Ultimamente in occasione della DAD si è parlato tanto di metodi d’istruzione (o distruzione?). È un argomento che mi ha sempre interessato, ovviamente con gli occhi di uno studente (sebbene per un breve periodo sia stato anche al di là della cattedra e … nel tempo libero spesso aiuti alcuni studenti a studiare).
Sigmund Freud indicava l’insegnante tra i tre mestieri difficili (oltre il politico ed il medico).
Alzi la mano chi, nel corso dell’iter scolastico, non si è imbattuto in qualche docente con un gran talento: quello di far passare la voglia di studiare e mandare all’aria tutti i libri?
Ovvio che qualche studente scansafatiche c’è, ovvio che c’è sempre qualcuno che “prova” ad iscriversi all’università ma c’è anche l’affidabilità delle statistiche che Trilussa ha spiegato benissimo con il sonetto del pollo-e-mezzo!
Il prof. GianCarlo Nivoli, ex docente di clinica psichiatrica all’università di Sassari ed autore del libro “Sopravvivere all’università” (2002, Centro Scientifico Editore) affermava che “quarant’anni di attività accademica” lo portano "a puntare il dito verso i docenti per gli scricchiolii del mondo dell’istruzione".
Non si ferma lì! Dall’alto della sua competenza professionale affermò che tali colpe spesso “sono dovute alle loro psicopatologie”. Il prof. Nivoli ha elencato cinque tipologie di docenti pericolosi, tra cui il narcisista ed il sadico.
Il narcisista trova ogni occasione per alludere e richiamare ripetutamente le sue ricerche, nonché le sue amicizie altolocate del settore. È sempre stato il più bravo.
Poi c’è il sadico, degno successore di Margherita Goundam, la maîtresse parigina inventrice della “sedia di contenzione” per clienti sadici. Quest'ultimo inchioda lo studente all’esame, lo umilia per gli errori (meglio se in pubblico!), gode delle sue incertezze, additandolo come “fellone” se lo studente propone di ripresentarsi all’appello successivo.
Purtroppo questa è solo la punta di un iceberg sulla quale ogni anno tanti “Titanic” vanno disintegrarsi!
Chi diventa professore, subisce poi quello stesso meccanismo secondo il quale per gli psichiatri, un bambino vittima di violenze e maltrattamenti diventerà un padre violento. Inconsciamente vorrà far subire ad altri quanto lui stesso ha subìto!
Se poi si aggiunge la crisi di panico che si scatena quando ci si “accomoda” sulla sedia per essere interrogato, la frittata è bell’e fatta!
Io a malapena ricordavo il mio nome, cognome e il luogo dove mi trovavo, venivo, quindi, valutato non per quello che sapevo, ma per quello che riuscivo “a far credere” di sapere. E questo per molti studenti è un dramma. Un criterio valutativo, ahimè, affidato a ciò che “sembra”, non a ciò che “è”! È come giudicare una persona, stando affacciati alla finestra, in conformità a come è vestita o all’auto che guida.
Ovvero la solita vecchia storia (ma quanto mai in vigore) dell’essere e dell’apparire.
Qualche volta in sede d’esame mi è stato detto: “mettiti nei nostri panni!”.
C'è però un dettaglio: io, professore, non lo ero mai stato, loro, invece, sono stati necessariamente studenti. Io non potevo mettermi nei loro panni, loro potevano (e dovevano, o avrebbero dovuto) mettersi nei panni studenteschi!
Per superare brillantemente un esame occorre soprattutto “saper vendere bene la propria merce”!
Ma le storture cominciano ben prima dell’università.
Daniel Pennac nel suo “Come un romanzo” afferma che il verbo “leggere” non gradisce l’imperativo. Come d’altronde il verbo “amare”, “sognare”, “studiare”…
Questo concetto però non è stato mai colto da chi s’interessa di Istruzione (di ogni ordine e grado!). L’amore per la lettura e per lo studio se ci pensate bene segue le stesse regole dell’amore tra due persone. Lo stesso dicasi per il verbo “sognare”. Non possiamo dire «mi raccomando: stanotte sogna! E domani devi raccontarmelo!»
Proviamo ad immaginare questa scena:
Esterno. Pomeriggio. Su una panchina di un parco si trovano seduti un ragazzo ed una ragazza. «AMAMI!» dice lui!
È forse credibile? Possiamo forse imporre un sentimento? Certo che no! Bisogna invece creare le “condizioni per amarsi”. Il ragazzo metterà in atto una serie di azioni e comportamenti affinché la ragazza decida spontaneamente di accettare di amarlo!
Lo studio o la lettura richiedono lo stesso “meccanismo”: stimolare lo studente a leggere quel romanzo, quella poesia. Nelle scuole invece i più grandi capolavori della letteratura vengono sottoposti a torture atroci con l’obbligo della lettura.
Capolavori come l’Eneide, l’Odissea, la Divina Commedia, i Promessi Sposi vengono infilati nel tritacarne dei commenti e delle versioni in prosa di torme di studenti, trasformati in filastrocche degne di una recita di Natale:
“eifusiccomeimmobile/datoilmortalsospiro/stettelaspogliaimmemore/orbaditantospiro”. Proviamo poi a chiedere a questi studenti cosa volesse dire il Manzoni con quelle parole! “Interrogato sulla poesia”. Che contraddizione! Come dire: obbligato a dimostrare amore! Ecco come uccidere la poesia! Non si insegna agli studenti ad assaporare il senso della bellezza di una poesia.
A scuola ci si va per prendere un voto. Tutto questo per me è agghiacciante.
Se entro in una libreria, girando fra gli scaffali verrò attratto dalle copertine o dal titolo di qualche volume (ecco che ancora si ripresenta una similitudine con l’amore tra due persone: se vedo una bella ragazza, prima di sapere se sia intelligente, simpatica o meno, rimarrò attratto dall’aspetto fisico) quindi lo sfoglierò e verificherò se anche nei contenuti sommari è avvincente come la copertina.
Avete presente la copertina o il titolo di un libro di testo alle superiori o all'università? Provate a ricordare qualche titolo. “Lezioni di…”, “Manuale di….”
E le copertine? Non si va oltre il grigio, beige, e bianco con al centro il titolo…
Evviva l'originalità...
Volete la controprova? Prendete un classico in uso nelle scuole secondarie (l’Eneide, l’Odissea, la Divina Commedia, i Promessi Sposi) e lo stesso classico comprato in una libreria. Nel secondo caso la copertina sarà molto più spartana, austera, triste: lo studente deve studiare, non divertirsi!
Quei libri sono ideati col solo ed unico scopo di essere studiati (non letti!) dallo studente. Quel libro non serve allo studente per approfondire la propria conoscenza ma solo per consentirgli/le di superare l’esame.
“Molti libri sono stati scritti non tanto perché leggendoli venga trasmesso il sapere dell’autore, bensì per far sapere quanto grande fosse il sapere dell’autore”. Questa potrebbe essere la posizione di uno studente frustrato, invece è l’opinione di un certo Wolfgang Johannes Goethe.
La quasi totalità dei libri parte dal presupposto: «io so e scrivo, tu non sai e studia!»
Parafrasando la famosissima frase del Marchese del Grillo «io so’ io e …studia!»
I libri letti liberamente danno libertà
Un libro regala sempre la patente di fantasia al lettore che immagina la scena, integra la descrizione di quel paesaggio, dei lineamenti di quel personaggio, con particolari differenti per ogni lettore.
Forse le copertine grigie, i titoli asettici servono come agenti di polizia per sequestrare quella patente di fantasia. A scuola la fantasia non può e non deve esistere! Vi siete mai soffermati sul termine latino di “libro” e “libero”? Entrambi sono “liber”. Sarà solo una coincidenza?
Il tasto dolente però è l’università!
Anni fa Stenio Solinas ne «il Giornale» fece un’interessante inchiesta sulle università da cui scaturirono elementi molto interessanti. Oramai le università sono spesso solo stazioni aeroportuali per i professori, dove tra un aereo e l’altro svolgono lezioni e nelle quali gli studenti cercano di intercettarli …al volo. Possiamo forse parlare di “trasmissione di sapere”?? Certo che no.
I professori sono rimasti all’epoca di “Lascia o Raddoppia?” dove io, studente devo essere valutato per ciò che riesco a dimostrare di sapere in una manciata di minuti e non per ciò che effettivamente so!
Per il prof. Stefano Zecchi, ordinario di Estetica all’università Statale di Milano le università sono solo “un esamificio”, un “liceo di 2° categoria”.
Come si può valutare la preparazione di uno studente in poche domande?
Come si può valutare in 20/30 minuti la preparazione di uno studente durata almeno 4/5 mesi?
Immaginiamo di trovarci all’aeroporto di Stansted (Londra) per uno scalo tecnico e che la sosta si protragga per 7/8ore.
Decidiamo quindi di approfittare per arrivare a Londra!
Visitare Londra in 8ore? Impossibile!
Però possiamo affidarci ad un taxi e farci un “giro panoramico”.
Certo, non potremmo fermarci in nessun luogo. Vedremo tutto dal taxi.
Oppure potremmo affittare un elicottero (utopisticamente per i comuni mortali, ma come esempio può essere funzionale!) per una visione panoramica.
Anche in questo caso, non potremmo vedere dettagliatamente nessun luogo ma avremmo una visione globale della città inglese.
Se poi Londra ci colpirà e vorremmo visitarla meglio, beh, allora dovremmo fermarci almeno per una settimana.
Allo stesso modo per un esame. Impossibile conoscere e verificare in dettaglio la preparazione di uno studente in pochi minuti. Dobbiamo optare per la “visita in taxi” o “la visione panoramica dall’elicottero”. Per una “visita accurata”, ovvero una verifica approfondita della preparazione dello studente, non resta che elaborare l’equivalente del soggiorno di una settimana, che nel nostro caso può essere una tesina, delle verifiche lungo l’intero corso delle lezioni…
Ma col taxi possiamo avere “intoppi” ad esempio il traffico. Allo stesso modo, possiamo trovare “traffico” nell’esame! Ovvero l’ansia, il panico, lo stress che può impedire allo studente di dimostrare ciò che effettivamente sa!
Ripetere, poi, è molto facile (lo fanno anche i bimbi alla scuola materna con le poesie di Natale), ben diverso è “sapere” e gli studenti (volponescamente!) si sono adeguati a questo metodo di studio! Il target è solo superare l’esame, non conoscere la materia. Il combustibile non è la voglia di sapere, ma la speranza di trovare il modo di “far credere di sapere”… È il cane che si morde la coda.
Negli insegnanti manca il sacro fuoco della trasmissione del sapere, e, come giusto corollario, negli studenti manca il sacro fuoco della voglia di sapere.
Se gli insegnanti fossero animati dalla passione per la materia, parlerebbero con trasporto e con fervore e passione scatenando interesse negli studenti. Come faceva Platone nel "Simposio": chiedo troppo?
Invece al di qua della cattedra spesso c’è il trasporto tipico dell’impiegato statale che aspetta (come il rag. Ugo Fantozzi) l’ora di uscita: al di là della cattedra non potrà che avere come risposta una serie di sbadigli!
Non posso quindi che concludere con un’altra frase di Wolfgang Johannes Goethe: “Tutto quello che so, non l’ho imparato a scuola!”
Vincenzo Mangione