttosto che a quelli riscontrati nei paesi nordici e nell'Europa continentale. Ciò significa che il successo professionale di un giovane dipende in maniera determinante dal luogo di nascita e dalle caratteristiche della famiglia di provenienza piuttosto che da quelle personali come per esempio il titolo di studio.
Questa situazione ha inevitabilmente condotto ad un crollo dei valori nel quale soprattutto i più giovani non sanno più in cosa credere né tantomeno a chi affidarsi e, non confidando nella meritocrazia del sistema, cessano di essere solidali e combattono individualmente la lotta per la sopravvivenza anziché quella collettiva per gli ideali.
Ma quanto a lungo può durare questa battaglia?
Le risposte non le abbiamo, le cerchiamo in chi ci dice di avere fiducia invece di darci certezze. E quando le uniche certezze sono queste, è doveroso lodare chi non si arrende, chi crede ancora nel miglioramento e non abbandona la costruzione del proprio futuro nonostante il timore sconfortante che si respira attorno e che potrebbe indurre ad arrendersi e ad accontentarsi.
Ma anche questa battaglia di speranza quanto potrà durare?
*FocuSardegna