Siamo nel 2015, anno in cui il mondo corre tremendamente veloce. Dove un like vale più di un abbraccio, una condivisione più di un saluto, un post più di un sorriso, uno smartphone più di un istante. Perché ormai tutto ci sta tremendamente sfuggendo di mano. E allora, ecco, che ci ritroviamo ovunque tutti a testa china su questi cavolo di telefoni, scorrendo la home dei social aspettando di vedere il nulla. Controllando se il messaggio è stato visualizzato, aspettando i like dei contatti. Ahi che parola, contatti!
Prima esistevano gli amici, quelli che incontravi nella piazzetta o al bar, sapevi che a quell'ora li avresti trovati. Oggi invece:
"A che ora ci vediamo?" "Sei arrivato?""Io sono qui"
"Quanto ci metti?"
"Va beh pazienza, ti aspetto su Facebook"
Perché oggi tutto gira lì dentro, il più grande punto di incontro del mondo.
Dove basta stare seduto nel divano di casa e aprire il frigorifero, mi prendo una birra, mi mangio un panino o sgranocchio due patatine e mi sembra di essere al bar, però non metto il naso fuori da casa e chatto con chi voglio. E allora quando esco vedo che qualcosa non va, che manca la comunicazione, che qualcosa abbiamo perso. Abbiamo perso la voglia di scoprire, conoscere le persone. Perchè quello è più figo, mette cose fighe su Facebook e foto da paura su Instagram. Ma non sempre è cosi, perché per fortuna capita di andare a mangiare fuori e stare in compagnia e...e fotografare tutto quello che si mangia, il piatto ancora non è finito che la foto è già in rete. E nel frattempo chi è a casa commenta:
"Che buoni!"
"Cosa sono?"
"Dove siete?"
E mentre mastichi il boccone, rispondi.


Rispondi tu, risponde chi sta al tuo fianco, risponde il vicino di tavolo, rispondono tutti.
Nessuno parla più, tutti hanno la testa china verso questi cavoli di smartphone.
Testa china come in segno di resa, un segno di resa che abbiamo regalato a questa società che ci sta rendendo sempre più schiavi.
E allora rimpiango le corse per strada, le cadute e le canadesi (tute da ginnastica) con le toppe, rimpiango le sculacciate di mamma perché quella era la canadese nuova ma non c’ erano soldi per prenderne un'altra.
Rimpiango una cartolina e la mia collezione che si è fermata, e con lei quella dei francobolli.
Rimpiango una lettera che a sorpresa mi arrivava via posta e che quando aprivo, la leggevo tutta d'un fiato.
Rimpiango le giornate trascorse ai giardinetti di Lunamatrona dove a quell'ora ci incontravamo.
Rimpiango il dialogo con le persone, l'attesa di vederle dopo tanto tempo e ascoltare i racconti dei giorni in cui non ci eravamo visti.
Rimpiango il gettone e le cabine telefoniche.
Rimpiango una vita che ho conosciuto e quel cambio sociale che ho vissuto.

Perché io sono un figlio dell'ultima generazione e di questa prima generazione.
Forse troppo nostalgico, forse spirito libero.
Perché questa forma di schiavitù che hanno creato è senza uscita.
Perché ormai uno smartphone è per tutti, dai bambini che non si sbucciano più le ginocchia sino ai nonni che non raccontano più le storielle del passato.

E allora ecco che rimpiango anche loro, i miei nonni.
Il vassoio delle mentine e delle caramelle alla panna, o l'aranciata e il pacchetto di patatine preso assieme a loro.
Perchè oggi anche quei nonni stanno finendo, tra poco anche loro saranno più social e meno presenti.

Ed è per questo che mi sono rotto i coxxxoni, perché siamo entrati in un baratro senza fondo…