Siamo apparentemente una società di persone che parlano molto ma in realtà si tratta di logorrea usata come strategia per interrompere l’interlocutore (che non abbiamo tempo di ascoltare!).
Non sappiamo e non vogliamo ascoltare gli altri, non rispondiamo alle domande, li interrompiamo per prendere noi la parola e tenerla il più possibile.
Abbiamo perso il piacere del dialogo, i colloqui sono una sequela di monologhi, fuori controllo, tra singoli interlocutori che non sono quasi mai tali, insomma un dialogo tra sordi.
Basta aprire la televisione e gli innumerevoli talk show che attualmente affollano i palinsesti dove c’è una gara degli ospiti a bearsi nell’ascoltare la propria voce. Tutti parlano, parlano, parlano. Parlano spesso sulla voce degli altri.
Poi quando poi si tratta della semplice comunicazione dettata dai rapporti interpersonali, allora casca l’asino. Abbiamo paura di perdere tempo. Abbiamo sempre fretta.
«Buongiorno, come sta?», «Prego, si accomodi», «Posso aiutarla?». Quante volte sentiamo pronunciare queste frasi con il giusto trasporto e con gioia? Poche, o pochissime! Quasi mai. Spesso il “buongiorno” è inserito fra le frasi meccaniche e circostanziate usate come un badge quando si entra in ufficio, ripetute più per abitudine o convenienza sociale che per effettiva voglia di augurare una buona giornata giusto perche sembra male entrare senza salutare. I peggiori sono quelli che mormorano una sorta di codice fiscale del "buongiorno" perché dovuto.
Non sentiamo più dentro questa esigenza perché abbiamo cancellato il loro vero significato, abbiamo scordato che "buon giorno" significa "ti auguro che questo sia un giorno buono per te!”, "buona notte" significa "ti auguro di trascorrere una notte serena!”, "Salve" etimologicamente significa "salute a te!”.
Eppure quelle frasi e quei gesti sono il miglior modo per rendere domestico un luogo anonimo quali sono le nostre città. Ma la frenesia dei nostri giorni ci dà l’impressione di perdere “tempo prezioso” per augurare buona giornata.
Martin Heidegger ci invitava ad “ascoltare il linguaggio” quasi dovessimo percepire in esso, e soprattutto nella poesia, la lontananza di voci nascoste, solo sussurrate.
L’ascolto che abbiamo perduto resterebbe così, forse, una potenzialità residua, una possibilità non ancora completamente estinta.
Siamo inoltre ossessionati dalla sintesi che per me è la sempre più palese manifestazione della frenesia che ci opprime nella vita quotidiana. Siamo diventati incapaci di comunicare. Oggi è molto facile incrociarsi nel pianerottolo o nell’ascensore dei nostri palazzi o in ufficio, senza neppure un saluto presi dai nostri pensieri.
Possiamo trovare chi ci passa - in malo modo - davanti nella fila in banca o vedere ragazzi (e non solo ragazzi) tranquillamente seduti sull'autobus, restare indifferenti davanti ad un anziano barcollante o ad una signora in evidente stato di gravidanza. Viviamo nel nostro microcosmo insensibile e cinico. Ci siamo dimenticati le buone maniere, compresa la gioia di dire “BUONGIORNO!”
Dovremmo riscoprire l’esigenza di ritornare a gustare il sapore della cortesia, della gentilezza e del salutare. Non abbiamo più tempo per soffermarci e fare un sorriso mentre auguriamo "Buon giorno!".
Uno dei fattori che sembra disincentivare la lettura è proprio l'avvento dei social network che favoriscono una lettura e scrittura molto istintiva, breve, impulsiva e spesso codificata attraverso acronimi, icone, "emoticons" e abbreviazioni di ogni tipo pur di restare nei 140 caratteri degli SMS o di Twitter. Non per nulla i giovani preferiscono queste forme di comunicazione istantanea, forme molto elementari, dirette e asciutte.
I “new media” invece se saputi usare potrebbero essere un ottimo mezzo per avere la possibilità di riassaporare il gusto dei rapporti interpersonali con una parola gentile, invece le migliaia di SMS, o i messaggi su WhatsApp, Telegram che ogni momento inviamo sono stereotipati, freddi, sintetici e distaccato.
E non sono esenti da questa vera barbarie che potrei definire “accidia comunicativa”, gli auguri di buon compleanno.
Gli smartphone e i social network vengono in aiuto agli smemorati e ricordano loro i compleanni. Potrebbero essere felici di questo "aiutino" per evitare di passare per smemorati ed impegnarsi per un testo di auguri. Macchè! «BUON COMPLEANNO» o «TANTI AUGURI» è la frase più glaciale e impersonale. Proprio come quel “ …’giorn” buttato lì per consuetudine.
Non si può certo perdere tempo su queste cose... e che me ne viene in cambio?
E la stessa solfa accade per la risposta quando si ricevono gli auguri. Bene che vada la risposta sarà un "like" con un "thumb up" d'ordinanza. Se poi siamo fortunati riceveremo un "GRZ".
E proprio nei prossimi giorni avremmo modo di constatare questa accidia augurale con i messaggi stereotipati, sintetici e impersonali come “BUONE FESTE!” (con l’opzione “invia a tutti”). Ai quali poi risponderanno – annoiati – “A TE E FAMIGLIA!” come ha illustrato in modo chiaro il meme sui social.
Vincenzo Mangione